L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Parigi nuovamente

Ho dormito poco, perché ho passato tutta la notte attaccato alla radio per sentire le notizie da Parigi. Col passare delle ore crescevano l’orrore, la rabbia, il dolore, le lacrime; ma mi pareva di sentire anche una stranissima sensazione che non saprei come definire. Non è calma perché le notizie mettono addosso un’agitazione incontrollabile, non è coraggio perché sappiamo benissimo che può capitare anche a noi e questo fa paura, non è rassegnazione perché sappiamo benissimo che questo brandello di storia che ci tocca di vivere continuerà ancora e farà altre vittime.
Mi viene in mente solo una parola, che però non mi piace, ma forse si avvicina a descrivere quella sensazione. È un sentimento di superiorità: sparavano nel mucchio, non avevano alcuna motivazione comprensibile e minimamente condivisibile; questo li rende pericolosi, pericolosissimi, ma mette in evidenza anche la loro debolezza, il loro isolamennto. Questa volta, diversamente da quanto accadde per Charlie Hebdo, credo sarà difficile veder comparire i rappresentanti del peroismo, del certo vanno condannati, però … il cattivo gusto delle vignette, le reponsabilità del colonialismo, il commercio del petrolio, gli aiuti pelosi per ottenere vantaggi politici. Sono tutte cose che esistono, non c’è dubbio, ma la storia dell’uomo ha sempre visto – purtroppo – intrecci complessi e spesso moralmente molto discutibili, ma il fatto che una strage come quella di Parigi ci appaia inaccettabile, vergognosa, stupida, crudele è sicuramente un passo avanti della nostra civiltà, malgrado tutti gli errori e il male che sempre ci portiamo dietro.
Mi ha fatto sentire superiore vedere gli spettatori dello stadio che uscivano cantando la Marsigliese, e non perché la Marsigliese faccia sempre sentire i brividi nella schiena, ma perché fa tornare in mente quanta fatica, quanto sangue, quanti morti ci siano voluti perché diventasse capace di farci sentire i brividi.
Mi spiace di non trovare un’altra parola, ma la stupidità e la crudeltà di quei poveretti che credono di affermare qualcosa sparando a casaccio contro persone qualunque mi fa sentire superiore, mi fa pensare che comunque riusciremo ad avere la meglio, non perché abbiamo ragione – nessuno può mai essere sicuro di avere ragione – e poi non sapremmo nemmeno su cosa rivendicare di avere ragione, ma perché malgrado tutto siamo migliori, in modo relativo, naturalmente, ma migliori.
Ancora una volta, come sempre, ci costerà sudore, lacrime e sangue e forse non ci fa male capire che la storia non è mai finita e procede continuamente per strappi, tragedie, colpi di coda, avvenimenti apparentemente incomprensibili, ma poi i brividi ci vengono pensando alla Marsigliese, non all’imperialismo napoleonico, non al Congresso di Vienna, non alla restaurazione, ma alla Marsigliese.
E dovremo anche sentire chi invoca una nuova Lepanto; non ci possiamo fare niente, ma alla fine – ne sono sicuro – la Marsigliese sopravviverà, mentre i terroristi e i lepantini saranno spazzati via, perché la storia è faticosa, i suoi parti sono sempre dolorosi, ma un qualche piccolo senso abbiamo pur dimostrato innumerevoli volte che siamo capaci di trovarlo.

    • Mi sento “noi” con questo ignoto pianista e in questo momento non mi interessa per nulla sapere se dietro al successo di “Imagine” ci sia la politica delle grandi case discografiche.
      Questo è meglio.

  1. Riccardo: ma dai, cosa c’entrano le teorie del complotto e i ma anche. C’entra forse invece essere ancora capaci di dire almeno una parola diversa, non dico nemmeno per forza dissonante, dalla rappresentazione mediatica. Vogliamo cominciare a parlare come Salvini? Facciamolo pure, però poi non avremo più una parola da dire quando vincerà le elezioni.
    Massimo, scusa. chi sarebbe il Noi che è superiore? Noi chi? Noi Occidente, come se fossimo tutti la stessa cosa? Io non sono Obama, non sono Hollande, non sono Merkel, eccetera. Non agisco come loro, non faccio (per fortuna) le cose che fanno loro. Non bombardo la Siria. Non faccio parte di questo Noi. E poi: i droni che ammazzano i civili non sono superiori a chi spara in un teatro, si vedono solo meno, sono solo più puliti. Hanno più logica? Agiscono secondo logica? Non lo so. Anche i terroristi ne hanno una. Tutte le azioni umane sono mosse da una logica. E in ogni caso, basta avere una logica per essere superiori pur facendo le stesse cose, solo con mezzi diversi? E anche: siamo superiori Noi che siamo alleati dei regimi del golfo che finanziano quelli che hanno fatto la strage di Parigi?
    Tutto mi sembra, quantomeno, più ingarbugliato del Noi contro di Loro. Soprattutto perchè non si capisce chi siamo noi. A meno, secondo me, di non voler completamente cedere ai racconti televisivi.
    ciao, Loris

  2. Caro Massimo,
    volevo rispondere subito. Subito dopo che mia sorella mi ha chiamato in lacrime perché, tornando dalla spesa, aveva attraversato il X arrondissement e ancora si vedeva il sangue diluito nell’acqua che cercava di pulire le strade. Volevo rispondere subito dopo che ho letto la tua denuncia. Volevo rispondere che per me era addirittura troppo cattolica, che era invece giunto il tempo del Dio degli eserciti.
    Passava il tempo e intanto la finestra delle risposte restava bianca. Come mai nessuno risponde alle parole di Massimo? mi sono chiesto. Dove sono i sostenitori del ma anche? Si stanno creando l’argomento gisutificatorio e non riescono? Come mai mentre Parigi era una città aperta nel XX arrondissement si festeggiavano le stragi per strada, nessuno rispondeva? Sarà lo schock, mi sono detto. Poi ho riacceso il computer e anche oggi nessuna risposta.
    Dove sono i tetrapilologi della sindrome del complotto? Quelli che si rimirano nel manifesto del continuons le combat appeso nel cesso di casa? Che complotto stava ordendo una ragazza di ventotto anni, veneziana, a Parigi per un dottorato, uscita il venerdì sera per andare a ballare? E la commessa del Monoprix che le stava di fianco, le membra sventrate e scomposte, senza più viscere? Ragazze qualunque, di quelle che vedrete domani, in aula o alla casse dell’esselunga? Quale Occidente difendevano? Quale blasfemia commettevano?
    Avevano forse una gonna corta, forse troppo corta per difenderle dalle pallottole e ora insozzata dai grumi del loro stesso sangue? A cosa si attaccheranno i tetrapilologi, ora? Contro quali valori relativi e storicizzabili a una cultura urleranno per negare o non prendere posizione pubblica contro l’assolutezza storica di un crimine contro l’umanità. Quale attributo di quale onnipotenza di quale Dio, qualsiasi esso sia, difenderanno? Quale alterità giustifica ora l’attacco a tutto il nostro genere, compiuto da singoli uomini verso singoli uomini e donne fatti a brandelli per strada? Ballavano? E’ blasfemo? Sorbivano un caffé il venerdì sera? E’ offensivo? Erano donne e studiavano per farsi un avvenire. E’ empio?
    Ma l’avete sentito il cordoglio di Erdogan? Definirlo solo scandaloso, questa sì è blasfemia. Ma perché non c’è una condanna pubblica, forte e unanime da parte delle autorità politiche e religiose tutte. Dove sono gli schiamazzi degli aggregatori intellettuali? Gli stessi che, scuotendo la testa, si lamenteranno perché tra venti giorni la destra francese prenderà percentuali altissime. Con quale coscienza pulita diranno che era tutto organizzato per far salire la Le Pen?
    Cosa diranno ancora? Che l’argomento non tiene perché Daesh non è un vero califfato? Vadano a dirlo ai genitori dei ragazzi fatti a pezzi. Non lo faranno, statene certi, come non lo fecero con i parenti dei poliziotti di Valle Giulia … Parleranno di complotti, di media, di servizi deviati, disegneranno scenari e sputeranno, così, sulle tombe dei poveretti ammazzati – sputeranno sulle tombe dell’umanità.
    Umanità. Oh, quel concetto così astratto e occidentale e che davanti a ogni strage, a ogni singolo corpo smembrato, mostra tutta la sua forza e il suo valore, la superiorità di chi vi crede e ci ammonisce: ecco in cosa crede chi non crede. Umanità è il muro dei federati, sono le trincee del Carso, i lettini di legno di Dachau, le gabbie sotto terra dell’Indocina, le terre arse del Vietnam, le tende di Sabra e Chatila, la smorfia dei ragazzi in ginocchio ammazzati a Pechino, i monconi dei bambini Tutsi, le ragazze massacrate da Boko Haram. I morti di ieri.
    Mi chiedo e chiedo: in che modo il rumore assordante degli uomini che non rispondono, degli uomini del silenzio, aiuterà per costruire argomenti contro il populismo imbecille del nuovo leader della destra italica? Gli argomenti a posteriori, la previsione dei fatti dopo che sono accaduti è la specialità di questi uomini del silenzio. Quelli che diranno poi che non c’erano parole, e che il loro silenzio era rispetto. Ma quando mai.
    Il silenzio sarà pena, perché è già colpa omertosa di coloro che non fanno, non faranno e non fecero nulla – neanche due righe su un blog – contro il tentativo di imporre un oblio che l’umanità non si è scelta e che non volle, non vorrà e non vuole.
    Dedico a loro questa poesia di Brecht, perché per loro è stata scritta nel 1939. Si chiama A coloro che verranno: è una poesia nota. E si sa che si chiude con una preghiera d’indulgenza, una sorta di autoassoluzione che mi ha sempre lasciato stupito ogni volta che la leggo. Mi pareva una chiusa troppo indulgente nei confronti dell’accusa di ignavia per l’inazione che trasuda dai versi di Brecht. Mai come questa volte mi sono parse profetiche le parole del poeta: l’indulgenza è quella che si rivolge agli struzzi. Verrà loro negata.

    Davvero, vivo in tempi bui!
    La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
    vuol dire insensibilità. Chi ride,
    la notizia atroce
    non l’ha saputa ancora.

    Quali tempi sono questi, quando
    discorrere d’alberi è quasi un delitto,
    perchè su troppe stragi comporta silenzio!
    E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
    mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
    che sono nell’affanno?

    È vero: ancora mi guadagno da vivere.
    Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
    di quel che fo m’autorizza a sfamarmi.
    Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
    e sono perduto).

    “Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di averne”.
    Ma come posso io mangiare e bere, quando
    quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
    manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
    Eppure mangio e bevo.

    Vorrei anche essere un saggio.
    Nei libri antichi è scritta la saggezza:
    lasciar le contese del mondo e il tempo breve
    senza tema trascorrere.
    Spogliarsi di violenza,
    render bene per male,
    non soddisfare i desideri, anzi
    dimenticarli, dicono, è saggezza.
    Tutto questo io non posso:
    davvero, vivo in tempi bui!

    Nelle città venni al tempo del disordine,
    quando la fame regnava.
    Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
    e mi ribellai insieme a loro.
    Così il tempo passò
    che sulla terra m’era stato dato.

    Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
    Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
    Feci all’amore senza badarci
    e la natura la guardai con impazienza.
    Così il tempo passò
    che sulla terra m’era stato dato.

    Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
    La parola mi tradiva al carnefice.
    Poco era in mio potere. Ma i potenti
    posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
    Così il tempo passò
    che sulla terra m’era stato dato.

    Le forze erano misere. La meta
    era molto remota.
    La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
    quasi inattingibile.
    Così il tempo passò
    che sulla terra m’era stato dato.

    Voi che sarete emersi dai gorghi
    dove fummo travolti
    pensate
    quando parlate delle nostre debolezze
    anche ai tempi bui
    cui voi siete scampati.

    Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
    attraverso le guerre di classe, disperati
    quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.

    Eppure lo sappiamo:
    anche l’odio contro la bassezza
    stravolge il viso.
    Anche l’ira per l’ingiustizia
    fa roca la voce. Oh, noi
    che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
    noi non si potè essere gentili.

    Ma voi, quando sarà venuta l’ora
    che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
    pensate a noi
    con indulgenza.

    “A coloro che verranno”, 1939.

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