Geopolitica batte stato di diritto. L’Ue
pronta a sbloccare i fondi alla Polonia

Von der Leyen vola a Varsavia, Morawiecki si prepara a incassare 23,9 miliardi

Potrebbe essere giunta a un punto di svolta la controversia tra Varsavia e la Commissione europea sullo stato di diritto. Giovedì scorso il parlamento polacco ha approvato l’emendamento alla legge sulla Corte suprema proposto dal presidente della repubblica Andrzej Duda, che prevede la liquidazione della Camera di disciplina. Era questo lo scoglio principale sulla strada dell’accesso al Recovery Fund. La Polonia, insieme all’Ungheria, è l’unico Paese europeo a non essersi visto sin qui approvare il Piano di ripresa e resilienza, presentato ormai nel maggio dell’anno scorso. Un piano che vale un’ingente somma di denaro: in totale 23,9 miliardi di euro in sovvenzioni, e 11,5 miliardi di prestiti.

Giovedì la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen sarà a Varsavia, molto probabilmente per firmare la sua approvazione. Sebbene il disegno di legge non abbia ancora completato il suo iter legislativo non ci sono dubbi in merito al suo passaggio al Senato, e alla conseguente firma che verrà apposta dallo stesso Duda.

 

Le necessità di Varsavia…

La Camera di disciplina della Corte Suprema è un organo di controllo dei giudici istituito con la riforma della Giustizia del 2017. Il 15 luglio 2021 una sentenza della Corte di Giustizia europea l’aveva dichiarata incompatibile con il diritto comunitario ordinandone la rimozione. In tutta risposta il Tribunale Costituzionale polacco aveva stabilito il primato del diritto nazionale su quello europeo, minando quindi le fondamenta della sentenza europea. Il braccio di ferro tra le parti ha cominciato a pendere dalla parte di Bruxelles nel momento in cui sono entrati in gioco il congelamento del Recovery Fund e dell’accesso ai fondi comunitari, soldi di cui la Polonia oggi ha disperatamente bisogno. Oltre a una frenata nella crescita dovuta al conflitto in corso, il governo deve tamponare gli effetti di un’inflazione galoppante, giunta ormai al 14%. Da qui, per Varsavia, la necessità di trovare una soluzione, anche a costo di andare contro l’ala oltranzista della coalizione di governo rappresentata dal ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, che della Camera di disciplina è stato ideatore e alfiere.

L’emendamento in fase di approvazione è tutt’altro che perfetto e non andrà a soddisfare tutte le richieste fatte dalla Commissione, ma per il momento dovrebbe bastare. La funzione di controllo verrà ora svolta dalla Camera di responsabilità professionale: i togati che la comporranno saranno 11, scelti dal presidente della repubblica in una rosa di 33 nomi estratti a sorte tra i giudici della Corte suprema. Precedentemente i giudici venivano invece nominati dal Consiglio Nazionale della magistratura, finito negli ultimi anni sotto il controllo dell’esecutivo.

 

…e quelle di Bruxelles

Ma la necessità di appianare o perlomeno accantonare le divergenze si era fatta urgente anche Bruxelles, a partire dall’inizio della guerra in Ucraina. Troppo importante la Polonia da un punto di vista strategico per lasciarla andare al suo destino. In primis per il suo ruolo fondamentale nella gestione dell’emergenza rifugiati: ad oggi sono più di 3,7 milioni gli ucraini che hanno varcato il confine polacco a partire dal 24 febbraio. Un numero enorme. Molti sono rientrati, altri sono transitati in paesi terzi, ma almeno la metà sono rimasti. Uno sforzo umanitario con pochi precedenti, sul fronte della prima accoglienza, ma anche su quello dell’integrazione, con l’adozione di alcune leggi speciali che di fatto offrono ai cittadini ucraini gli stessi diritti di quelli riservati ai polacchi.

Il secondo fronte è stato quello del supporto militare. La Polonia è diventata in poco tempo testa di ponte per il passaggio di armi e munizioni all’Ucraina da parte degli alleati occidentali. Importante anche l’aiuto diretto. Oltre ad essere uno dei Paesi che ha speso di più in termini di armamenti, poche settimane fa la Polonia ha ceduto a Kiev 200 tank T-72 di fabbricazione sovietica.

Il terzo fronte, forse il più importante, è stato però quello politico. Sin dalle prima battute del conflitto Varsavia ha cercato di ritagliarsi una posizione di primo piano, ergendosi a capofila dei Paesi del fianco orientale della NATO. In questo senso può essere interpretato il viaggio dei tre premier, polacco, ceco e sloveno, con la regia di Jarosław Kaczyński, nella capitale ucraina, quando questa era ancora pesantemente bombardata dall’esercito russo. Oggi la Polonia rappresenta, inaspettatamente, il centro di un polo europeo, quello orientale, che vuole essere ascoltato.

 

C’era una volta Visegrád

Sembra passata un’era geologica dal 15 febbraio di quest’anno, il giorno in cui la Corte di giustizia europea ha decretato il respingimento dei ricorsi di Polonia e Ungheria contro il meccanismo che condiziona l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto.

Guardando i due Paesi, sembra chiaro come Bruxelles abbia deciso di utilizzare due diversi tipi di approccio. Nel caso di Budapest è stata scelta la via più intransigente. Solo un paio di giorni dopo le elezioni parlamentari del 3 aprile, che hanno consegnato a Viktor Orbán il quarto mandato consecutivo da primo ministro, è stato annunciato l’avvio dell’applicazione del processo del meccanismo di condizionalità. Per Varsavia invece è stata scelta la strada del dialogo e non è da escludere che questo sia stato fatto anche per provare ad allontanare ulteriormente Polonia e Ungheria, la cui “storica” alleanza risulta oggi fiaccata dalle posture quanto mai divergenti assunte durante la guerra.

Von der Leyen ha potuto contare anche sul fatto che la querelle relativa al rispetto dello stato di diritto, per i due Paesi, partiva da presupposti diversi. Nel caso ungherese a tenere bloccati i fondi è la scarsa trasparenza dell’utilizzo dei fondi comunitari nonché la mancanza di meccanismi anti corruzione. Per la Polonia invece la questione è esclusivamente legata al nodo della giustizia.

 

Il sacrificio dello stato di diritto

Proprio per questo motivo l’accordo lascia però un diffuso scontento in chi aveva visto il congelamento del Recovery Fund come un freno alla deriva illiberale presa dal governo di Varsavia. Le questioni aperte sono tante: dal pluralismo nel settore dell’informazione al rispetto dei diritti delle persone LGBT, passando per la politicizzazione di organi cardine dello stato, come il Tribunale Costituzionale e il Consiglio Nazionale della Magistratura.

Quale sarà l’utilizzo dei fondi comunitari che verrà fatto dal partito di governo di Diritto e Giustizia (PiS)? I detrattori del governo temono che i soldi andranno a rafforzare la narrazione sovranista e che questa “concessione” verrà cavalcata come una vittoria politica sull’Unione europea.

Ma c’è anche chi si spinge più in là, come il costituzionalista Wojciech Sadurski, che in un’intervista concessa a Gazeta Wyborcza si scaglia contro la Commissione Ue, rea di aver tradito il proprio mandato e le proprie prerogative avendo chiuso gli occhi davanti alla problematiche polacche: “Se la Commissione europea ignora in questo modo la violazione dello stato di diritto in Polonia, non escludo del tutto che il Parlamento europeo, che dispone di tali poteri, possa citarla in giudizio davanti alla Corte di giustizia europea per attuazione impropria del diritto europeo”.

La posizione di Sadurski è la stessa del Comitato per la Difesa della Giustizia (KOS), che in un appello, che ha avuto ampio riscontro tra i giuristi e gli osservatori dei diritti umani, rimarca le criticità dell’emendamento: secondo i firmatari, i giudici sospesi dalla Camera di Disciplina non verranno reintegrati, ma dovranno essere giudicati dalla nuova Camera di responsabilità professionale, senza avere la garanzia di un giudizio indipendente e imparziale; non verrebbe inoltre garantito il funzionamento di un sistema disciplinato indipendente dall’influenza dell’esecutivo e la stessa Camera di responsabilità professionale sarebbe soggetta alle stesse critiche e obiezioni mosse alla Camera di disciplina. Anche a livello europeo si registrano voci critiche alla possibilità di un accordo tra Varsavia e Bruxelles. È il caso ad esempio dell’eurodeputato dei Verdi Daniel Freund, pronto ad esercitare – insieme ai membri della commissione libertà civili del Parlamento europeo – “massima pressione” per fermare l’iniziativa della Commissione.

In attesa che lo sblocco del Recovery Fund diventi ufficiale, Varsavia già pregusta l’incasso. I finanziamenti avranno cadenza semestrale. Per quest’anno le spetteranno 4,2 miliardi di euro. Stando a quanto dichiarato dal ministro dello Sviluppo Waldemar Buda a Radio RMF FM, “la maggior parte di questi fondi sono a disposizione del governo. I governi locali non erano del tutto interessati a partecipare alla spesa di questi finanziamenti, cosa che non mi sorprende”. Dichiarazione che è in contraddizione con il progressivo taglio agli enti locali lamentato dai sindaci. Questa però sarà un’altra partita. Prima, i soldi devono arrivare. Se sarà così, lo scopriremo presto.

 

Foto: Il premier polacco Mateusz Morawiecki con la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen (D. Aydemir / Anadolu Agency via AFP).

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