Quante volte i cittadini di una repubblica possono sparare, a caso e talvolta in massa, contro altri cittadini prima che quella stessa repubblica muoia, insieme ai suoi sogni? Per quanto tempo ancora gli americani potranno sottrarsi alla verità, e cioè che i tentativi di stragi come quelli della scorsa settimana – in una chiesa mormona durante la preghiera a Grand Blanc, in Michigan, dove sono morte almeno quattro persone e molte altre sono rimaste ferite; in un bar sul lungomare a Southport, in North Carolina, dove tre persone sono state uccise da colpi sparati da una barca di passaggio; e nel surreale Kickapoo Lucky Eagle Casino a Eagle Pass, in Texas, con due morti e diversi feriti – sono solo le più recenti eruzioni di un più ampio “destino manifesto” di rovina politica e sociale?
La nostra ossessione, alimentata dai media e dal mercato, per la caccia, l’identificazione e perfino l’eliminazione dei singoli autori delle “sparatorie di massa” – 324 soltanto quest’anno, secondo il Gun Violence Archive, che definisce tali gli episodi con almeno quattro vittime – non ci ha reso né più sicuri né più liberi. Soprattutto se ci confrontiamo con altre repubbliche democratiche che, a differenza della nostra, limitano severamente o addirittura vietano la proprietà di armi alla maggior parte dei cittadini.
Credo che una delle radici principali di questa crisi non risieda soltanto nell’eterna ambivalenza del cuore umano, che rende molti di noi capaci di compiere azioni terribili, ma, in misura oggi ancora più decisiva, nelle strategie d’investimento dei grandi gruppi e dei fondi di private equity che scioccamente definiamo “salutari”, “creatrici di ricchezza” o che accettiamo come innocue, quando in realtà non portano alcuna saggezza civica né benessere sociale e finiscono per minare il “bene comune”. Il nostro capitalismo da casinò, non più vincolato da norme culturali di decenza e rispetto reciproco, degrada quei valori, spesso in modo spudorato, in cambio di rapidi ritorni di “mercato”. Trump ne è l’incarnazione perfetta.
A meno che non si riesca a reinterpretare il Secondo Emendamento della Costituzione statunitense per regolamentare con attenzione la proprietà e l’uso delle armi, così come regolamentiamo la proprietà e l’uso delle automobili, il nostro moralismo e le nostre preghiere per i singoli killer e per le loro vittime non sono altro che una fuga amorale dalla realtà.
Mi ci sono voluti quasi trent’anni – dalla strage compiuta da alcuni studenti contro i propri compagni in un liceo di Denver, Colorado, nel 1998 – per rendermi conto che non furono soltanto, o soprattutto, i retroscena personali e le convinzioni degli assassini a spingerli a uccidere. Non fu così in Colorado, né per Adam Lanza, che nel 2012 massacrò i bambini della scuola che aveva frequentato in Connecticut, né per Dylann Roof, che nel 2015 uccise nove membri di una classe di studio biblico in una chiesa di Charleston, South Carolina, né per Seung-Hui Cho, che nel 2007 fece 33 vittime al Virginia Polytechnic Institute.
Mi chiedo invece quando gli americani smetteranno questa ossessiva, a volte perfino morbosa, indagine su ogni nuova follia omicida: la sete di sangue, il razzismo, l’omofobia, la xenofobia o la rabbia “radicale” contro l’America di ciascun killer. Quando affronteremo ciò che davvero alimenta questo massacro? A volte citiamo la cultura storicamente violenta della “frontiera” americana, l’assolutismo nell’interpretazione del Secondo Emendamento della Costituzione, che protegge l’abuso delle armi, e il “peccato originale” del razzismo e dei suoi analoghi. Denunciamo anche l’inadeguatezza dei trattamenti per le malattie mentali. Ma di rado affrontiamo ciò che accelera il vortice, perché ne siamo complici: arriviamo perfino a votarlo – anche scegliendo democratici che invocano leggi più severe sul controllo delle armi, ma senza mai arrivare a controllare davvero ciò che alimenta l’abuso delle armi.
Le decisioni di cui continuiamo a negare i pericoli sono quelle che danno potere ad azionisti anonimi, il cui inseguimento ossessivo del profitto e il cui intrattenimento deformano ogni inclinazione al dibattito e alla riflessione, bypassando la mente e il cuore per colpire direttamente le nostre viscere e i nostri portafogli. Il marketing frenetico – liberato persino nella politica elettorale da sentenze come Citizens United – sta smantellando le convinzioni e le virtù civico-repubblicane che hanno sostenuto l’esperimento americano.
Ciò che dovremmo davvero inseguire, analizzare e cambiare è la corsa agli armamenti interna tra criminali, cittadini e forze di polizia, alimentata dai produttori di armi che spingono strumenti sempre più letali alle polizie locali, dopo averli già distribuiti in modo massiccio a chiunque altro, persino ai criminali.
Abbiamo dimenticato come popoli disarmati altrove abbiano abbattuto regimi militarizzati – nell’India coloniale britannica, nel Sudafrica dell’apartheid, nell’Europa orientale dominata dall’Unione Sovietica – come raccontava lo scrittore Jonathan Schell in The Unconquerable World: Power, Nonviolence, and the Will of the People, un’opera che descrive con grande forza narrativa e rigorosa analisi come le élite autoritarie continuino a tentare di imporre la propria volontà attraverso la militarizzazione, in una sorta di “ignoranza rinnovata” di ciò che realmente sostiene l’autorità legittima.
Il presidente Lyndon Johnson sapeva di rischiare il fallimento politico nel 1964 quando fece propria la promessa del movimento per i diritti civili, “We shall overcome”, presentando al Congresso riunito e a un pubblico televisivo nazionale una proposta di forte legge sul diritto di voto. Ma sradicare le convinzioni razziali di molti americani avrebbe richiesto ben più che nuove leggi e la presenza di federali. I soli rimedi legali potrebbero addirittura rivelarsi controproducenti se non accompagnati da dolorose riconfigurazioni dei radicati fraintendimenti americani sulla libertà e sulla giustizia per tutti – inclusa l’illusione che armarci l’uno contro l’altro, in modo letale, ci renda in qualche modo più sicuri o più liberi.
In assenza di una tale riconfigurazione, le foto e i video che mostrano poliziotti e militari pesantemente armati avviarsi goffamente verso i luoghi delle stragi non ritraggono altro che una nazione in ginocchio. Schell ha dimostrato che i governanti che inondano i propri territori di uomini armati finiscono per esibire la loro impotenza e la loro stessa schiavitù all’illusione che imbracciare armi e reprimere il dissenso possa garantire fiducia civica.
Ancora più illusoria è la diffusa convinzione americana che la “libertà di parola” sia rafforzata da notizie morbose o cruente e da un intrattenimento guidato dalla disperata logica algoritmica dei produttori, che cercano di aggirare la nostra mente e il nostro cuore aumentando a dismisura stress, paure e desideri, per arrivare a colpire le nostre viscere e i nostri portafogli.
Quando l’acqua è inquinata, i pesci non possono valutarla né cambiarla: possono solo nuotare verso acque più pulite oppure, se restano intrappolati, ammalarsi e morire. Gli esseri umani, invece, producono essi stessi l’inquinamento che poi ingeriscono. Lo fanno quando fraintendimenti della libertà e del potere – di matrice quasi libertaria, complottista o sostenuti da grandi interessi economici – mandano in cortocircuito la nostra capacità di riconoscere che un linguaggio commerciale vuoto ci sta disorientando.
Alcuni giudici e difensori delle libertà civili ritengono che questo tipo di inquinamento debba essere protetto costituzionalmente, perché le imposizioni di “purezza” sarebbero peggiori. È una preoccupazione legittima, giustificata dagli abusi regolatori della storia: dalle inquisizioni ai processi alle streghe, fino ai processi-spettacolo della sinistra. Ma essa non riesce a superare la giurisprudenza distorta della Corte Suprema statunitense, che nella sentenza Virginia State Board of Pharmacy v. Virginia Citizens Consumer Council (1976) stabilì che la pubblicità commerciale merita protezione perché – secondo la Corte – il “libero flusso di informazioni commerciali” favorisce la trasparenza del dibattito pubblico, trasmettendo dati che i consumatori avrebbero il “diritto” di ricevere.
Quella sentenza era sbagliata perché, come sostiene il professore di Yale Robert Post, il Primo Emendamento della Costituzione, che tutela la libertà di espressione, “non può essere inteso come […] il paladino di una particolare (e contestata) visione del corretto funzionamento del mercato. Al contrario, [esso] crea lo spazio stesso in cui tutte le possibili teorie sul funzionamento del mercato possono essere discusse e valutate”.
È troppo tardi per inseguire e addossare la colpa a squilibrati isolati che vivono soltanto con i propri demoni. Ciò che oggi mette davvero in pericolo gli americani è il mare economico e politico avvelenato in cui stiamo nuotando e l’aria contaminata che stiamo respirando.
Fermare i motori della nostra autodistruzione non richiederà una sanguinosa guerra civile, ma una disobbedienza civile intelligentemente organizzata e un boicottaggio della lobby delle armi e delle recenti tutele giudiziarie alla pubblicità dei grandi gruppi, che insegnano agli americani a diffidare, temere e odiare gli altri e perfino se stessi.
Gli americani sono ormai troppo “perduti” per guarire da questa malattia? Rispondere a questa domanda significa sciogliere il nodo del nostro distorto legame tra il libertarismo e gli investimenti dei colossi finanziari e del private equity da casinò, insieme alla sentenza Citizens United della Corte Suprema che estende la protezione del Primo Emendamento alla presunta “espressione” costituita dalle ingenti donazioni elettorali di entità incorporee, votate al profitto ma colpevolmente distruttive dei valori civico-repubblicani essenziali. Gli americani condannano giustamente le decisioni ottocentesche Plessy v. Ferguson e Dred Scott, che legittimavano la schiavitù razziale. Allo stesso modo, oggi, dovremmo porre fine alla cattiva giurisprudenza che consente e incentiva la schiavitù delle armi.
Immagine di copertina: il Secondo Emendamento americano esposto in un negozio che vende armi in Arizona, il 17 settembre 2025 (Foto di Charly Triballeau/AFP)


