ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

Bullismo: l’utilità di una punizione pubblica. A proposito di Valditara

Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato, 26 novembre 2022
Giovanni Cominelli

Bullismo: l’utilità di una punizione pubblica.
A proposito di Valditara

Il Ministro dell’istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, rispondendo a Milano a una domanda sul bullismo, ha proposto come esempio positivo il modo con cui il Preside di un Istituto tecnico di Gallarate ha trattato il caso di un ragazzo colpevole di aver preso a pugni una docente. Il ragazzo è stato punito con la sospensione di un anno. Il Preside ha affrontato pubblicamente con i ragazzi il caso. Il Ministro ha elogiato il Preside quale educatore, perché, diversamente da altri dirigenti e docenti, non ha giustificato il comportamento del ragazzo, magari ricorrendo alle sue motivazioni nascoste o alla condizione sociale: colpa del liberismo selvaggio o, perché no, del mutamento climatico?
Ha poi aggiunto: “…Noi dobbiamo ripristinare non soltanto la scuola dei diritti, ma anche la scuola dei doveri. Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche… evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità! Di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione”.

Il lemma “umiliazione” ha fatto scattare l’indignazione delle vedove – del Ministero – in gramaglie, dal Centro fino alla Sinistra estrema. Carlo Calenda: “Ma questi dove li hanno presi! Che vergogna!”. Si suppone che alluda ai Ministri. Furfaro, deputato PD: “… ma Valditara ha mai letto un qualsivoglia studio di psicologia e pedagogia? “. Luca Bizzarri, attore e comico, 1,6 mln di follower sul social network: “… Un Ministro dell’Istruzione che parla dell’umiliazione pubblica come strumento di crescita. La stigmatizzazione pubblica. Io sono favorevole ai lavori socialmente utili, ma credo, sommessamente, che questo sia fascismo”. Altri hanno rimproverato al Ministro di ignorare le neuroscienze e forse anche i neuroni a specchio.
Ora, “umiliazione” è certamente termine metaforico inadeguato e poco formale tanto in un contesto giuridico quanto in quello relazionale-educativo. Ma l’ondata di reazioni che è venuta dal suo uso improprio è altamente istruttiva ed allarmante, perché dà la misura della malafede e dell’ignoranza, di cui soffrono parecchi politici, dirigenti scolastici, insegnanti, genitori, giornalisti, opinion leader e blogger…, su come si costruisca l’etica individuale e quella pubblica. O, detto in altro modo ancora: di quale irresponsabilità educativa, civile e politica essi siano colpevoli.

All’on. Furfaro, psico-pedagogista di complemento, si dovrebbe chiedere se abbia mai letto, lui, un libro di antropologia o semplicemente di storia. Perché scoprirebbe che i comportamenti socialmente positivi, che noi eleviamo a modelli e che, perciò, chiamiamo valori, si affermano solo attraverso un lungo e spesso doloroso apprendistato sociale, nel quale ciò che la famiglia, il clan, la tribù, la società civile ritengono socialmente positivo viene premiato e ciò che ritengono negativo viene sanzionato pubblicamente. Persuasione e coercizione si intrecciano, fatalmente. La punizione assume varie forme, tutte pubbliche. Perché la pubblicità dell’”umiliazione” del colpevole – di violenza, di furto, di omicidio… – serve a educare tutti, eventualmente anche il colpevole, al rispetto dei valori e delle regole condivisi. Il colpevole ha ceduto all’impulso? Tutti, lui compreso, devono sapere che sarà punito socialmente cedere agli impulsi belluini. Aveva fame? Non perciò si giustifica il furto. Se uno commette un reato, viene condannato. La condanna consiste, in primo luogo, nella stigmatizzazione pubblica della colpa oltre che, eventualmente, nella privazione della libertà individuale. La condanna è un atto pubblico pedagogico, attraverso il quale la società costringe il colpevole e tutti gli altri, che non lo sono, ma che potrebbero imitarlo, a prendere atto che quel comportamento è distruttivo dei rapporti sociali. Sì, è un’umiliazione. “Humiliare”: riportare un individuo alla terra, all”humus” appunto.
La coercizione/punizione/umiliazione è educativa? Certamente lo è per ogni individuo. Lo è anche per il colpevole? La punizione è un incentivo a evitare di ripetere il gesto. Può anche rigenerare la sua scala di valori, per cui l’umiliazione si trasformi in occasione di redenzione e di metanoia individuale? Dipende da lui, in primo luogo, ma anche dalle modalità di somministrazione della pena.

Se queste sono le regole sociali, non si capisce perché non debbano valere anche nell’istituzione scolastica, che è, insieme alla famiglia, uno dei luoghi nei quali l’individuo introietta i valori sociali e si forma il carattere. La famiglia e la scuola sono le fonti generative della società civile. Non si comprende perché nella scuola e in generale nell’educazione dei ragazzi e degli adolescenti debba valere la pretesa dell’impunità, in forza della quale non si risponde pubblicamente e non si paga pubblicamente il conto delle proprie azioni. Perché debba valere l’idea sottesa che non ci si debba assumere delle responsabilità nello stare nel mondo e che non ci sia un’autorità – che rappresenta la Realtà – ben oltre la nostra coscienza soggettiva, cui si deve rispondere. Agli educatori più avvertiti non sfugge che gli adulti, in fuga dall’educare, stanno producendo una generazione di ragazzi e di giovani che hanno paura del mondo, che non reggono le frustrazioni che la realtà infligge a ciascun individuo in tempi e modi diversi nel corso della sua vita. Depressione e bullismo sono due virus, che si moltiplicano in questo humus di irresponsabilità, di impunitismo, di facilismo, di rapporto irrealistico con la realtà del mondo. Sì, la punizione deve essere pubblica! O si pensa che l’ammissione della colpa e la sua espiazione debbano avvenire nel complice segreto del confessionale o, come oggi si dice, in regime di privacy?

È venuta avanti una marea di battute sui “lavori socialmente utili”, cui il Ministro ha proposto di destinare eventualmente il ragazzo colpevole di bullismo. Le battute trasmettono malafede, superficialità e diserzione educativa da parte del mondo adulto. C’è un altro modo per educare all’assunzione di responsabilità, al riscatto e alla ricostruzione del Sé, se non quello di accompagnare in un ambiente, in cui si risponda a regole, a persone, a un’organizzazione collettiva? Non è questo, d’altronde, anche il senso educativo dell’alternanza scuola/lavoro? Non è la pratica il modo concreto di apprendere l’etica pubblica?
Resterebbe da interrogarsi sull’allegra antropologia che parte della sinistra teorizza e pratica. Allan Bloom l’ha già definita nel suo libro del 1987, intitolato “La chiusura della mente americana”, “un nichilismo senza abisso”. Un’idea della storia umana senza giudizio finale – al Liceo romano Morgani hanno deciso di non dare più i voti, ma daranno i giudizi di verità? – senza dramma, senza dolore, senza fatica. Sant’Agostino direbbe: “senza peccato originale”. Giacché, se fossimo esenti da quello, non avremmo bisogno di autorità, di educazione, di responsabilità, di pena, di espiazione. Tutto verrebbe facile come pare accadesse nel Paradiso terrestre. Peccato che lo stiamo facendo credere anche ai nostri ragazzi. Ai quali stiamo così preparando un futuro tutt’altro che paradisiaco. Quella del peccato originale ti pare una fake news? Puoi sempre ripiegare sulla constatazione di una permanente animalità della specie sapiens. Dovrebbe bastare.

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