MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Migranti, i “Sequestratori” greci. La zona rossa della vergogna

Dai “Ricattatore” di Ankara ai “sequestratori greci”. ‘autorevole The New York Times denuncia l’operato di Atene, che “sta imprigionando i migranti in isolamento in un sito segreto, situato nel Nord-Est del Paese, prima di espellerli in Turchia senza che possano presentare richiesta di asilo o parlare con un avvocato”. Lo scrive il quotidiano mostrando un’immagine satellitare. Stando alle indiscrezioni fatte trapelare dal giornale, sarebbero stati gli stessi migranti a confidare ad alcuni giornalisti di essere stati catturati, privati dei beni, picchiati ed espulsi dalla Grecia senza aver avuto la possibilità di presentare richiesta di asilo o di parlare a un avvocato. Diverse persone sentite dal giornale hanno raccontato di essere state catturate, private delle loro poche cose, picchiate ed espulse forzatamente dal paese senza avere la possibilità di chiedere asilo o di parlare con un avvocato: in totale violazione, dunque, del principio di non respingimento dei richiedenti asilo previsto dal diritto internazionale ed europeo. L’esistenza del centro segreto è stato confermato da una serie di dati e testimonianze raccolte sul campo e dalle analisi delle immagini satellitari. Il sito segreto scoperto dal New York Times si trova nella parte nord-orientale della Grecia. François Crépeau, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e ora professore di diritto internazionale presso la McGill University (Canada), ha affermato che il luogo sarebbe l’equivalente di un black site, che nel linguaggio militare indica una località in cui viene portato avanti un progetto segreto e non ufficiale, in violazione dello stato di diritto.

Intervistato un ingegnere curdo-siriano di nome Somar al Hussein, uno dei primi migranti costretti dal governo turco, a fine febbraio, a raggiungere la Grecia. Dopo aver trascorso una notte sotto la pioggia sulla riva del fiume Evros, che corre lungo il confine tra Turchia e Grecia, al Hussein ha detto di essere salito con altri migranti su un gommone per attraversare il fiume e arrivare in territorio greco. Il suo viaggio è terminato un’ora dopo: catturato dalle guardie di frontiera greche, lui e il suo gruppo sono stati portati in un luogo di detenzione. Come ha potuto ricostruire dal cellulare, il sito si trovava a poche centinaia di metri a est della città di Poros, vicino al confine. La struttura era formata da tre capannoni con il tetto rosso disposti a forma di U. Lì, ha raccontato al Hussein, c’erano centinaia di migranti come lui, dentro e fuori dalla struttura. Somar al-Hussein è stato portato dentro e stipato in una stanza con dozzine di altre persone. Gli hanno confiscato il telefono per impedirgli di fare chiamate, e le sue richieste di domanda di asilo e di contattare i funzionari delle Nazioni Unite sono state ignorate.

“Per loro siamo come animali”, ha detto delle guardie greche. Dopo una notte senza cibo e acqua è stato riportato al fiume Evros e trasportato in territorio turco a bordo di un piccolo motoscafo dagli agenti greci: di fatto, è stato respinto senza la possibilità di chiedere asilo, come previsto dalle leggi greche, internazionali ed europee La struttura era formata da tre capannoni con il tetto rosso disposti a forma di U. Lì, ha raccontato al Hussein, c’erano centinaia di migranti come lui, dentro e fuori dalla struttura. Somar al-Hussein è stato portato dentro e stipato in una stanza con dozzine di altre persone. Gli hanno confiscato il telefono per impedirgli di fare chiamate, e le sue richieste di domanda di asilo e di contattare i funzionari delle Nazioni Unite sono state ignorate. “Per loro siamo come animali”, ha detto delle guardie greche. Dopo una notte senza cibo e acqua è stato riportato al fiume Evros e trasportato in territorio turco a bordo di un piccolo motoscafo dagli agenti greci: di fatto, è stato respinto senza la possibilità di chiedere asilo, come previsto dalle leggi greche, internazionali ed europee. Al-Hussein, scrive il New York Times, è stato uno dei numerosi

Tramite incroci di informazioni, descrizioni, dati e coordinate satellitari, il Nyt  è riuscito a localizzare il centro di detenzione, che si trova nei terreni agricoli tra Poros e il fiume Evros.

Un ex funzionario greco che conosce i metodi della polizia ha confermato l’esistenza del sito, che non è classificato come struttura di detenzione ma che viene utilizzato in modo informale durante i periodi di elevati flussi migratori. Venerdì scorso, tre giornalisti del quotidiano Usa sono stati fermati a un posto di blocco della zona da agenti di polizia in uniforme e da ufficiali delle forze speciali con il volto coperto, senza poter verificare di persona le informazioni raccolte.

Alcuni giornali greci hanno riportato in modo dettagliato l’inchiesta del New York Times, sottolineando però la posizione della Grecia: se migliaia di rifugiati continueranno ad arrivare, il timore è che rimarranno per anni sovraccaricando il paese con scarso sostegno da parte degli altri paesi membri dell’Unione Europea, aggravando le tensioni sociali, un’economia già in difficoltà e la situazione già complicata dei migranti presenti.

I respingimenti al confine terrestre con la Turchia non sono le uniche violenze compiute nelle ultime settimane dalla Grecia. Lunedì 2 marzo le forze dell’ordine greche hanno ucciso un richiedente asilo siriano con un colpo di pistola sulla riva occidentale del fiume Evros. Si chiamava Mohammad Arab, aveva 22 anni ed era scappato cinque anni fa da Aleppo, in Siria. Un video girato poco dopo il ferimento di Arab è autentico, come ha dimostrato un rispettato gruppo di ricercatori e giornalisti con sede a Londra chiamato Forensic Architecture  Ma il portavoce del governo greco Stellos Petsas lo aveva definito una “fake news” e un esempio della «propaganda turca», il cui obiettivo sarebbe mettere in cattiva luce il governo greco e la gestione dei migranti al confine.

Sulla pelle, vera non “metaforica”, di milioni di disperati si consuma lo scontro tra Ankara e Atene.  “Non c’è alcuna differenza tra quello che hanno fatto i nazisti e le immagini provenienti dalla frontiera greca”, afferma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, accusando Atene di violenze sui migranti. “Sparare e usare ogni tipo di mezzo inumano contro persone innocenti, il cui solo obiettivo è salvare la propria vita e offrire un futuro migliore ai propri figli, è una barbarie”, ha attaccato il “Sultano”, che ha preso di mira anche l’Unione Europea:  “Finché tutte le aspettative della Turchia non verranno soddisfatte in modo tangibile, manterremo le attuali misure alle nostre frontiere” rispetto ai migranti, minaccia Erdogan, citando tra le richieste all’Ue la “libertà di movimento” dei turchi in Europa, “la revisione dell’unione doganale e l’assistenza finanziaria”. Il ricatto va avanti.

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