LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Religioni in carcere

Spazi.

Della questione carceri in Italia si parla molto, e per la questione carceri si fa poco e male. Si parla molto, giustamente, delle emergenze legate alla carenza di spazi, al dramma dei suicidi e dei molti atti di autolesionismo, alle condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria, ai diritti negati dei detenuti: alla salute, all’istruzione, al lavoro. Le molte emergenze che angosciano il pianeta penitenziario italiano nascondono però anche questioni apparentemente di minor conto, o come tali vissute e pensate quanto meno dalle istituzioni e da molti degli attori in campo (direzioni penitenziarie, educatori, volontari, agenti di polizia penitenziaria, associazioni della società civile etc.), che pure hanno a che fare con i diritti dei detenuti. Tra queste c’è il diritto all’assistenza religiosa. Quest’ultima può essere considerata di poca o nulla rilevanza solo a due condizioni: o che si dimentichi il profondo cambiamento della popolazione carceraria italiana, oggi composta per circa il 40% di stranieri, in misura considerevole anche dunque di fede non cattolica, e in via cioè di profonda pluralizzazione dal punto di vista culturale e religioso; o che si consideri, come per lo più avviene, la questione del diritto al culto in carcere una questione di serie B, un diritto di minor conto e importanza rispetto ad altri diritti: il che riflette evidentemente pregiudizi, visioni dell’uomo e culture anche politiche discutibili.

Di cosa parliamo? Della possibilità di pregare secondo le regole del proprio culto, che non sempre rimettono la preghiera al solo foro interiore della coscienza, ma chiedono tempi e spazi precisi, difficili da armonizzare con tempi e spazi della vita del carcere; della possibilità di celebrare liturgie specifiche; della possibilità di seguire norme alimentari specifiche; della possibilità di vedere trattato il proprio corpo – in carcere si sa, tutto impatta sul corpo – secondo norme particolari (dalle cure igieniche a quelle mediche); della possibilità di avere assistenza spirituale e/o relative all’applicazione di norme religiose in un contesto così difficile mediante il rapporto con un ministro di culto della propria tradizione o con un rappresentante della propria comunità; della possibilità di avere accesso ai testi sacri o ad altri simboli religiosi considerati sacri; della possibilità stessa di venire informati in modo completo ed esauriente circa le condizioni del diritto al culto dietro le sbarre. Si tenga conto che il sistema penitenziario italiano prevede l’implementazione del diritto al culto sostanzialmente in due modi: attraverso la presenza e il lavoro dei cappellani cattolici, che sono a tutti gli effetti parte dello staff di un istituto penitenziario, o attraverso la presenza di ministri di culto o rappresentanti di altre religioni la cui possibilità di ingresso e intervento è regolata dalle specifiche forme di accordi che lo Stato italiano ha volta per volta con le singole comunità religiose: il che rimanda, come sempre, alla questione delle Intese e al problema dell’assenza di una legge organica sulla libertà religiosa. In altri termini, se il diritto al culto trova tutte le condizioni di piena implementazione per un detenuto cattolico o per il ‘poco esigente’ detenuto protestante (le cui forme di religiosità non impattano sociologicamente parlando sullo spazio carcerario), lo stesso non si può dire per un detenuto ortodosso, per un testimone di Geova, per un musulmano (e la questione religioni in carcere non deve essere approcciata come se riguardasse il solo Islam), per un buddhista etc. In tutti questi casi altri rispetto al cattolicesimo, quel che manca non sono solo spazi per il culto e forme adeguate di comunicazione del diritto al culto e alla libertà religiosa, ma in primo luogo una sensibilità nei confronti del tema – da cui a cascata deriva la possibilità di una compiuta implementazione del diritto al culto – da parte delle istituzioni penitenziarie. Non si parla di sensibilità dei singoli operatori, al contrario molto spesso impegnati ad ‘accontentare’ le richieste dei detenuti, relative ora ad una sala di preghiera ora ad una liturgia specifica, ora ad un menu differenziato ora ad un testo sacro, ma di una cultura pluralista del diritto al culto che vada al di là del della volontaristica etica della fratellanza con cui in questo Paese si affrontano la gran parte delle questioni.

Si dice che il carcere rifletta per molti aspetti il mondo là fuori, ed è vero (come è vero che in carcere si sperimentano tecniche di controllo e pratiche esportabili nel mondo là fuori): e infatti il modo in cui viene gestito il pluralismo religioso nei sistemi penitenziari inglese o francese non è lo stesso, ad esempio, e riflette le diverse culture della laicità. Lo stesso dicasi per l’Italia. Uno sguardo comparativo non guasta, e mostra che le soluzioni e scelte operabili sono molteplici, dal cappellanato multi-religioso alla costruzione di sale multi-fede, ma tutto presuppone in primis una robusta cultura del pluralismo religioso, una alfabetizzazione e formazione dei diversi attori che al momento, in Italia, è del tutto carente.

A dire il vero, in Italia manca anche ricerca su questo fronte. Gli esempi di ricerca sociologica, almeno comparativamente rispetto ad altri contesti europei, sono pochi, sebbene meritori. Di religioni in carcere, fin qui, si parla per lo più, quando pure ciò accade, in termini di rischi di ‘radicalizzazione’ di specifiche confessioni (leggi Islam) dietro le sbarre, e di forme di controllo e gestione di questi rischi. Quello che non è ancora nel nostro quadro è che forse una compiuta implementazione del diritto al culto, in un contesto pluralista, può essere una risposta (una, certo, non l’unica) democratica ed efficace agli stessi rischi di radicalizzazione.
Per chi volesse saperne di più, almeno della situazione nelle carceri del Lazio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *