L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Natale

E’ un po’ come quando ci si trova tra colleghi – quale che sia il lavoro che si fa – e si sente la tentazione di sottrarsi alle tradizionali lamentele per le condizioni di lavoro e magari spingersi fino a dire che lo stipendio ci sembra sufficiente e magari addirittura abbondante. Non si può, è vietato dalle regole della convivenza sociale: è sempre in corso il campionato della sfortuna e non ci si può vantare pubblicamente di essere negli ultimi posti; è quasi come bestemmiare.
Una volta un’amica, che cercavo di persuadere ad affrontare un problema con calma e senza drammatizzare, mi disse, con aria un po’ sprezzante: tu devi avere avuto un’infanzia felice. Ecco; ho capito che si tratta di un’altra affermazione che tende a sottrarci al campionato e dunque da evitare. Eppure se ci penso, devo proprio ammettere che ho avuto un’infanzia felice e che i ricordi di quel periodo sono dolci, come piacevoli sono molti altri ricordi anche della vita successiva. Succede, soprattutto nel periodo natalizio, che i ricordi si affollino e devo ammettere che non mi procurano tristezza. Molti sono definitivamente legati a un passato che non c’è più, ma questo è inevitabile perché – come dice il mio Agostino – viviamo nella regione della dissomiglianza dove tutto ha inizio e fine.
Temo sia responsabilità di quella inconfessabile infanzia anche il fatto che non nutro sensi di colpa e non riesco a condividere – almeno sul piano personale – il mito del peccato originale. Riesco a comprenderlo sul piano storico, forse antropologico, ma non sul piano esistenziale, per cui non mi sento nelle condizioni di dover essere salvato. L’idea di un dio che si fa uomo per restaurare il mondo, che egli stesso avrebbe fatto nel modo in cui è fatto, mi sembra bellissima e fondamentale per la storia del pensiero occidentale, anche perché ha in qualche misura permesso che non venga condannata la carne ma, affinché la natura viva, muoia la colpa (Agostino, Discorso 184), ma non mi coinvolge sul piano personale.
Esiste naturalmente il problema del senso ed è probabilmente inevitabile quella tensione condensata mirabilmente nelle parole di uno dei predicatori a noi contemporanei:

Voglio trovare un senso a questa sera / Anche se questa sera un senso non ce l’ha / Voglio trovare un senso a questa vita / Anche se questa vita un senso non ce l’ha / Voglio trovare un senso a questa storia / Anche se questa storia un senso non ce l’ha / Voglio trovare un senso a questa voglia / Anche se questa voglia un senso non ce l’ha (Vasco Rossi).

Ma non riusciremo davvero mai ad accontentarci di quel non ce l’ha e impegnarci a conferire piccoli limitati significati alle piccole e limitate vicende che ci tocca di vivere?
E però il Natale è diventato anche festa di quella infanzia di cui si diceva sopra, e allora metto da parte le riserve filosofiche e religiose e, in nome della colpa ammessa – una infanzia felice – auguro a tutti un buon Natale e mi appresto a viverlo in compagnia di dolcissimi ricordi.

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