ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

Ripudiare la guerra, costruire la pace: più di un’utopia servirebbe una profezia

Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 22 ottobre 2022
Giovanni Cominelli

Ripudiare la guerra, costruire la pace: più di un’utopia servirebbe una profezia

La piattaforma che convoca la manifestazione del 5 Novembre a Roma muove da un’affermazione drammatica: “L’ombra della guerra atomica si stende sul mondo”. Il testo prosegue con quattro statuizioni di principio: “Questa guerra va fermata subito; l’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra; occorre garantire la sicurezza condivisa; l’Italia, la Costituzione, la società civile ripudiano la guerra”.
La posizione più precisamente politica è la seguente: condanna dell’aggressione russa, rispetto della Resistenza ucraina, richiesta all’Italia, all’Unione Europea e agli Stati membri, alle Nazioni Unite di lavorare ad una soluzione politica del conflitto.

Se questa è la piattaforma ideologico-politica, che cosa sta succedendo nella realtà?
Putin è pronto a sedersi ad un “tavolo di pace”, solo se vengano accettate le sue condizioni.
Sono state “leggermente” modificate rispetto al 24 febbraio: non vuole più l’intera Ucraina, si accontenterebbe, per ora, della Crimea e del Donbass. L’Ucraina poi dovrà stare alla larga non solo dalla Nato, ma anche dalla UE. Finché queste condizioni non saranno accettate, lui continuerà a bombardare le città. E se i Paesi della Nato insistono a fornire armi alla Resistenza ucraina per difendersi, Putin minaccia l’uso del nucleare tattico.
Concretamente, che significa, a questo punto, “soluzione politica del conflitto”? In altre parole: come si ferma la guerra? Solo due strade: o si ferma Putin o si fermano gli Ucraini.
Se Putin ha invaso l’Ucraina, accampando questioni di sicurezza, allora occorre tornare al Memorandum di Budapest del 5 dicembre del 1994, firmato da Russia, gli Stati Uniti e Gran Bretagna – successivamente anche da Cina e Francia – e all’Atto fondativo del 27 maggio 1997 firmato da Russia e Nato. Atti che lui ha sconfessato nella pratica dal 2008.
Ma se ha invaso l’Ucraina, perché persegue la ricostruzione dell’Impero sovietico staliniano, allora le profferte di sicurezza globale non sono per lui abbastanza convincenti.
In questo caso, si può fermare Putin solo per via militare. E’ una via dura e pericolosa.
Ce n’è una più facile: fermare gli Ucraini. Come? Niente aiuti militari. Se gli Ucraini sono schiacciati militarmente e sono costretti alla resa, la soluzione politica è a portata di mano: Putin si tiene la Crimea e il Donbass.
Di questa soluzione non si parla esplicitamente nella piattaforma, ma essa circola largamente tra gli ambienti che hanno indetto la manifestazione. Lo stesso Card. Zuppi, parlando in Calabria, a margine del Giubileo dossettiano, ha dichiarato: ”Pace, anche a costo di perdere un pezzo di sovranità”. Solo che l’art. 11 della Costituzione, sul quale lavorò Dossetti, prevede “limitazioni di sovranità” giuridica dello Stato nazionale, non rinunce territoriali! E’ una posizione condivisa da Salvini, da Berlusconi, da una parte del PD, dalla sinistra radicale, da Conte.

La soluzione politica all’italiana politica italica è molto semplice: la resa degli Ucraini all’aggressore, la consegna di un pezzo del loro territorio a Putin. Che a questo approdo si arrivi, perché “l’ombra della guerra atomica si estende sul mondo” o perché i nostri commerci con la Russia languono o perché il costo delle bollette sta salendo o perché il modello putiniano-kirilliano di regime e di civiltà è considerato di gran lunga migliore di quello “occidentale” o perché vogliamo semplicemente “essere lasciati in pace”, gli Ucraini devono cessare ogni resistenza e sotterrare gli inutili morti della loro inutile resistenza.
Ci sarebbe molto da dire sulle idee confuse che molti Italiani coltivano dell’ordine internazionale, del diritto internazionale, della sovranità nazionale – il sovranismo vale solo in casa propria? – e della propria Patria, visto che sono disposti a vendere con tanta leggerezza quella degli altri… Da questo punto di vista, Berlusconi ci rappresenta perfettamente, nella sua squallida volgarità, più di quanto pensiamo: la sua un Italia senza patria e senza destino, chiusa nei propri interessi immediati, disposta a piegarsi alla prepotenza del più forte…

Tutte queste posizioni rifiutano di prendere atto che gli Ucraini non stanno conducendo una guerra di conquista, ma una guerra di liberazione nazionale, per ripristinare i confini nazionali stabiliti il 1º dicembre 1991 con il referendum sull’indipendenza. Si deve solo ricordare alla nostra classe dirigente, ignorante della storia dell’Est europeo, che nel referendum votarono 31.891.742 di Ucraini (l’84.18% dei residenti); 28.804.071 (il 90.32%) votarono “Sì”. Nella maggioranza degli Oblast le percentuali andarono oltre il 90%; in due o tre “solo” sopra il 75/80%. In Crimea – “regalata” da Krusciov alla Repubblica socialista sovietica ucraina il 17 giugno 1954, ma brutalmente russificata da Stalin nel 1944 – la percentuale si fermò al 54,19%. A Sebastopoli salì al 57% e a Odessa salì all’85%.
Potrebbe bastare una bomba nucleare tattica a piegare la Resistenza degli Ucraini, dopo che hanno sopportato decine di migliaia di morti, di stupri, di torture, di fosse comuni? Pare improbabile.
Quanto all’ombra della guerra atomica che “si stende sul mondo”, questa si stende già dal 1945. La proliferazione nucleare è in corso da decenni. Siamo seduti su circa 12 mila ordigni nucleari. E la nostra pace continua ad essere assicurata dalla MAD (Mutual Assured Destruction), terribile, oscena, ma efficace, fino a che non si riuscirà a realizzare il sogno kantiano di un’Autorità politica mondiale. Nel frattempo, ai ricatti e alle minacce di Putin si piega solo chi decide di farlo.

La piattaforma del 5 novembre si libra, dunque, molto al di sopra della realtà, nei cieli di un’utopia metafisica della pace universale e di un ripudio universale della guerra, che al momento resta solo l’orizzonte lontano dell’homo sapiens. Più che l’utopia servirebbe la profezia. Papa Francesco, citato dalla piattaforma, ha chiesto di “essere aiutato nella sua profezia di pace”. La profezia muove dal presente, “grida la verità davanti al popolo” ai suoi delegati, ai potenti, chiama alla responsabilità e chiede incessantemente giustizia. La richiesta fatta agli Ucraini di cedere alla prepotenza russa, perché la loro resistenza turba le nostre comodità, i nostri stili di vita, non è profezia, è accomodamento allo stato di cose presente. Il placebo retorico dell’utopia copre la sottomissione ai prepotenti di turno.
Non così, fortunatamente, la “Dichiarazione della Commissione delle Conferenze episcopali europee”, che, “in piena comunione con i numerosi appelli lanciati da Papa Francesco e dalla Santa Sede”, parla di “una soluzione sostenibile del conflitto nel pieno rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.

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