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L’economia della condivisione

La crisi che blocca il capitalismo e l’economia di mercato, spinge come il vento in poppa sulle vele dei nuovi modi di soddisfare i nostri sempre più numerosi bisogni primari. Bike sharing, car sharing e coworking sono solo alcuni esempi dell’emergere di un’ economia della condivisione – necessità diventata tendenza e che adesso guarda fiduciosa al suo futuro.

Oggi sono almeno 130 le città italiane che offrono a cittadini e turisti la possibilità di spostarsi in bike sharing, ossia con una bicicletta non propria, utilizzabile abbonandosi al servizio o pagandone l’uso all’ora. Il simile car sharing è sicuramente meno diffuso – e forse anche meno pubblicizzato rispetto al car pooling, una versione meno arrangiata del temutissimo autostop con la quale spesso le star musicali invitano i fan a spostarsi per raggiungere le città dei concerti. Un peccato, lo scarso utilizzo delle macchine in condivisione (che per altro vanno sempre più a elettricità), quantificabile in almeno 10 milioni di euro: a tanto ammontava l’Accordo di programma sottoscritto dal Ministero dell’Ambiente con l’ICS (Iniziativa dei Comuni per il Car Sharing), nel novembre 2005. E oltre alla condivisione di mezzi, si fa lentamente spazio anche la condivisione di spazi – come avviene nel coworking, dove personalità e professionalità diverse lavorano fianco a fianco, in totalità autonomia eppure respirando l’ aria della stessa stanza.

Il domani dell’economia della condivisione sembra ancora più rosa, rispetto a quello della cugina swap economy. Giunto dapprima timidamente con gli scambi di case per risparmiare sulle vacanze, questo sistema ha sfruttato l’onda degli swap party americani – feste organizzate per scambiarsi oggetti, accessori o abiti che non ci piacciono più – riscuotendo comunque un discreto successo anche nella sua accezione, molto più casereccia e tradizionale (o vintage, se lo si preferisce) del baratto, come dimostrato dalla buona riuscita del “Mercato del baratto” organizzato lo scorso 5 maggio dalla Coldiretti, al Castello Sforzesco di Milano.

In un commento pubblicato il 5 giugno sugli spazi Opinionator, nella piattaforma del Nytimes.com, il premio Pulitzer Tina Rosenberg ha spiegato i motivi che determinano quella che lei definisce una “esplosione del consumo collaborativo”. Innanzitutto, lo si è già detto, la crisi economica e quello che la Rosenberg chiama “green Zeitgeist”, un ecologico spirito dei tempi che finisce per trovare il giusto compromesso tra consumo sfrenato e riduzione degli sprechi proprio in un consumo condiviso con altre persone. Ma ci sono poi motivazioni legate allo sviluppo tecnologico: non solo quello dei dispositivi di sicurezza e monitoraggio dei mezzi in bike o car sharing, ma anche l’aumentato desiderio di comunità (nel senso di community) e soprattutto la comunicazione – ormai sempre più destinata a diventare una vera e propria filosofia – del Web 2.0 e dei social network, difficili persino da immaginare senza l’idea di una condivisione caratterizzante e, per questo, quasi obbligata.

Dopotutto “Sharing is caring” è uno dei widget più diffusi tra i blogger anglosassoni – anche se da domani, forse, sarà molto di più.

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