IL SOTTOSCRITTO

Gianni Bonina

Giornalista e scrittore. Vive a Modica. Ha pubblicato saggi di critica letteraria, romanzi, inchieste giornalistiche e reportage. È anche autore teatrale. Ha un blog all'indirizzo giannibonina.blogspot.com

“Nello-sfascio” della Sicilia

Ha cominciato in campagna elettorale con un insulto agli avversari, dicendo nel 2017 a Lentini che dei cinquestelle il più pulito aveva la rogna, e ha terminato come governatore della Sicilia pronunciando la stessa espressione, rivolta ai siciliani che professano da “mestieranti” il credo dell’antimafia. Musumeci, il “Nello-sfascio” della Sicilia, è stato più divisivo dei suoi predecessori, nessuno dei quali – da Cuffaro a Crocetta, passando per Lombardo – ha brillato per rendimento, risultati e spirito unitario. Senonché Musumeci ha fatto di più, cioè di peggio, non rendendosi conto che la maggiore quantità di rogna l’ha avuta addosso lui: si è inimicato interamente l’Assemblea regionale, al punto da non presentarsi per rimettere le dimissioni solo per non avere avuta accolta la pretesa che non ci fosse dibattito in Aula: sottraendosi quindi a un obbligo prima morale e poi politico.
Mollato dall’intero Centrodestra, compresa Giorgia Meloni, che per lui non ha voluto nemmeno alzare il dito per spendere una parola, rendendosi evidentemente conto della nullità del “camerata” Nello, il governatore in doppiopetto continua ad agitare il suo diritto di presidente uscente a essere ricandidato, smentendo nei fatti la sua reiterata manifestazione di volontà intesa a fare un passo indietro in mancanza di un consenso unitario. E’ arrivato ad annunciare le dimissioni in un video senza però mai parlare di dimissioni e adducendo “ragioni di buon senso” per giustificare l’Election day del 25 settembre, solo in vista del quale ha dovuto appunto dimettersi. Nondimeno è pronto a rimanere nella sua poltrona, forte di un’attività governativa che solo lui vede positiva. Gli stessi alleati gli rimproverano incapacità, inettitudine, prevaricazionismo, assolutismo, oscurando l’immagine che il ducetto in barbetta si era fatto come presidente della Provincia di Catania. Vestendo sempre l’abito dell’uomo per bene, mai sfiorato dalla mano della giustizia, Musumeci ha potuto anteporre la propria fedina immacolata alla stessa fede di partito, arrivando a nominare sua portavoce una ex parlamentare del Pd (che non si è mai fatta notare) e tenendo a casa quanti nell’ambito della Destra vantavano pur maggiori titoli dell’amica Michela Giuffrida.
Con gli amici Musumeci è stato invero di fede assoluta: all’assessore Razza (tutt’oggi sotto inchiesta per avere falsificato il numero dei morti di Covid giocando a spalmarli in giorni diversi per fare apparire, minimizzando la mortalità, la Sicilia zona meno rossa, ma così moltiplicando il rischio di contagi) ha manifestato attaccamento fino alla complicità richiamandolo nello stesso posto di assessore alla Sanità il giorno dopo la cessazione delle polemiche. Ad un amico del suo paese natale, titolare di un maneggio colpito da un’ondata di maltempo che lo ha semidistrutto, ha prestato soccorso mettendogli in mano un milione e trecentomila euro per ristrutturare l’azienda allo scopo di adibirla a sede della prima Fiera mediterranea del cavallo. Tutte le altre aziende di allevamento equino e agricole devastate dai nubifragi non hanno avuto né un euro né un chilo di carne di cavallo.
Fraterno con gli amici, Musumeci è filiale con i suoi padrini. Lo fu da giovane con Santagati, il deputato nazionale del Msi del quale era il figliolo putativo, e lo è oggi con Mario Ciancio, che ricambia assicurandogli l’appoggio incondizionato e imbarazzante de “La Sicilia”. Linguacce dicono che Michela Giuffrida, già direttore prediletta di un’emittente televisiva di Ciancio, sarebbe arrivata da ex parlamentare europea a collocarsi al fianco del governatore su pressante richiesta proprio dell’editore catanese sotto inchiesta per mafia.
Di sicuro non rimarrà da solo di fronte a una scelta che a giorni dovrà prendere: se candidarsi in Fratelli d’Italia al Senato o alla Camera. Insomma per lui non varrà mai la regola di quei “rognosi” dei cinquestelle che dopo due mandati tornano per strada: nato per fare politica e vivere di politica, cresciuto come giornalista pubblicista solo per avere strumenti di potere e visibilità, dipendente del Banco di Sicilia con troppi impegni pubblici per stare ogni giorno dietro uno sportello, il governatore sbugiardato per ultimo da un umile cronista di Report che gli ha opposto la bocciatura di tutti i suoi progetti destinati al Pnrr, non vuole mollare l’osso. Del resto lo sa da mezzo secolo che a destra chi molla è boia. Tutto gli si può rimproverare, ma certamente non di non essere di destra. Il pizzetto lo porta infatti da quando aveva vent’anni, anche se forse D’Annunzio non lo ha mai letto.

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