ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

LA FINE DELLA SINISTRA DI GOVERNO

Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 4 marzo 2023
Giovanni Cominelli

Elly Schlein segretaria del Pd. La fine della “sinistra di governo”

L’elezione di Elly Schlein a segretaria del PD chiude una storia vecchia: questo è un fatto. Ne apre una nuova? Questa è un’aspettativa o, forse, un’illusione.
Il fatto: si tratta di una cesura radicale della storia di quella parte di sinistra italiana che viene dal PCI e dalla DC. Il 27 giugno del 2007, al Lingotto di Torino, si fusero – così almeno si pensò, all’epoca – i resti del PCI-PDS-DS e quelli del Partito popolare di Martinazzoli, nato il 18 gennaio 1994 dalla frantumazione della vecchia DC, poi ulteriormente splittato in Cristiano sociali, Margherita (l’antica sinistra dc), CDU, UDC e UDEUR, composta quest’ultima, dai famosi “straccioni di Valmy”, guidati dal “rivoluzionario” Francesco Cossiga. L’amalgama si chiamò Partito democratico. La scommessa: mettere insieme i filoni riformisti della società civile italiana di origine comunista e cattolica, che la cortina di ferro aveva separato. Troppo labili, fin da allora, furono le tracce socialiste e liberali.

Metterli insieme, per costruire una forza tranquilla di governo, che fosse capace di guidare il Paese, gettato nell’oceano turbolento del XXI secolo, inaugurato dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001 e dalla disastrosa guerra in Iraq del 20 marzo 2003. Il Paese del 2007 non era affatto la terra promessa annunciata dal vittorioso Berlusconi del 2001, ma un Paese in declino, che la litigiosa Unione – costituita attorno a Romano Prodi da ben 24 sigle e vittoriosa nelle elezioni del 2006 per soli 25.000 voti sulla Casa delle libertà – non riusciva a liberare dalle pigrizie corporative del quinquennio berlusconiano. La sconfitta dell’Unione nel 2008 non favorì il progetto veltroniano. Incominciò la girandola dei segretari-meteora e della partecipazione, dal 2011, a quasi tutti i governi fino al 2022. Storia vecchia e finita. Se i governi di partecipazione hanno avuto momenti felici con Renzi, discreti con Gentiloni e felicissimi con Draghi, il PD non si è mai identificato compiutamente con il ruolo di governo: è stato “al governo” più per amore di potere che per scelta culturale convinta. Non è diventato “sinistra di governo”. Altre volte si sono analizzate, qui, le cause della mancata metamorfosi culturale delle componenti fondamentali dell’amalgama, tenacemente avvinghiate alle culture fondative del primo Novecento. Alcuni commentatori sospettano, oggi, che la cesura sia la prova che “le mort saisit le vif”, ancora una volta. E perciò parlano di un ritorno del massimalismo o addirittura del vecchio PCI. Ma non è certo manovrando le categorie novecentesche che si può capire la novità di Schlein.

La fine della “sinistra di governo”

A comprenderla meglio ci aiuta un preveggente appunto dell’intellettuale cattolico-liberale Giorgio Armillei, che già nel 2010 descriveva l’identità della sinistra post-veltroniana, segretario Bersani, quale “ostaggio di un micidiale mix fatto di statalismo economico e di libertarismo individualistico”. Il PD uscito dai gazebo del 26 febbraio 2023 è quell’ostaggio. Il PD della Schlein non è né vetero-comunista né vetero-massimalista. È il partito dei diritti totali, perché l’antropologia filosofica egemone prevede che la libertà umana sia autodeterminazione assoluta, senza confini, che l’essere umano sia un fascio di diritti in espansione. E la comunità? E’, appunto, un’associazione degli aventi diritti. Diritti disincarnati, senza tradizione, senza storia, senza patria. E’ la versione giacobina della globalizzazione, l’universalismo astratto criticato da Hegel.
Il partito non è un partito, è un partito-movimento: un intreccio sincretico di storie giustapposte e con-fuse, che ha preso possesso del PD. Qualcuno la chiama impropriamente “contendibilità”. Forse più preciso il vocabolo “occupabilità”. Del resto, “Occupy PD”, via Sardine, è stata il primo progetto politico di Elly Schlein. L’elezione a segretaria ne costituisce il compimento.
Che cosa tiene insieme il pulviscolo degli individui, che rivendicano accanitamente i propri diritti nei confronti di ciascun altro e pretendono i doveri di ciascun altro verso di sé? Lo Stato, appunto, lo Stato-Welfare: i vecchi diritti emancipazionisti e quelli liberisti/libertari devono essere garantiti per legge dallo Stato e finanziati dallo Stato. Quanto ai diritti sociali – tra cui i diritti al salario minimo, al reddito di cittadinanza e al superbonus (?) – sono una declinazione dei diritti individuali e devono essere altrettanto garantiti/finanziati dallo Stato. Avanti con la spesa pubblica e il debito pubblico! E l’economia? Evviva la decrescita felice. Al punto che la crescente domanda di elettricità è considerata dalla Schlein una patologia sociale.

L’opposizione in contro-dipendenza
A questo PD la dimensione-governo non interessa. Anzi, si vergogna di aver governato con Renzi, Gentiloni e Draghi. Così stando le cose, l’opposizione del nuovo PD si profila non come “opposizione di governo” al governo Meloni, che compete, dall’opposizione, per le migliori proposte di governo del Paese. Si prospetta, invece, quale “opposizione in contro-dipendenza”: se Meloni dirà A, Schlein dirà Non-A. Insomma: l’agenda la detterà Giorgia Meloni. Quella della Schlein sarà la contro-agenda.
Consegue dal fatto che il nuovo PD-Schlein è un partito identitario, non è un partito-programma. Sta facendo il percorso inverso rispetto a Fratelli d’Italia, un partito arrivato al governo sull’onda di un’opposizione identitaria e che ora si trova a fare “la destra al governo”, nella speranza di diventare “destra di governo”. Intanto, l’investimento sull’identità accomuna il PD alle correnti radicali di minoranza del Partito democratico americano e del Partito laburista inglese e a Nupes (La Nouvelle Union populaire écologique et sociale) del francese Jean-Luc Mélenchon. Tutti uniti dalle sconfitte passate e presenti, provocate dall’incapacità di rappresentare/ricomporre le fratture sociali e culturali crescenti tra i ceti colti urbani e le periferie territoriali e sociali, tra i dipendenti statali e i ceti produttivi, questi ultimi graziosamente regalati a Trump, a Johnson, a Le Pen e a Meloni. Il programma è un assemblaggio delle pie intenzioni di animulae vagulae blandulae…

Se il nuovo PD rinuncia consapevolmente alla rappresentanza di una gran parte della società italiana, a partire da quella decisiva dei “ceti produttivi” della “manodopera” e della “mentedopera”, quelli che producono la ricchezza da redistribuire, c’è da attendersi una secessione molecolare di vecchi elettori di sinistra verso l’astensionismo e di vecchi iscritti del PD verso la possibile offerta di una nuova “sinistra di governo”. Si aprono vaste praterie a chi volesse costruirla? Dipende! Finora si distendono vaste praterie di parole.

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