Da colonizzatori a profughi. La storia degli italiani in Libia

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Il Mediterraneo come mare di traversate di gente e genti che finiscono per pagare colpe non loro. Non è solo storia recente. Oggi ci sono i barconi che partono dalla Libia e spesso affondano, lasciando in mare i corpi di vittime destinate a rimanere quasi tutte anonime. Negli anni passati questo stesso mare ha visto la traversata – certo non così drammatica, perché gestita attraverso le navi del Ministero della Marina Mercantile – di tutti gli italiani costretti a tornare in Italia dalla Libia perché espulsi dal regime del colonnello Gheddafi. Esperienze neanche lontanamente paragonabili fra loro, ma che hanno forse in comune un dato di fondo: hanno per protagonisti persone sacrificate a qualche ragion di Stato che le considera in secondo piano rispetto alle esigenze della politica, dell’economia o degli affari. Chi ricorda più, oggi, la storia degli italiani in Libia? Storia non tanto lontana nel tempo quanto piuttosto distante dalla coscienza italica, storia (e storie: di singole persone) che rimanda all’emigrazione italiana e al colonialismo, entrambi fenomeni disconosciuti, specialmente se si guarda a quel processo di decolonizzazione che di fatto in Italia è mancato.

Ad accendere i riflettori sulla vicenda degli italiani in Libia è Luigi Scoppola Iacopini nel libro I “dimenticati”. Da colonizzatori a profughi, gli italiani in Libia 1943-1974 (Editoriale Umbra, I quaderni del Museo dell’emigrazione) che ricostruisce l’esperienza dei connazionali italiani a partire dalla fine del regime coloniale, attraverso l’amministrazione britannica e la monarchia e poi durante il regime di Gheddafi, che emana i decreti di confisca dei beni e l’espulsione dal paese degli italiani di “vecchio insediamento”. Questi sono costretti a rientrare in patria ma qui non trovano certo comprensione né adeguati riconoscimenti economici o morali. Perché di fatto i rapporti economico-finanziari fra i due paesi erano già consolidati, tanto che gli stessi documenti analizzati dall’autore finiscono per mostrare come «la comunità italiana fosse alla fine avvertita come un intralcio, un anacronistico legame che rischiava di compromettere le buone relazioni con la Libia che passavano anche attraverso i giganteschi fatturati dell’industria pubblica e privata».

La storia della comunità italiana in Libia, spiega l’autore del libro, è ancora sfocata e questo di fatto non sorprende «data la scarsa conoscenza e la conseguente debole consapevolezza che gli italiani hanno in genere mostrato nei confronti del proprio passato coloniale ivi incluse le sue pagine più oscure». L’oblio è motivato anche da un interesse al silenzio nei confronti del passato fascista e coloniale scomodo per i troppi che con esso si erano compromessi. Senza contare che «al nostro Paese e all’opinione pubblica venne a mancare quel tormentato processo di decolonizzazione che in periodi diversi investì le altre potenze coloniali».

Per gli italiani in Libia la situazione cambia progressivamente durante gli anni, con un peggioramento della situazione dal conflitto arabo-israeliano del 1967 e poi col netto cambiamento fatto dal regime di Gheddafi, che decide i decreti di confisca e l’espulsione della comunità (ma le grandi aziende italiane presenti in Libia non vengono intaccate dalle misure restrittive). E allora quegli italiani sono costretti al rimpatrio in Italia assistito dalle navi della Marina Mercantile: le cronache della partenza sono dolorose e umilianti e i problemi continuano nell’impatto, niente affatto agevole, con l’Italia, dove chi non ha una rete di amici e parenti viene mandato nei campi profughi, e dove inizia con grande difficoltà l’iter burocratico per avere indennizzi che rimarranno scarsi e inadeguati. «Senza tanti giri di parole, i rimpatriati tornavano da sconfitti», racconta Luigi Scoppola Iacopini analizzando singole testimonianze, cronache e documenti della diplomazia. Scrive l’autore: «La sensazione provata sulla propria pelle da molti rimpatriati era, al di là del trattamento da parte della ristretta cerchia di amici e parenti, quella di un’accoglienza all’insegna dell’indifferenza generalizzata che spesso tracimava in un atteggiamento di malcelato fastidio. Col loro personale bagaglio di dolore, frustrazione e rancore essi rappresentavano un qualcosa di ingombrante; risultavano sconfitti due volte, da Gheddafi nel presente e dalla storia nel passato in quanto con una voluta forzatura erano visti come l’ultimo cascame dell’epoca coloniale».

La comunità italiana di vecchio insediamento diventa insomma il «capro espiatorio ideale» per il regime di Gheddafi e per le sue parole d’ordine, a fronte del fatto che nel tempo le relazioni economiche fra Italia e Libia si intensificano e che arrivano i “nuovi italiani” delle ditte specializzate. E la linea politica dell’Italia? Attenta di fatto agli interessi geopolitici in ballo, al rispetto di una politica estera filoaraba e alla rilevanza dei rapporti economici ed energetici con la Libia, tanto che, spiega Iacopini, «per brutale e cinico che possa sembrare, sui piatti della bilancia c’erano da un lato le vite, il lavoro e le proprietà di circa ventimila connazionali, dall’altro la cosiddetta ragion di Stato sensibile al voluminoso giro d’affari in costante crescita e di grande rilievo nei settori del commercio e dell’industria meccanica e automobilistica, nonché alla basilare risorsa del petrolio libico già all’epoca capace di soddisfare una notevole percentuale dell’approvvigionamento nazionale».

Ricordare questa storia, proprio quando la Libia è implosa, ha senso per almeno due motivi: l’emigrazione e il colonialismo italiano sono un passato con cui l’Italia fatica a fare i conti, nella tentazione continua di cancellare tutto e dimenticare le proprie origini e le proprie responsabilità storiche; la Storia vista dalle storie delle singole persone rivela spesso quanto le decisioni politiche vengano prese seguendo quei “grandi interessi” strategici, geopolitici ed economici che finiscono per schiacciare le vite dei singoli. È accaduto nel passato e accade tuttora. Non per questo, però, tutto diventa giustificabile.

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Titolo: I «dimenticati». Da colonizzatori a profughi, gli italiani in Libia 1943-1974

Autore: Luigi Scoppola Iacopini

Editore: Editoriale Umbra, I quaderni del Museo dell’emigrazione

Pagine: 207

Prezzo: 12,00 €

Anno di pubblicazione: 2015



  1. E’ incredibile il silenzio su questa pagina della nostra storia ancora oscura i più. Si sa ma non si commenta e poco si insegna.Inuna casa di riposo di Pancalieri (Torino)Ho avuto la fortuna di conoscere una donna magnifica, Iole Mezzavilla Ferrara ( classe 1932), superstite della colonizzazione Libica, che a scritto un libro molto toccante a questo proposito…lo voglio segnalare ” Dalla buona terra alla sabbia d’Africa” Excogita editore

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