MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Affogati, deportati, schiavizzati: la “Norimberga del Mediterraneo”

Li hanno lasciati annegare nel “Mar della morte”, il Mediterraneo. Li hanno lasciati annegare nonostante le ripetute, drammatiche, documentate richieste di soccorso. Una strage di innocenti da aggiungere al lungo dossier della “Norimberga del Mediterraneo”.

Aveva lanciato lo scorso 10 aprile l’allarme sul barcone in difficoltà, informando le autorità di Italia, Malta, Libia e Tunisia.

Ed ora Alarm Phone – contatto di emergenza in supporto alle operazioni di salvataggio – denuncia che “dodici persone sono morte a causa dell’azione e dell’inazione europea nel Mediterraneo. Le autorità di Malta Italia, Libia, Portogallo, Germania, come anche Frontex, erano state informate di un gruppo di 55 (alla fine erano 63) migranti in difficoltà in mare, ma hanno scelto di lasciar morire 12 di loro di sete e annegate, mentre organizzavano il ritorno forzato dei sopravvissuti in Libia, un posto di guerra, tortura e stupro”.

Nel rapporto Alarm Phone indica come, “contrariamente a quanto afferma Malta, il barcone era alla deriva in zona Sar maltese, non lontano da Lampedusa. Tutte le autorità hanno scelto di non intervenire, usando l’epidemia di Covid-19 come una scusa per infrangere drammaticamente le leggi del mare così come i diritti umani e le convenzioni sui rifugiati”.

Secondo le testimonianze dei superstiti, martedì 14 aprile la nave cargo Ivan si è avvicinata al gommone alla deriva, ma le condizioni del mare non rendevano possibile il salvataggio; a quel punto sette persone si sono gettate in acqua tentando di raggiungerla e sono annegate. Più tardi, nella stessa giornata, un peschereccio ed un’altra nave non identificata si sono portati in zona ed hanno preso a bordo i naufraghi su indicazione di Malta. Ieri mattina Alarm Phone ha ricevuto l’informazione che 56 persone erano state riportate in Libia sul peschereccio. Con loro i cadaveri di cinque persone morte per disidratazione e fame. “Secondo i sopravvissuti – rileva il rapporto – l’equipaggio del peschereccio aveva fatto credere loro che sarebbero stati portati in Europa, invece sono stati respinti in Libia”.

Che ci fosse quel gommone in difficoltà, sostiene il servizio telefonico, era noto per sei giorni, fin dal 10 aprile, quando era stato visto da un aereo di Frontex, Da allora, spiega Alarm Phone, “Malta, Italia e gli attori Ue con missioni nel Mediterraneo centrale erano consapevoli della situazione. Nonostante l’impossibilità di intervento delle autorità libiche, non c’è stato alcun soccorso per almeno 72 ore di agonia in mare”. Tutte le autorità, aggiunge Alarm Phone “hanno evitato di intervenire, usando la pandemia globale  Covid-19 come scusa per infrangere crudelmente la legge del mare e ogni convenzione per i diritti umani e dei rifugiati. In primo luogo le Forze Armate di Malta”, poi le altre che fanno riferimento ai Paesi citati nel rapporto “sono da ritenere responsabili per la morte di dodici esseri umani e per la sofferenza di decine di altri”.

E qui entra in ballo il decreto “porti chiusi”. Alcuni giorni fa -, un criminale decreto interministeriale ha chiuso di fatto i porti italiani fino al 31 luglio appellandosi all’emergenza Coronavirus…. Davanti a queste drammatiche situazioni chiediamo: all’Ue, patria dei diritti umani, di organizzare corridoi umanitari e aprire i porti alle navi che salvano i migranti; al governo italiano di intervenire subito per ritirare il decreto criminale che chiude i porti e di salvare le vite umane nel Mediterraneo; e alla Conferenza episcopale italiana di alzare la voce in favore di questi fratelli e sorelle”.

“Decreto criminale”. Ad affermarlo, in un comunicato, non sono pericolosi estremisti ma i padri comboniani. Un’analisi, la loro, condivisa anche da abba Mussie Zerai, sacerdote in prima linea nell’aiutare i migranti: “La politica di porti chiusi sembra che abbia chiuso anche i cuori e le orecchie delle autorità marittime che hanno ricevuto diverse segnalazioni di Sos provenienti dai profughi e migranti alla deriva. La straziante grida di una madre che descrive la scena a cui è costretta ad assistere bambini esanimi, in pericolo di vita, la disperata richiesta arrivata al telefono di Alarm Phone e  trasmessa anche nei vari canali sociale e notiziari in Italia. Quale civiltà è che ignora tale disperata richiesta, sarebbe un crimine contro l’umanità. Supplico a tutte le autorità competenti di soccorre tutte le persone in pericolo di vita ancora in queste ore abbandonate nel Mediterraneo”.

Anche l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Oim), ricorda che in piena allerta per la pandemia “i migranti continuano a tentare la traversata del Mediterraneo, in fuga da violenze, abusi e povertà” esortando tutti gli Stati a continuare a mantenere gli obblighi internazionali e a gestire questa situazione utilizzando un approccio inclusivo e condiviso.

“Dall’inizio di aprile – prosegue l’Oim  – almeno sei imbarcazioni sono partite dalla Libia con a bordo circa 500 persone. 150 di queste persone sono state soccorse da una nave di una Ong. Sempre ad aprile, 177 migranti sono arrivati in Italia, 248 sono in Spagna.

“Da alcune informazioni ricevute – afferma ancora – sembrerebbe che anche lungo la rotta del Mediterraneo orientale alcune imbarcazioni di migranti siano state bloccate in mare. È necessario che il diritto marittimo internazionale, e così gli obblighi in materia di diritti umani, continuino a essere rispettati anche durante l’emergenza Covid-19. La crisi dovrebbe rafforzare la nostra volontà collettiva di difendere la vita, proteggere i diritti e trovare soluzioni comuni e flessibili per le sfide che ci riguardano tutti” in un momento in cui “molti Paesi hanno scelto di rafforzare i controlli alle loro frontiere nel tentativo di contenere la diffusione della pandemia è fondamentale che tali misure siano attuate in modo non discriminatorio e in linea con il diritto internazionale e che la protezione dei più vulnerabili sia la priorità”.

Come ha ricordato un recente articolo pubblicato su Valigia blu, “i pericoli e le difficoltà dell’emergenza Coronavirus – e delle misure che l’accompagnano – rischiano di essere ancora maggiori per migranti e richiedenti asilo stipati nei grandi centri, finiti fuori dai percorsi di accoglienza o ammassati in insediamenti informali nelle città o nelle campagne. Luoghi in cui è particolarmente complicato rispettare misure igieniche e distanziamento sociale e dove spesso mancano strumenti di protezione, senza contare la difficoltà ad accedere al servizio sanitario per chi è sostanzialmente invisibile”.

La stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms), insieme ad altre organizzazioni internazionali che si occupano di immigrazione, ha sottolineato chetre quarti dei rifugiati mondiali e molti immigrati sono ospitati in nazioni in via di sviluppo dove i sistemi sanitari sono già sopraffatti e carenti di mezzi” mentre “proteggere la loro salute aiuterà anche a controllare la diffusione del virus”.

Appelli accorati, di chi è in prima linea nella difesa dei più indifesi. Appelli documentati, che però non fanno breccia a Roma: quel “decreto criminale” rimane in vigore.

Un decreto in cui come spiega a Vita.it l’avvocato e professore universitario Fulvio Vassallo Paleologo, le convenzioni internazionali menzionate dal Governo nel documento appaiono “come orpello estetico” perché contengono “disposizioni opposte a quello che prevede il suddetto decreto”. Ci sono quasi tutte. Dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Convenzione di Ginevra, Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare di Montego Bay “e in particolare, l’articolo 19” fino ai recenti decreti per contrastare “l’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Convenzioni che come spiega Paleologo vanno in direzione contraria a ciò che afferma il nuovo decreto anti Ong del Governo italiano: “Sono convenzioni che antepongono il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, il principio di non-refoulement e il diritto di chiedere asilo in frontiera. Quindi la citazione è del tutto fuori luogo e sembra solo un orpello estetico per giustificare un provvedimento che senza ombra di dubbio non trova certamente alcun fondamento nel diritto internazionale”.

All’orrore non c’è mai fine. L’’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha lanciato un allarme per la sorte di centinaia di migranti che quest’anno la Guardia Costiera libica ha riportato a terra e dei quali non si sa più nulla. Secondo recenti dati forniti dal governo di Tripoli, circa 1.500 persone sono attualmente detenute in 11 centri della “Direzione per la lotta contro l’immigrazione illegale” libico (Dcim) alcuni da molti anni. Nel 2020, almeno 3.200 uomini, donne e bambini a bordo di imbarcazioni dirette in Europa sono stati soccorsi o intercettati dalla guardia costiera libica e riportati indietro, in un Paese in cui ancora si combatte. La maggior parte finisce in strutture adibite ad attività investigative o in centri di detenzione non ufficiali. L’Oim non  ha accesso a questi centri.  Nonostante le molteplici richieste, le autorità libiche non hanno fornito alcuna informazione su dove si trovino con esattezza queste persone o perché siano state portate in strutture di detenzione non ufficiali. “La mancanza di chiarezza sulla sorte di queste persone scomparse è una delle preoccupazioni più gravi”, ha detto una portavoce dell’Oim, Safa Msehli. “Siamo a conoscenza di molte testimonianze di abusi che si verificano all’interno dei sistemi di detenzione formali e informali in Libia”.

Numerosi racconti, considerati credibili, da parte di comunità di migranti in contatto con l’Oim sostengono che i detenuti vengono consegnati ai trafficanti e torturati nel tentativo di estorcere denaro alle loro famiglie, abusi che sono stati ampiamente documentati in passato dai Media e dalle agenzie dell’Onu. L’Oim chiede al governo libico di chiarire che fine abbiano fatto tutti coloro di cui non si ha più notizia e di porre fine alla detenzione arbitraria. Lo smantellamento di questo sistema deve essere una priorità così come è necessario stabilire alternative che garantiscano minimi standard di sicurezza per i migranti.
Solo nell’ultima settimana, almeno 800 persone sono partite dalla Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa. Quasi 400 sono state riportate in Libia e, dopo operazioni di sbarco ritardate a lungo a cause della situazione di scarsa sicurezza a terra, sono state poi mandate in detenzione. Almeno 200 di loro sono finiti in centri non ufficiali e risultano non più rintracciabili. Molti di coloro che hanno raggiunto le acque internazionali e la zona di ricerca e soccorso maltese sono rimasti bloccati in mare su imbarcazioni fragili e poco sicure per giorni, senza essere soccorsi. E’ notizia confermata che almeno 12 persone sono  morte o disperse in mare negli scorsi giorni.

L’Oim è allarmata dal deterioramento della situazione umanitaria in Libia e ribadisce che è inaccettabile che le persone soccorse in mare vengano riportate in un contesto in cui si combatte e in cui diventano vittime di abusi e di traffici. L’Organizzazione ribadisce inoltre il suo appello all’Unione Europea affinché si stabilisca con urgenza un meccanismo di sbarco chiaro e rapido per porre fine al ritorno coatto dei migranti in Libia. Ricordiamo agli Stati che salvare vite umane è la priorità numero uno e che occorre sempre rispondere alle richieste di soccorso, così come stabilito dal diritto internazionale. Il Covid- 19 non deve essere una scusa per non ottemperare a diritti internazionali duramente conquistati e a quegli obblighi che gli Stati hanno nei confronti delle persone vulnerabili.

“Gli uomini, le donne incinte, i minori soli che partono dalla Libia non lo fanno per loro volontà – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – ma perché messi in quelle imbarcazioni da trafficanti senza scrupoli. Li lasceremo tranquillamente morire in mare? Aspetteremo che entrino da soli a nuoto nelle nostre acque territoriali? In questa Pasqua nel Mediterraneo centrale si è già pagato un alto tributo di morte. Quando sarà abbastanza?”.

C’è materiale sufficiente per una “Norimberga del Mediterraneo”.

E sul banco degli imputati dovranno essere in molti a sedere. Uomini potenti, “big players”: capi di Stato e di Governo, generali, rais, sultani, e anche leaders europei. Sulla coscienza hanno migliaia di morti innocenti.

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