ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

RITORNO ALLA PROPORZIONALE?

DA LINKIESTA
Giovanni Cominelli

Secondo Linkiesta, il cambio del sistema elettorale ricostruirebbe il bipolarismo perché favorirebbe le alleanze in vista delle elezioni. Ma ciò di cui abbiamo bisogno è un governo che decida, che duri cinque anni e che perciò sia nominato dagli elettori, non dai partiti
23 settembre 2021

L’articolo di Francesco Cundari, dedicato all’illusione bipolarista, sostiene la seguente tesi: se vogliamo avere la speranza di vedere un sistema politico decente, in cui l’alternanza al governo tra i diversi schieramenti rappresenti la fisiologia della vita istituzionale, e non una minaccia ai suoi principi basilari, allora si dovrebbe partire dalla risposta alla seguente domanda: “quale strategia consente maggiormente di favorire una simile evoluzione, diciamo pure centripeta, del quadro politico? Quale presidente della Repubblica, e dunque quale coalizione di grandi elettori, potrebbe meglio garantire tale disegno?”.
La risposta, secondo Cundari, è quella di un ritorno al sistema elettorale proporzionale. Esso consentirebbe alle forze reciprocamente più vicine di allearsi in vista del governo. Il bipolarismo si ricostituirebbe fisiologicamente. Se invece lo si volesse imporre ora, per via di una legge elettorale maggioritaria, prevarrebbe “il bipopulismo”: da una parte Conte (e Letta!?) e dall’altra Salvini-Meloni. Insomma: Cundari sostiene la via proporzionalistica al bipolarismo.
Qualche osservazione.
a) Intanto: proporzionale di liste di partito o proporzionale di due o tre candidati preferiti? Perché non è la stessa cosa votare un partito, che ha già scelto i candidati, li ha già messi in fila per il Parlamento e attende solo il voto degli elettori per decidere quanti ne entrano, sotto il pieno controllo del segretario di partito e delle correnti di partito. Un’altra cosa è votare uno o più dei candidati scelti nella lista proposta dal partito. Menù obbligato o libera scelta? In quest’ultimo caso, l’elettore conta molto di più. Anche se, alla fine, la sua delega, ben impacchettata, sarà depositata negli archivi del partito. Una volta eletti, infatti, i candidati non rispondono più agli elettori, ma al segretario di partito. Cundari sottovaluta massimamente la condizione a-democratica dei partiti attuali: non fanno più i congressi, pur statutariamente previsti, i leader decidono, con o senza caminetti, le assemblee nazionali sono affollatissime e inconcludenti, i tesserati contano meno di zero. Il radicamento sociale e territoriale dei partiti è labilissimo, la loro reputazione è bassissima. Quanto ai Gruppi parlamentari di partito, l’anarchia è cresciuta di molto, come si vede dai cambi di casacca. Se i partiti sono, come diceva Togliatti attorno al 1948, «la democrazia che si organizza», questa del 2021 appare disorganizzata assai. Quale che sia il giudizio sul passato, gli scenari di un governo fondato su alleanze tra partiti simili si prospettano decisamente instabili. Anche perché la legge non scritta di simili alleanze è che più sei vicino e più sei competitor; più sei piccolo, maggiore è la tua forza di ricatto. Ma poiché gli scenari sono opinabili opinioni, può darsi che quelli futuri siano migliori della realtà del passato. Qui en sabe?
b) Se il modello di governo futuro deve essere il governo-Draghi, come possiamo realizzarlo? Esso sta al punto di intersezione virtuoso tra la designazione di un’Autorità dall’alto e l’impotenza partitica diffusa “proporzionale” dal basso, che si chiama “unità nazionale”, siglata sull’orlo di un abisso – il Covid – e di grandi opportunità – il Pnrr -. Si tratta del risultato positivo del ricorso ad una procedura eccezionale propria del sistema politico-istituzionale italiano. Possiamo chiamarlo poco scientificamente “presidenzialismo all’italiana”? Non è destinato a durare, comunque meno di quanto sarebbe necessario per il paese. Esso è il frutto paradossale di un’estenuazione della democrazia parlamentare italiana, che nessuna legge elettorale, né bipolarista integrale né proporzionale, è in grado di aggiustare.
Ciò richiede alle forze politiche e alla società civile italiana non una nuova legge elettorale, ma un nuovo patto costituente, il cui oggetto siano le istituzioni politiche di una nuova Repubblica. Ci servono governi che decidano, che durino cinque anni e che perciò che siano eletti direttamente dagli elettori, non dai partiti. E ci servono deputati, proposti dai partiti, ma visibili al cospetto degli elettori e scelti, infine, dagli elettori. Il tutto si può condensare in “Repubblica presidenziale”. Il sistema elettorale – maggioritario a due turni – seguirà come l’intendenza.
Del resto, sulla soglia della Repubblica presidenziale eravamo arrivati già nel 1997/98. Fu Berlusconi a far cadere il progetto, temendo che Prodi sarebbe rieletto direttamente dall’elettorato per altri cinque anni. In questo spazio temporale, che ci è dato fino all’elezione della presidenza della Repubblica nel 2022 o, per essere volenterosamente ottimisti, fino al 2023, i partiti hanno una funzione storica da svolgere: quella di addivenire ad un patto costituente.
E si trovano nelle condizioni migliori, perché la Lega, Fratelli d’Italia, il Pd e il M5s, oscillano ciascuno, grosso modo, attorno al 20%, ben oltre il 70% della rappresentanza parlamentare attuale. Si trovano sotto un velo di ignoranza circa il proprio futuro parlamentare: è la condizione ideale per una buona scelta ai fini del bene comune.
Se di un difetto grave soffrono i riformisti e gli ultrariformisti, è quello di fossilizzarsi sulla discussione del futuro sistema elettorale, invece che sulla crisi grave del futuro della democrazia parlamentare italiana. Alla fine, anch’essi pensano come vincere le prossime elezioni. La non-decisione è il tarlo della democrazia liberale, la sua crisi è crisi di potenza e di decisione.
Viceversa, il criterio di giudizio sul funzionamento della democrazia è la sua capacità di prendere decisioni giuste e rapide, nella misura richiesta dalle urgenze del tempo presente. L’avvento della Spid-democracy per un verso e, per l’altro, i nuovi assetti geopolitici non ci concedono più tempo: le democrazie liberali europee rischiano di finire ai margini della Storia. Basterà a salvarci, ancora una volta, l’Anglosfera? Ecco perché ci serve una nuova Repubblica, non il ritorno alla proporzionale.

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