MALA TEMPORA

Marco Vitale

Lettera a Maria: grazie Grillo

Cara Maria,

mi chiedi qualche riflessione sulle recenti elezioni politiche. Con piacere Ti indirizzo questa nuova “Lettera a Maria”.

Tante sono le riflessioni che le, non più recenti, elezioni politiche ed il tormentone che ne è seguito suggeriscono. Cercherò di concentrarmi su quelle che mi paiono essere più importanti.

  1. Se si sommano i voti antisistema ed il non voto (assenti, schede bianche, schede nulle), la prima riflessione che emerge su ogni altra, è che la grande maggioranza degli italiani non ha più fiducia nella democrazia costituzionale. Il primo tema, dunque, è come ricuperarla perché continuando così la democrazia finisce per consunzione.
  2. La seconda è che il voto, ancorché antisistema e senza prospettive concrete, è comunque più utile del non voto. Il Movimento Cinque Stelle, ancorché incapace di indicare una prospettiva seria e fattibile; ancorché guidato da due persone,  per motivi diversi, scostanti e sconcertanti; ancorché, almeno per ora, incapace di costruire; ancorché appartenente alla non esaltante categoria degli sfascia carrozze, è quello che ha determinato i più importanti cambiamenti, parecchi dei quali positivi. Senza il voto importante al Movimento Cinque Stelle, la debolezza profonda del PD non sarebbe stata svelata, il presidente della Repubblica sarebbe Marini, il presidente del Consiglio sarebbe stato Bersani con il suo museo delle cere e la sua visione ottocentesca del mondo; il relativo rinnovamento della classe di governo non ci sarebbe stato (anche se è già stato molto annacquato a livello di sottosegretari); la pur tenue speranza che alcune riforme istituzionali fondamentali possano venire realmente affrontate, sarebbe stata soffocata sul nascere. Se, insomma, qualcosa di nuovo si è, alla fine, mosso, lo dobbiamo a Grillo ed a chi ha votato per il Movimento Cinque Stelle. Mi meraviglio che Grillo non rivendichi tutto ciò come una propria vittoria e non guidi, partendo proprio da qui, l’evoluzione del Movimento per attrezzarlo come futura forza di governo.

Nessuno può sapere come andrà a finire. I rischi per la democrazia e per l’economia italiana restano altissimi. Ma qualcosa si è messo in modo e da questo moto può nascere anche qualcosa di buono. Se si è riaccesa la speranza, ciò è dovuto, in gran parte, al voto degli indignati del Movimento Cinque Stelle, che non si sono rifugiati nel non voto ma hanno voluto, sia pure pasticciando, entrare nelle istituzioni per tentare di migliorarle. Per questo io dico: grazie Grillo.

3. Il fallimento dell’operazione Monti sia a livello di governo che a livello politico, chiude definitivamente le speranze di chi l’ha sostenuta. Non varrebbe la pena di parlarne se l’analisi della stessa, non rappresentasse un promemoria importante per il governo Letta, un elenco di errori da non replicare. Dopo una prima fase positiva ed importante che ha ridato dignità e respiro al Paese evitandone la bancarotta al limite della quale l’aveva portata Berlusconi, e per la quale la gratitudine per Monti resta grande ed immutata, la sua politica successiva alla prima fase, si è sviluppata attraverso una serie concatenata di gravi errori (includendo in questo concetto anche le omissioni):

–         applicazione ottusa e talebana, con l’ansia del primo della classe, della politica di riequilibrio della finanza pubblica imposta dall’Europa, senza negoziare, salvo molto tardivamente, spazi funzionali alla crescita;

–         non avere utilizzato il potere straordinario che la situazione di emergenza inizialmente gli offriva per imporre alle forze politiche, spaurite e disorientate, alcune riforme istituzionali essenziali, ed in particolare quella della legge elettorale;

–         non avere fatto nulla di serio e strutturale sul fronte della spesa pubblica. Lo spending review è stato disastroso, nelle modalità e negli effetti. Ciò che era ed è necessario sono drastiche misure di ristrutturazione della macchina della PA e delle strutture politiche. Conseguentemente l’aver puntato tutto sul prelievo fiscale, portato ad un livello molto elevato, è stato un grave errore;

–         avere affidato, in gran parte, il governo ai vertici della burocrazia, mentre un buon governo deve contrapporsi e non esserne succube all’alta burocrazia che è, oggi, una delle concause principali dell’affondamento del Paese;

–         aver affidato la gestione di una partita essenziale, come quello della riforma dell’organizzazione del lavoro, ad un ministro, come la Fornero, manifestamente priva di qualunque conoscenza ed esperienza in materia di imprese e lavoro e l’averla stimolata e guidata sulla base di idee errate (come quella, condivisa da Monti, che la battaglia sull’articolo 18 avrebbe stimolato l’occupazione), criticate dal presidente di Confindustria e dalla maggior parte degli esperti indipendenti;

–         non avere fatto nulla per contrastare il “credit crunch” bancario;

–         non aver fatto nulla di serio per contrastare la corruzione, che è il maggior cancro del Paese;

–         non avere fatto nulla per contrastare il diffondersi nel Paese di una psicologia disfattista;

–         e “last but not least” avere, con la sciagurata operazione Albertini in Lombardia, dato una mano decisiva per far vincere, in questa regione fondamentale, la Lega, partito screditato dagli scandali ed insignificante a livello nazionale, ma che controlla, così, tre delle quattro principali regioni del Nord. Sul piano politico ed elettorale le maldestre modalità della discesa in campo di Monti, hanno semplicemente contribuito all’ingovernabilità del Paese. Guardando avanti, questo piccolo partito d’azione potrà, forse, svolgere una utile azione di stimolo critico come fece, negli anni migliori, il PRI. Ma Mario Monti non è Ugo La Malfa.

4.      Se Grillo è il vincitore sul piano ideale (il suo movimento è quello che ha avuto il maggior incremento di voti), se il PD è il grande sconfitto elettorale ed ancor più politico, se Monti ed il suo movimento sono patetici, il vincitore sul piano pratico è Berlusconi e il berlusconismo. Non ho detto: il PDL (di un partito serio di destra e liberale ci sarebbe tanto bisogno), ma Berlusconi e il berlusconismo, perché il vincitore vero è Berlusconi, come persona, prima di tutto nei confronti dei suoi che lo volevano rottamare e poi nei confronti del popolo italiano che, pur riducendogli in modo sostanziale, le adesioni, gli ha dato ancora un numero di voti sufficiente per permettergli, accompagnandoli con un’abile politica, di conquistare il banco.  Dicono che Napolitano abbia una grande forza in mano, rappresentata dalla facoltà di sciogliere il parlamento o di dimettersi. Ma la stessa forza di ricatto l’ha Berlusconi. Se Letta, il giovane, tenterà di fare qualcosa di serio in materia di conflitti d’interesse, di contrasto alla corruzione, di regolamentazione dei partiti, di politica della comunicazione televisiva, di politica energetica, o di altra cosa necessaria per il Paese, ma non gradita all’amico di Putin, verrà stoppato e, se insiste, verrà mandato a casa con tutto il Parlamento. Forse, se parte subito, il governo Napolitano-Letta riuscirà a fare una legge elettorale e sarebbe già grande cosa. Ma bisogna fare molto in fretta e non perdere tempo, come fece Monti. Berlusconi è un camaleonte. Dopo “l’epoca delle stragi”, può, come sta facendo, innestare la recita dello statista, con l’obiettivo di diventare il successore di Napolitano, passando o meno attraverso la nomina di senatore a vita. Questa è la grande minaccia che grava su tutti noi. Il tempo per riorganizzare una difesa, sul piano politico e dei partiti, è ridottissimo, mentre processi di riorganizzazione di questo tipo richiedono tempi lunghi e leader totalmente nuovi (vedi cosa è riuscita a fare la Serracchiani in Friuli, che non è zona dove domini la sinistra come in Emilia o Toscana, semplicemente smarcandosi dal suo partito; è quello che abbiamo cercato di fare in Lombardia con Ambrosoli, perdendo per pochi voti, in grande parte attribuibili alla sciagurata operazione Albertini – Monti), nuovi leader completamente liberi da quell’attrazione sado-masochista verso Berlusconi che attanaglia, da venti anni, gli attuali leader del PD. Noi ricordiamo gli attacchi forsennati di Berlusconi alla magistratura, le leggi ad personam, l’occupazione del Tribunale di Milano, le aggressioni ad altre istituzioni, al 25 aprile, alla memoria della Resistenza, alla Costituzione, i comportamenti pagliacceschi ed inaccettabili nei confronti di capi di stato e di governi stranieri. Noi non dimentichiamo che grazie a lui, oggi, nel mondo al nome Italia non si affianca più quello di Garibaldi o di Verdi ma quello del bunga bunga. Non si tratta di coltivare l’antiberlusconismo, cosa che non ho mai fatto, ma di non dimenticare, di conservare l’unitarietà del personaggio, di non cadere nell’inganno che sta tentando Berlusconi di trasformarsi in moderato e responsabile uomo di stato. Se qualcuno nutre dei dubbi su questo camuffamento, pensi alla smisurata arroganza, alla mancanza di ogni limite e di ogni decenza, testimoniata dall’autocandidatura a guidare la costituenda (e discutibile) Convenzione per le riforme istituzionali. Come scrive con efficacia M. Giannini su La Repubblica del 4 maggio: “La Convenzione ad personam sarebbe davvero troppo. Persino per questa stupefacente”epifania” dalle larghe intese”. Ma anche l’imposizione di alcuni sottosegretari impresentabili è un segnale senza equivoci. Ma Berlusconi riscuote ancora larghi consensi e per bilanciare il suo potere legittimato dal voto, è necessario contrapporgli una forza politica capace, per numero e qualità, di farlo. Purtroppo niente di serio si vede, per ora, all’orizzonte, salvo il tentativo di Barca di suscitare del pensiero intorno alla forma-partito, e la posizione coerente di Vendola che, però, opera in una posizione condannata a rimanere minoranza. Credo che la rifondazione del PD sia necessaria, ed è da augurarsi che i Renzi, i Chiamparino, i Barca entrino decisamene in campo. Le agitazioni di tanti giovani in molte sedi del PD sono un segno positivo. Ma non sarà per niente facile perché ciò che è necessario è un grande aggiornamento di persone capaci di portare il PD nel tempo contemporaneo. Ma l’ingresso nel nostro secolo è compito che ancora attende anche parte del sindacato. Il governo di necessità di Letta non è una formula politica sulla quale si può costruire il futuro politico del Paese, ma può assicurare solo un po’ di tempo per riordinare le cose dopo lo sconquasso, potenzialmente ed in parte salutare, conseguenza delle elezioni: per rifondare il PD da parte di uomini completamente nuovi con un pensiero aggiornato; per vedere se il Movimento Cinque Stelle riesce a darsi un assetto utile al Paese, per sfidare il sindacato sul piano della civiltà del lavoro; per cercare le vie per riconciliare con la democrazia e la Costituzione quella maggioranza di italiani che ad esse hanno volto le spalle per ricuperare, almeno in parte, la perduta competitività del Paese. Se Letta riuscirà a portare in porto due o tre riforme istituzionali essenziali ed a trovare un rapporto più equilibrato e meno servile con l’Europa, ciò potrà giovare. Ma ci sarà concesso il tempo necessario?

 

Nel frattempo si possono fare solo due cose. Pregare il cielo che ci protegga e seminare conoscenza, consapevolezza, forza morale, indignazione, amore per la libertà, valori costituzionali, in uno spirito e con un linguaggio di verità; formare cittadini e non sudditi.

 

Insomma fare quello che stai facendo Tu, con le Tue pubblicazioni e le Tue attività, sostenute da pochi mezzi ma da un coraggio ed una volontà indomite.

 Un caro saluto.

 

Marco Vitale

www.marcovitale.it

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