ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

ITALIA. PROPORZIONALE CON PALUDE…

Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 21 maggio 2022
Giovanni Cominelli

Italia, proporzionale con palude. C’è un anno di tempo per consegnare agli elettori il potere politico reale

Disponiamo di un governo degasperiano tra i migliori della storia della Repubblica, ma i partiti lo “sostengono” come “la corda sostiene l’impiccato”, secondo un vecchio adagio leninista. Dei quali solo il PD, ancorché non tutto, pare essere il più leale. Il M5S è platealmente e disordinatamente diviso, Salvini oscilla qual canna al vento, Forza Italia sbanda dietro di lui, Fratelli d’Italia sta programmaticamente all’opposizione, salvo però appoggiarlo con maggior determinazione dell’intero centro-destra proprio sulla questione cruciale: quella della pace e della guerra. Draghi è un “regalo” prezioso e transitorio del Covid e di Putin. Ma tira un’aria di incertezza, di instabilità, di precarietà. Delle quali è segno la discussione di una nuova legge elettorale proporzionale.

La cosiddetta Seconda repubblica, che era incominciata con l’ottima idea di far scegliere il governo agli elettori, sta tornando al punto di partenza della Prima: il governo lo scelgono i partiti. I quali, nel frattempo, si sono trasformati in sindacati di settori sociali particolari, come tali incapaci di fare un’offerta politica nazionale. O, per peggio dire: competono per offrire dignità di rappresentanza nazionale alle pulsioni protezionistiche e assistenzialistiche della società, trasformandole in interesse comune. Chi produce ricchezza, sviluppo, occupazione, ricerca è senza rappresentanza. E’ il doroteismo/andreottismo perenne, per il quale il potere non è al servizio della politica, ma la politica – come visione del Paese e come programma fondamentale – è al servizio del potere. Donde il disfacimento culturale e programmatico dei partiti, donde le coalizioni più improbabili. Così Dario Franceschini, democristiano di lungo corso, proclama che l’alleanza tra PD e M5S è strategica, cioè serve a far vincere le elezioni. E il programma? Ciò che conta sono i Ministeri, gli apparati amministrativi, le clientele. Che questa modalità stia generando un crescente rifiuto astensionista della politica; che la bassa reputazione della democrazia italiana ne sia l’effetto e non la causa; che non siano “le forze oscure della globalizzazione in agguato” a indebolire la democrazia italiana – con una gravità sconosciuta alle democrazie europee – ma l’attuale struttura e modalità di esistenza dei partiti appare una constatazione dovuta.

Il rimedio? Eccheggia da versanti partitici e giornalistici “un suono di crudo lamento”, che invoca il ritorno al sistema elettorale proporzionale, che è fatto apposta per scoraggiare ogni alleanza preventiva e per favorire ogni possibile connubio successivo. La sinistra sa che difficilmente vincerebbe le elezioni in coalizione con il capriccioso e mal ridotto alleato M5S. Però con il proporzionale può impedire alla coalizione di destra di vincere. La destra, viceversa, difende, ma non tutta, il vigente Rosatellum – 37% di maggioritario, 61% di proporzionale, 2% voto estero – perché i sondaggi la danno vincente. Alla base delle opposte opzioni sta, tuttavia, una dottrina sistemica condivisa: i partiti, non gli elettori, devono decidere del governo. In questo gioco democratico ristretto al sistema partitico, il sistema elettorale diviene così strumento dei partiti, non degli elettori. Di qui la deriva astensionista, che il divario tra l’azione positiva del governo e quella rallentante dei partiti paradossalmente accelera.

L’argomento nobile a favore del ritorno al sistema proporzionale è che esso libererebbe ciascun partito dai compromessi al ribasso delle coalizioni, così che ciascuno potrebbe finalmente presentarsi al cospetto degli elettori “sine macula et sine ruga” e poi, dopo le urne, costruire le alleanze, in base al principio classico dell’ “asinus asinum fricat”, l’asino si sfrega con l’asino. Ciascun partito può squadernare finalmente propria identità, visione, programma e poi si vede. Ma è proprio qui che casca…l’asino, almeno per quanto riguarda il PD, ma non solo. Una volta faticosamente ribadito con Letta lo schieramento europeo/atlantico, che ne é di “tutto il resto”? Quale politica dello sviluppo e del lavoro? E della scuola? E del fisco? E, in primo luogo, delle istituzioni democratiche? Agli elettori si intende riconoscere il diritto di scegliere rappresentante e governo? E’ o no questo un tempo di riforma della forma-di-governo e perciò della forma-partito? Nelle timide e assenti risposte a tali domande emergono i limiti di costruzioni partitiche malriuscite, che hanno come unico collante l’esercizio doroteo del potere. Presentandosi da soli, i partiti faranno emergere, ancor più che in coalizione, tutta la miseria della loro visione. Se l’identità è povera, nessun sistema elettorale, né maggioritario né proporzionale, la potrà arricchire. Povertà culturale e di radicamento nel Paese e adozione del sistema elettorale della Prima repubblica mandano due messaggi chiarissimi e disperati: a) il Paese non si può cambiare, né ieri, né oggi, né domani; b) la politica è faccenda esclusiva dei partiti. Eppure le prossime elezioni hanno la stessa importanza storica e geopolitica di quelle del 1992 e del 1994. O forse del 1948?
C’è ancora un anno di tempo per consegnare agli elettori il potere politico reale. Il partito che prendesse sul serio questa domanda, li riconquisterebbe alla politica.

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