MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Silvia Romano, la festa e la vergogna

La festa e la vergogna. La gioia per una giovane volontaria italiana che ritrova la libertà dopo 18 mesi trascorsi nelle mani dei suoi rapitori. La vergogna per gli odiatori seriali in servizi permanente. Questa è l’Italia, per niente migliorata ai tempi del Coronavirus. Un mix di ipocrisia e cinismo, a condimento di una narrazione falso buonista che ci vorrebbe tutti sulla stessa barca, tutti uniti e tutti eguali nella “guerra” al Covid-19. No, non siamo tutti sulla stessa barca né siamo tutti eguali. Silvia Romano non è eguale a quei politici sciacalli, e alla stampa che li pompa e gli fa da cassa di risonanza, che s’indignano perché è stato pagato un riscatto per riavere libera una ragazza che stava spendendo gli anni migliori della sua vita in Africa, a “casa loro”, dando senso e contenuto alla parola, troppo speso abusata, di solidarietà. Ora sappiamo che Silvia era stata rapita dagli al Shabaab, il gruppo jihadista che taglieggia la Somalia, si batte per instaurare un regime islamico, una “dittatura della sharia” modello Isis, e combatte il governo legittimo con autobombe e gruppi armati. Bande molto pericolose perché terroristi che odiano l’Occidente, ma anche predoni che apprezzano i soldi. Ci sono voluti 18 mesi, insomma, ma i servizi segreti dell’Aise ce l’hanno fatta, grazie ai buoni contatti con le forze somale e grazie anche alla sponda dei servizi segreti turchi che in quella fetta di mondo hanno buona ramificazione.  Ce l’hanno fatta perché per questi lunghi 18 mesi non hanno smesso mai di lavorare sottotraccia, anche quando in Italia la politica che ora si affanna a intestarsi il merito di questa impresa, di Silvia si era completamente dimenticata. Sì, per liberarla è stato pagato un riscatto. Forse milionario. Perché negarlo? Perché, per una volta almeno nella loro vita, coloro che dovrebbero rappresentarci non hanno il coraggio e l’onestà intellettuale di dire la verità ad un Paese che non può essere sempre raggirato da una compiacente propaganda mainstream. Dire: signori, la vita di una ragazza, di una nostra connazionale, vale molto più di quanto abbiamo pagato a quei tagliagole perché i suoi familiari, i suoi amici, potessero riabbracciarla. La vita umana non ha prezzo. E quei soldi sono stati ben spesi. E uno Stato che fa di tutto per riportare a casa un suo cittadino, è uno Stato che va difeso, di cui, almeno una  volta, sentirsi orgogliosi di esserne parte. Fare questo discorso vuol dire avere rispetto per l’opinione pubblica, e non blandirla con storielle di blitz riusciti, come se fossimo in un film di azione. Questo discorso non piace ai Salvini e alle Meloni, espressione caricaturale di una italietta dell’armiamoci e partite? E chissene..Trattare non è cedere. Ma gli odiator serial non vanno in quarantena. Eccoli pigiare sui tasti per vomitare il loro livore contro una giovane donna colpevole solo di essere viva e di non essere stata uccisa. Eccoli sputare sentenze su una giovane donna tornata a casa con il capo coperto e vestita con un abito tradizionale e che, vergogna delle vergogne, ha detto di essersi convertita all’Islam durante la prigionia, come se questo fosse il segno di una connivenza con i suoi rapitori o l’abbracciare una fede che, per gli odiatori seriali, è sinonimo di terrorismo, oscurantismo. Per costoro la conversione è tradimento.  Mi auguro che Silvia abbia di meglio da fare che seguire sui social le reazioni e i commenti alla sua liberazione. Farlo, acuirebbe le sue ferite. L’Italia dei rancori, quella che “ci stanno invadendo e rubando il lavoro”, l’Italia che ha criminalizzato le Ong, che qualcuno, oggi ancora al governo, definì sprezzantemente i “tassisti del Mediterraneo”, senza arrossire di vergogna. Questa Italia esiste e, se possibile, esce ancora più incarognita dal lockdown. Nel vocabolario di questa Italia dei muri e del rancore, non esistono parole quali solidarietà, inclusione, rispetto per le diversità, generosità…Ma, per fortuna, c’è anche l’Italia, non so se maggioritaria ma comunque partecipe e attiva, che la solidarietà la pratica e non la predica, che sa essere partigiana, dalla parte dei più deboli e indifesi. Di questa Italia, Silvia Romano è parte. L’errore più grande da evitare è quello di ergerla su un piedistallo, facendone una eroina da contendersi negli abusati salotti mediatici. La forza di Silvia, e di tante e tanti come lei, e sentirsi “normali” quando si decide di aiutare a casa loro chi questa casa l’ha avuta distrutta in guerre dimenticate o che è dovuta fuggire da villaggi devastati da disastri ambientali causato da politiche di saccheggio delle ricchezze naturali concepite nel ricco Occidente. Non c’è nessuna narrazione eroica da contrappore agli odiatori seriali. C’è la forza di una normalità che ci fa restare umani. Silvia è questo. La bellezza della normalità solidale contro la banalità del male.

  1. Come giustificare quella ammucchiata di gente agli occhi di quanti in questi giorni hanno perso i propri cari senza neanche la possibilità di un ultimo saluto. Non doveva essere consentita una diretta che avrebbe visto coinvolto centinaia di persone in barba ad ogni direttiva anticocovid. Era una situazione facilmente prevedibile.

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