THE VISIONNAIRE

Francesco Grillo

Francesco è Amministratore Delegato di Vision and Value, società di consulenza direzionale e si occupa soprattutto di valutazione di politiche pubbliche per organizzazioni internazionali. E' direttore del think tank Vision, con cui gestisce diversi progetti dedicati a "le università del futuro", "big society", "la famiglia del futuro" ed in generale all'impatto della rivoluzione delle tecnologie dell'informazione sulla società e sull'economia. In precedenza ha lavorato per la Bank of Tokyo e con McKinsey. Laureato in economia alla LUISS, ha completato un MBA alla Boston University e un PhD presso la London School of Economics con una tesi sull'efficacia della spesa pubblica in ricerca (http://www.visionwebsite.eu/vision/staff_cv.php?cv=1) . E' editorialista de Il Mattino e de Il Messaggero ed è autore di diversi libri sull'impatto di Internet sulla sanità (Il ritorno della rete, Fazi, 2003), sull'automobile (La Macchina che cambiò il Mondo, Fazi, 2005), sui media (Il Sonno della Ragione, Marsilio, 2007).

Italia 2013: una proposta per uscire dalla paralisi

Siamo all’accanimento terapeutico.

È vero che c’è bisogno di un Governo. Ma c’è bisogno anche di un Governo che abbia la forza per sviluppare una strategia complessiva (chi scrive ha rilevato almeno cinque priorità assolute su: giustizia; fisco; modifica del mix della spesa pubblica da protezione del “passato” – pensioni – ad investimento sul “futuro” – educazione; meccanismi attraverso i quali chiunque spende risorse dei contribuenti ne risponde; costi, efficacia e rappresentatività della politica) e che sappia realizzarla coinvolgendo un numero sufficientemente alto di cittadini nel progetto di cambiamento.

Dopo un mese e mezzo dalle elezioni politiche sembra non ancora chiaro quello che era lampante la sera del Venticinque Gennaio quando fu evidente che le “elezioni più importanti della Storia della Repubblica” avevano prodotto il più assoluto nulla di fatto. Tre partiti lontani dalla maggioranza dei seggi e tra di loro completamente inconciliabili: i margini per un Governo qualsiasi erano assai ridotti; non esistevano per averne uno all’altezza del cambiamento radicale che l’Italia esige.

Dopo un mese e mezzo, la politica italiana non ha fatto un solo passo avanti. E un intero Paese appare dipendere, mani e piedi, da un Presidente della Repubblica che, per fortuna nostra, c’è ma che a quasi novanta anni ha fatto capire di avere il diritto a vivere la sua età.

Certo il confronto con altre classi dirigenti alle prese con problemi inediti di governabilità è imbarazzante. Tre anni fa, a Londra, servirono a Cameron, Clegg e Brown, tre giorni per sciogliere il problema del “parlamento impiccato” e scegliere tra tre diverse possibili coalizioni. Tre settimane furono invece necessarie a Gerard Schroder e Angela Merkel per decidere i termini – peraltro assai ambiziosi – di una “grande coalizione” per superare un impasse simile. Diventa, poi, irriverente l’accostamento con la Chiesa cattolica: ma anche i Cardinali sono stati tre settimane fa alle prese con un problema di leadership aperto da un evento eccezionale quanto lo può essere la dimissione di un Papa che non si verificava da sette secoli; e, tuttavia, anche in quel caso tre giorni ci sono voluti per arrivare ad una fumata bianca. Tre decisioni veloci per formare governi di Paesi di grande importanza o, addirittura, di una Chiesa; governi non transitori, peraltro, pensati per durare – come avvenne in Inghilterra o Germania – per almeno cinque anni.

Da noi, dopo un mese e mezzo non si è fatto neanche un passo avanti. Sarebbe bello avere un Governo ed uno che sia adeguato alle “riforme” (parlerei di cambiamenti) ma voler insistere ad averne uno, o, comunque, accettarne uno qualsiasi, è un po’ come per un malato che preferisce soprassedere mentre il male avanza: piuttosto che affrontare la malattia e accettare di operarsi.

Per manifesta incapacità – non di un singolo politico, ma di un sistema e delle sue regole – è bene prendere atto della situazione. Assumersi – qui sì come singoli parlamentari e cittadini, senza aspettare ulteriori mediazioni – la responsabilità di staccare la spina e voltare pagina. Chiedendo a tutti i parlamentari due sole cose.

Una nuova legge elettorale, e, anzi, per semplificare la “convergenza”, il ripristino della legge elettorale che vigeva prima del tragico “porcellum”: la legge approvata per rispondere al risultato del Referendum del 1993 e che prevedeva l’elezione di tre quarti dei parlamentari in collegi uninominali. Si può fare di meglio, introdurre il doppio turno, ad esempio, ma si rischierebbe di perdersi nelle negoziazioni, laddove invece è indispensabile assicurarsi che non si ripeta un risultato come quello che persino Napolitano non sa più come gestire.

L’elezione di un Presidente della Repubblica che sia equidistante dai diversi schieramenti, possa dare continuità all’autorevolezza di quello attuale, e riesca a rappresentare il cambiamento. In questo senso Emma Bonino è praticamente una scelta quasi obbligata.

“Messo in sicurezza il sistema” – come direbbe il capo della Protezione civile osservando un terremoto ed è un terremoto quello che cerchiamo goffamente di affrontare – si potrebbe, persino, pensare di tornare subito alle elezioni. O, comunque, di cercare un governo sapendo, però, che chi prende tempo sarebbe punito – in maniera definitiva – dagli elettori.

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