Dopo i dazi, può il Sudafrica fidarsi ancora di Washington?

È una mattina limpida a Citrusdal. I camion carichi di arance restano fermi sotto il sole cocente del Sudafrica, mentre gli agricoltori osservano impotenti le autorità portuali bloccare le spedizioni verso gli Stati Uniti. Un nuovo dazio del 30 per cento – tra i più alti introdotti dall’amministrazione Trump – chiude l’accesso a uno dei principali mercati di esportazione del Paese. Per le famiglie che vivono di agricoltura, lo shock è immediato: circa 30mila posti di lavoro sono a rischio.

Ma questa non è solo una battaglia di dazi e arance: è una partita a scacchi giocata con cura, dove miliardari ed élite politiche muovono pedine su una scacchiera globale. Dalla Silicon Valley allo Studio Ovale, la ricchezza privata ha sempre influenzato la politica pubblica a proprio piacimento. Le esportazioni bloccate di Citrusdal non sono che l’ultimo esempio di come il potere concentrato riesca a piegare le regole della diplomazia e dell’economia.

Washington ha spesso usato la leva economica – persino agricola – per condizionare governi stranieri e talvolta minare la democrazia. Già all’inizio del Novecento, compagnie americane come la United Fruit, con l’appoggio della CIA, manipolavano le esportazioni di banane per influenzare o rovesciare governi democraticamente eletti, come quello dell’Honduras: da qui nacque l’espressione “repubblica delle banane”. Frutta e prodotti agricoli, dunque, non sono mai stati soltanto merci, ma strumenti di influenza. Gli attuali dazi non rappresentano solo una frattura economica, ma anche la fine simbolica della promessa dell’African Growth and Opportunity Act (AGOA), un programma nato per promuovere partenariato e cooperazione. Allo stesso tempo, ricordano a qualsiasi Paese troppo dipendente da una superpotenza capricciosa che le conseguenze economiche e politiche possono arrivare con estrema rapidità.

Per il Sudafrica, l’impatto va ben oltre gli agrumeti. Con un tasso di disoccupazione cronico al 32 per cento e quello giovanile oltre il 45, interi settori – dall’automotive alla produzione di zucchero – rischiano nuovi licenziamenti. A questo si aggiungono i tagli agli aiuti statunitensi e la sospensione di programmi di sviluppo, che colpiscono anche la sanità e privano le comunità di risorse vitali. Nelle province di KwaZulu-Natal, Limpopo e Western Cape, dove queste dipendono sia dal lavoro agricolo diretto sia da industrie collegate, gli effetti si faranno sentire sulle bollette della spesa, sulle rette scolastiche, sulla stabilità delle case.

La domanda che ora incombe su Pretoria è: gli Stati Uniti sono ancora un partner di cui fidarsi, o il Sudafrica deve cominciare a tracciare un percorso indipendente dagli umori di Washington?

 

La strumentalizzazione del commercio

I dazi introdotti nel luglio 2025 – che colpiscono agrumi, vino, zucchero, soia e veicoli – hanno di fatto azzerato le agevolazioni doganali previste dall’AGOA. Il governatore della Banca centrale sudafricana, Lesetja Kganyago, ha avvertito che le perdite immediate nei vari settori potrebbero toccare i 35mila posti di lavoro, con effetti a catena in grado di far salire la disoccupazione di oltre 100mila unità.

Queste misure non sono affatto politiche commerciali neutrali: sono strumenti di coercizione. Collegando i dazi a narrazioni politicamente cariche – soprattutto quella dei contadini bianchi presentati come vittime di persecuzione – l’amministrazione Trump trasforma la leva economica in segnale ideologico. L’eco sui social, la copertura selettiva dei media e la disinformazione hanno rafforzato questa narrativa, creando una pressione non solo finanziaria ma anche reputazionale. Non a caso, Trump ha recentemente rifiutato di partecipare al G20 in Sudafrica, parlando di “cose gravi” imputate al governo.

I tagli agli aiuti e la sospensione dei programmi confermano la volontà di Washington a usare la cooperazione come arma politica. Ufficialmente, questi tagli servirebbero a “proteggere i contadini bianchi”, ma i dazi rivelano una realtà più complessa. Le accuse di persecuzione, infatti, distorcono il senso delle politiche di riforma agraria, che non hanno un obiettivo razziale ma cercano di correggere ingiustizie storiche. La recente legge sull’esproprio, indicata da Trump come strumento di confisca delle terre dei bianchi senza compenso, in realtà non introduce alcuna misura basata sulla razza. Vale per tutti i proprietari e mira a riequilibrare una distribuzione della terra ancora segnata dall’apartheid. Paradossalmente, le misure di Washington danneggiano proprio i produttori che Trump dichiara di voler difendere: molti coltivatori di agrumi e di vino, spesso bianchi, ora devono affrontare la perdita di mercati, licenziamenti e instabilità finanziaria.

La falsa retorica della “persecuzione dei bianchi” serve quindi da pretesto politico, celando la vera ragione dei dazi: punire Pretoria per la sua posizione alla Corte internazionale di giustizia contro Israele sulla guerra a Gaza. I dazi si inseriscono anche in un quadro più ampio: il disagio di Washington per il ruolo del Sudafrica nei BRICS, i suoi legami con Pechino e la scelta di non allinearsi alla linea americana su Mosca. L’Africa torna così a essere terreno di rivalità tra grandi potenze, con la coercizione da un lato che spinge gli Stati verso la dipendenza dall’altro.

 

Elon Musk: la proprietà privata delle politiche pubbliche

A rendere lo scenario ancora più complesso c’è Elon Musk, miliardario nato in Sudafrica. Con il progetto Starlink, Musk puntava a portare internet ad alta velocità in tutto il Paese, contribuendo all’obiettivo di Pretoria di ridurre il divario digitale. L’iniziativa, però, si è scontrata con le regole del Broad-Based Black Economic Empowerment (B-BBEE), che obbligano le aziende straniere a cedere il 30 per cento della proprietà a gruppi storicamente svantaggiati. Musk ha contestato la normativa, sostenendo che ostacoli Starlink e affermando che la licenza gli sia stata negata per motivi razziali.

I funzionari sudafricani hanno replicato che Starlink non ha mai presentato una domanda formale e hanno ribadito che il B-BBEE è uno strumento per correggere le disuguaglianze del passato. La presenza di Musk a un incontro nello Studio Ovale con il presidente Ramaphosa avrebbe però favorito concessioni normative per Starlink. Nonostante il recente raffreddamento dei rapporti tra Musk e l’amministrazione Trump, il governo sudafricano ha aperto alla possibilità di rivedere le norme sull’affirmative action, come programmi equivalenti di partecipazione azionaria, così da attrarre investimenti stranieri senza sacrificare gli obiettivi di inclusione.

L’intreccio tra l’attivismo di Musk e la politica statunitense mostra una nuova realtà: i confini tra impresa, diplomazia e influenza politica sono sempre più sfumati.

Diplomazia transazionale e risposta sudafricana

Nel giugno 2025 gli Stati Uniti hanno mediato un accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda. Presentata come un successo diplomatico, l’intesa ha garantito a Washington maggiore accesso alle risorse minerarie del Congo orientale, rafforzando al contempo le élite ruandesi. Per i civili congolesi, invece, le violenze e gli sfollamenti sono continuati, rivelando i limiti concreti dell’accordo.

Il tempismo, per Pretoria, è significativo: con l’accordo in mano, gli Stati Uniti si sono sentiti rafforzati e pronti a esercitare ulteriore pressione sul Sudafrica.

Di fronte ai dazi, Pretoria ha reagito con cautela ma in modo mirato: negoziati con Washington per ridurre i danni immediati, avvertimenti della Banca centrale e del Tesoro sugli impatti occupazionali, ma soprattutto un’accelerazione della diversificazione commerciale, puntando sul Medio Oriente, sull’Asia e sui mercati africani attraverso i meccanismi dell’AfCFTA.

 

Implicazioni globali

L’approccio transazionale e isolazionista di Trump sta ridefinendo le dinamiche globali. L’affidabilità intermittente degli Stati Uniti apre spazi a Cina e Russia, mentre la punizione inflitta ai Paesi che scelgono di agire per principio indebolisce le coalizioni democratiche. La questione non riguarda solo i flussi commerciali, ma il principio stesso: le democrazie più piccole possono davvero rivendicare un’autonomia morale senza subire ritorsioni?

Gli appelli all’Organizzazione mondiale del Commercio potrebbero richiedere anni, e nel frattempo aziende e fattorie rischiano di chiudere. La vera difesa non sta nei ricorsi, ma nella diversificazione strategica e nell’autonomia economica.

 

Dal ricatto all’opportunità

Trasformare il ricatto in opportunità è possibile solo con una strategia a tutto campo. Per il Sudafrica significa un coinvolgimento selettivo nei BRICS, l’utilizzo di cornici commerciali stabili come l’accordo di partenariato economico con l’UE, e l’accelerazione dell’AfCFTA per aprire nuovi mercati intra-africani. Allo stesso tempo, occorre diversificare gli sbocchi in Medio Oriente e in Asia, così da ridurre la dipendenza da una sola potenza.

Ma la vera forza sta dentro i confini: rafforzare le filiere locali, investire nell’agroindustria e nella manifattura, accelerare la transizione verso energie sostenibili. Solo così Pretoria potrà conquistare maggiore indipendenza di fronte agli shock globali.

 

Il futuro delle relazioni USA-Sudafrica

Un dialogo pragmatico con gli Stati Uniti resta necessario per contenere i danni immediati. Ma la questione più ampia è se un partner che arma gli aiuti, diffonde disinformazione e muove accuse infondate possa essere affidabile.

I dazi, i tagli agli aiuti e le narrazioni politiche dimostrano i rischi di dipendere da una superpotenza che tratta la cooperazione come merce di scambio. Eppure, questa pressione apre anche uno spazio: trasformare una vulnerabilità in una sovranità più solida e duratura.

Il contadino di Citrusdal oggi sente oggi il colpo dei dazi, ma la lezione va oltre un raccolto andato perso: i Paesi del Sud globale possono resistere alle pressioni delle grandi potenze e tracciare un percorso indipendente, fondato sulla sovranità e sulla cooperazione.

Come ha ribadito Ramaphosa: “Non ci faremo intimidire”.

 

 

Questo articolo è stato pubblicato in inglese su Reset DOC. Per consultare le fonti, fare riferimento al sito

Immagine di copertina: uno stabilimento per la selezione di arance a Citrusdal il 25 luglio 2025. (Foto di Gianluigi Guercia / AFP)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *