ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

GINO STRADA, UNA TESTIMONIANZA PERSONALE

Editoriale da santalessandro.org
Sabato 28 agosto 2021
Giovanni Cominelli

GINO STRADA, UNA TESTIMONIANZA PERSONALE

Ora che Gino Strada è uscito dalla cronaca, accompagnato dal flusso della Cloaca maxima dei social-media, nella quale si sono mischiati esaltazione, nostalgie, odi, insulti volgari e fake news, ne posso scrivere con la mente più distaccata. Distacco doloroso, perché per tutti gli anni ’70 le nostre strade personali si sono intrecciate. E’, per fare solo un esempio, nel ’72 che abbiamo scritto insieme un minuscolo pamphlet contro Comunione e Liberazione – Ed. Movimento studentesco, rigorosamente non firmato, come prevedeva la morale rivoluzionaria dell’epoca – il cui titolo, che ricordo vagamente, alludeva al carattere reazionario di quel Movimento, che veniva dato al servizio del Vaticano e della DC. La qualifica di reazionario o revisionista veniva distribuita con generosità eccessiva e giudicante a chiunque altro. Gino proveniva proprio da Gioventù studentesca, il Movimento diretto da don Luigi Giussani. Gettata sugli scogli del ’68, GS si era divisa in una parte minoritaria, fedele a don Giussani, che nel 1969 aveva preso il nome di Comunione e Liberazione. Il senso dei due lemmi era chiaro: la Liberazione non si conquistava con la Rivoluzione, ma, appunto, con la Comunione con il Cristo, presente qui e ora nella storia, attraverso a Chiesa. La “presenza” diventerà la parola-chiave. Diversamente dalla Chiesa istituzionale, il don Gius aveva compreso benissimo e per tempo che i Cristiani erano già minoranza nella società. Proprio perciò dovevano essere presenti “con ingenua baldanza”. Invece, la maggioranza di GS, incoraggiata da un altro prete, don Vanni Padovani, chiamato dallo stesso don Gius ai vertici, si era sciolta nel ’68 e nei gruppi extraparlamentari, che fiorirono come funghi già a partire dal 1969. E così Gino aveva aderito al Movimento studentesco di Medicina, articolazione del Movimento studentesco della Statale di Milano. D’altronde, la scelta rivoluzionaria era toccata a molti giovani credenti, che provenivano dal Cristianesimo rivoluzionario, la cui moderna Bibbia era “Cristianesimo e marxismo”, scritto da Don Giulio Girardi, La Cittadella Editrice, pubblicato il 1° gennaio del 1966, con introduzione del Card. Franziskus König, arcivescovo di Vienna.
Il Cristianesimo marxista e il Marxismo avevano e hanno in comune l’idea che la Storia è storia della liberazione umana, è una storia di salvezza. Ma qual è il soggetto-motore della liberazione? Secondo l’Illuminismo è la Ragione, secondo Marx il Proletariato. Secondo don Giussani, la liberazione non è di questa terra e il Soggetto – il Cristo-persona – sta a cavallo tra il tempo storico e l’Oltre. In Teilhard de Chardin, nostra lettura di quei tempi, “il fenomeno umano” è attratto irresistibilmente dal punto Omega. Nessuna illusione terrena: la Terra promessa non è di questa terra. Questo però non precludeva la strada – da Costantino in avanti fino a don Giussani – alla teologia politica, cioè all’uso delle strutture politiche di potere per affermare la presenza cristiana nella storia. Donde il rapporto privilegiato di CL con la DC, che invece il Movimento degli studenti e poi la sinistra rivoluzionaria avevano rapidamente individuato come l’architrave del sistema da abbattere. Secondo i variegati marxismi dell’epoca, la liberazione era possibile su questa terra, ma il Soggetto doveva essere costruito ex-novo, dato il tradimento socialdemocratico revisionista del PCI. Su quei feroci dibattiti si è stesa la cenere grigia dei decenni e delle illusioni/delusioni, sotto la quale ha continuato ad ardere, per una parte di quella generazione, la brace profetica dei “cieli nuovi e terra nuova”. Credenti tuttora o atei – Gino Strada si proclamava “ateo”- è rimasta quella inquieta ricerca di un Assoluto, che si deve necessariamente incarnare nella storia del mondo.

E’ qui, ad ogni modo, che si è aperta la frattura nella generazione post-68. Per una parte di essa, cui apparteneva Gino Strada, la visione soteriologica, debitamente secolarizzata, ha continuato ad alimentare l’impegno politico, ma soprattutto quello sociale, culturale, assistenziale, a favore dei “sommersi” e dei “dannati della terra”, come titolava Frantz Fanon già nel 1961. Caduta la fiducia nel soggetto rivoluzionario, necessariamente collettivo, per impraticabilità del campo, è rimasto pur sempre un lascito tipico del Cristianesimo, che anche don Giussani riproponeva spesso: la storia cambia, se cambia il cuore dell’uomo. Detto in modo più light e più traslato: proviamo a costruire qualcosa di nuovo nella società, persona con persona. Si direbbe, con il linguaggio di oggi: cambiamo la società civile, in vista del Regno, che deve comunque arrivare.
Un’altra parte di quella generazione ex-rivoluzionaria ha invece operato una dolorosa rottura epistemologica. No, davanti a noi non c’è nessuna “terra nuova”, non c’è né provvidenza né salvezza, se non quella che riusciamo, forse, a darci. La Ragione e la Storia non sono destinate a ricongiungersi, come invece recita il teorema hegeliano del reale che coincide con il razionale. Di qui gli adattamenti opportunistici di molti, di qui un ridimensionamento dell’agire politico di parecchi, di qui un approccio laico e riformistico di altri, senza fanatismi, “alleati con il tempo”, direbbe A. Camus, del tempo che ci è dato. Inutile aggiungere che per “i profetici”, tutti questi altri erano e sono degli “integrati”, rassegnati al mondo così com’è, moralmente spregevoli traditori…

Quella frattura si è resa visibile un giorno con Gino e Teresa Sarti – la moglie cui Gino aveva affidato la gestione di Emergency – di passaggio in Corso Vittorio Emanuele a Milano, davanti ad un ennesimo tavolo radicale di raccolta firme per un ennesimo referendum, all’inizio degli anni 2000. Argomento: i Talebani. Osservai che impiantare punti di assistenza sanitaria in territorio talebano, con il loro permesso, richiedeva inevitabilmente l’adozione di un atteggiamento agnostico e neutrale rispetto alle politiche e all’ideologia dei Taleb. Significava scendere ai compromessi del non vedere e del non denunciare. Si curavano i corpi e basta. La cosa non mi scandalizzava affatto. Ma, proprio in forza di questi necessari compromessi, non potevo condividere per nulla l’attacco politico-ideologico che Gino faceva all’Onu, al Consiglio di sicurezza agli Usa, alla Nato, al Governo italiano, che erano intervenuti militarmente contro un regime che proteggeva Al-Qaeda e che tentavano di costruire le basi di uno Stato di diritto. Né ero d’accordo con la trasposizione nel contesto politico italiano di queste sue scelte ideologiche, che lo portavano a promuovere, insieme ad altri, uno schieramento di sinistra estrema. Gino ribadì che l’intervento americano, sotto l’egida del Consiglio di sicurezza, era puro e semplice imperialismo, ultimo anello di una catena, il primo essendo stato forgiato all’indomani della Seconda guerra mondiale. Davanti a quel tavolo finì dolorosamente anche la nostra amicizia. Ero stato condannato al Nono Cerchio, il più in basso dell’Inferno dantesco, quello dei traditori…
Sono passati quasi vent’anni, non ci siamo più sentiti. Certamente avrebbe detto – anzi ha fatto a tempo a dire – che il fallimento americano e occidentale in Afghanistan era stato da lui previsto ed era inevitabile. Si discute in giro per i media se il successo dell’azione di Emergency si debba all’ideologia di Gino Strada o più semplicemente alla sua dedizione totale alla causa, fino a perdervi la salute. Discussione oziosa: si deve a Gino così com’era, con le sue idee, con il suo carattere, con la sua antropologia.
Insorge, tuttavia, una domanda successiva: per dedicarsi agli altri è più motivante l’ideologia soteriologica o quella laico-liberale sui destini dell’umanità? Qual è stato il motore nascosto di Gino Strada? Credo solo di poter testimoniare che sotto la superficie della langue de bois del primitivo marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ha agito in lui una passione per l’uomo, che è l’imprinting più forte che un’intera generazione credente/oggi non più credente ha ricevuto dal Cristianesimo del Concilio Vaticano II.
In ogni caso, alla fine, ciò che conta sono i fatti. Gino Strada ne ha prodotti. E questi resteranno.

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