Cosa c’è nel futuro di Netanyahu?
Le ipotesi di stampa e diplomazia

Quel Governo “contronatura” non piace alla grande stampa internazionale. Il “matrimonio” politico tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz non convince, neanche se messo in rapporto con la dichiarata proclamazione dei due contraenti che quel connubio governativo è imposto dalla “guerra” al Coronavirus. Israele sotto i riflettori della stampa internazionale.

“Netanyahu avrà un’opposizione debole e frammentata. Blu e Bianco si è divisa in quattro partiti. Uno è guidato da Yair Lapid, che ha chiesto scusa ‘a chiunque abbia convinto nell’ultimo anno a votare per Gantz. Non credevo che il suo voto sarebbe stato rubato”. Gantz ha provato ad ammantare di coraggio la sua decisione: ‘La triste verità è che un intero Paese è stato paralizzato per due anni con un governo provvisorio, ha detto, accusando gli ex alleati di ‘preferire vittorie politiche alla vittoria contro il Coronavirus”, scrive l’Economist. 

Durissimo è il Financial Times: “Gantz appare come un ingenuo neofita che farà da scudo al premier. Sotto il velo dell’emergenza virus, i negoziati si sono concentrati sul processo al premier. Che ha ottenuto il veto sulla scelta del ministro della Giustizia e dei procuratori statali”. Variano i toni, le argomentazioni, ma non la sostanza politica: nel braccio di ferro tra il “Re” e il “Generale”, è il primo, Benjamin “Bibi” Netanyahu, ad aver stravinto.
Rimarca Le Monde: “Netanyahu si trova rilegittimato dopo dieci anni consecutivi al potere. Non potrà più essere costretto a lasciare la carica per comparire da semplice accusato di corruzione, frode e abuso d’ufficio nel processo che si apre il 24 maggio. Solo la Corte Suprema può ancora costringerlo, ma i giudici esiteranno a contrastare un compromesso sostenuto dalla maggioranza parlamentare e dalla presidenza della Repubblica”.

 

Un matrimonio d’interessi

Israele avrà un Governo ed eviterà le quarte elezioni anticipate in poco più di un anno, ma è improbabile, per non dire impossibile, che avrà la pace. Perché uno dei punti programmatici dell’esecutivo Netanyahu-Gantz è quello di realizzare l’annessione della Valle del Giordano e di una parte significativa della Cisgiordania. Scrive in proposito Le Monde: “L’accordo rappresenta una fuga in avanti di cui gli israeliani non hanno avuto il tempo di prendere le misure. Per sei mesi limita l’azione del Governo al contenimento della pandemia. Ma prevede un’eccezione cruciale, aprendo la strada all’annessione della Valle del Giordano e delle colonie della Cisgiordania occupata dal 1967. Azione unilaterale promessa da Netanyahu ai suoi elettori. Il progetto potrà essere esaminato dal Parlamento da luglio. Una tale azione unilaterale, illegale sul piano del diritto internazionale, minaccia di condannare un ipotetico Stato palestinese a un insieme di cantoni non più accessibili dalla Giordania. Mette a rischio l’Autorità palestinese e il suo progetto nazionale, come la fragile monarchia giordana”. Incalza l’Economist: “L’accordo stabilisce che si proceda in modo da non danneggiare gli interessi israeliani, “incluse la necessità di preservare la stabilità regionale, la tutela degli accordi di pace esistenti e l’aspirazione per accordi futuri?. Netanyahu avrà probabilmente l’ultima parola”.

Più che una probabilità, è una certezza.

Ma il “matrimonio d’interessi” tra Gantz e Netanyahu non maschera un’altra verità. Quella evidenziata dal Financial Times: “Israele non è mai stata così divisa. La guerra culturale divampa tra ebrei laici e religiosi. La divisione etnica tra ebrei e arabi si allarga all’interno di Israele, non solo tra Israele e i territori palestinesi occupati che intende annettere. Netanyahu stesso è una figura altamente divisiva”.

Ma il “matrimonio” durerà davvero per l’intera legislatura? Sono in molti in Israele a non crederci. Rileva in proposito Economist: “Il sollievo è palpabile. Secondo un sondaggio, solo il 31% ritiene che Netanyahu onorerà l’accordo e lascerà il posto a Gantz. Ma l’alternativa – un’altra aspra campagna elettorale, mentre il Paese è in lockdown e prossimo alla recessione – appariva peggiore. Quasi due terzi dell’opinione pubblica appoggiano il nuovo governo, e solo un quinto si oppone”.

 

Il futuro di Bibi

Rilevano in un documentato report per l’Ispi Giuseppe Dentice e Valeria Talbot: “Il rischio, sempre dietro l’angolo, è che Netanyahu disattenda agli accordi e rimanga al potere anche oltre il 2021 (quando, secondo accordi scatterebbe la staffetta a premier con Gantz, ndr). Un aspetto, quest’ultimo, non di poco conto se anche all’interno del Likud sono in tanti a pensare che il premier rimarrà lui anche dopo i fatidici 18 mesi.

Cosa potrebbe favorire questo tipo di calcolo? Le ipotesi sono essenzialmente due: da un lato una ferma volontà di Netanyahu, dall’altro un puro calcolo politico. In entrambi i casi, il premier potrebbe decidere di non abdicare al suo ruolo se non sarà stato prima in grado di mettere in sicurezza la sua eredità politica, ossia l’avvio del processo di annessione delle colonie ebraiche in Cisgiordania (ed entro la fine del 2020, presumibilmente, anche della Valle del Giordano, specie se Trump sarà rieletto presidente degli Stati Uniti), e la sua stessa carriera dalla minaccia del processo a suo carico.

È qui infatti che emerge la principale variabile in gioco, la nomina di un nuovo procuratore generale. In base all’accordo firmato con il suo rivale Gantz, il Likud – e nella fattispecie Netanyahu – può nominare tutti o buona parte dei rappresentanti della Commissione delle nomine giudiziarie. Un’operazione che permetterebbe di ampliare le mire di Bibi perfino alla Corte suprema. Questo fungerebbe da garanzia politica anche per il futuro, visto che nel maggio 2021 il mandato di Rivlin scadrà e non è impensabile ipotizzare che l’interesse di Netanyahu verta proprio sulla carica presidenziale. Benché rivesta un ruolo cerimoniale e simbolico nel panorama politico nazionale, il presidente della Repubblica gode dell’immunità dai processi. Va da sé che questa ipotesi sarebbe ottimale per Netanyahu nel caso in cui, rispetto all’accordo di rotazione al potere con Gantz, concorra come candidato del Likud e venga eletto dal parlamento a maggioranza (i numeri al momento sono dalla sua parte) per fermare i procedimenti a suo carico o influenzare i decisori politici nel cercare di bloccare gli iter giudiziari pendenti. Di fatto – concludono Dentice e Talbot – da questa situazione Netanyahu esce pienamente vincitore e in grado di assicurarsi un futuro politico se non radioso, quanto meno vantaggioso.

 

C’è che dice no

Dalla stampa alla diplomazia internazionale. Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha sottolineato come la decisione sulle annessioni ricada “in ultima istanza” su Israele e a ha aggiunto che gli Stati Uniti “stanno lavorando strettamente” con il governo dello Stato ebraico per “condividere in privato il nostro punto di vista”. Dura la reazione del coordinatore speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, che ha definito l’ipotesi di annessione “una grave violazione del diritto internazionale e un colpo devastante per la soluzione dei due Stati”, perché “chiuderebbe la porta a nuovi negoziati e minaccerebbe gli sforzi per far avanzare la pace nella regione”. Perplessità sono arrivate anche dall’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, che, pur sottolineando la cooperazione con il nuovo governo israeliano nell’affrontare la pandemia di Coronavirus, ha ribadito la linea dell’UE nel seguire le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1967 e del 1973 e di non riconoscere la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata. Una dichiarazione accolta “con rammarico” dal ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz. Borrell. Questi ha affermato che Bruxelles “ha scelto di vedere le relazioni tra Israele e UE esclusivamente attraverso i ristretti prismi del Coronavirus e dello ‘stato dei territori’”, senza considerare “la profondità delle nostre relazioni”.

Ma c’è anche l’Israele che dice no. Alla vigilia dell’annuncio dell’accordo, come hanno mostrato le foto che hanno fatto il giro del mondo, circa duemila persone si sono radunate in piazza Rabin, nel centro di Tel Aviv, per manifestare contro il premier Netanyahu. I manifestanti hanno rispettato la distanza di sicurezza prevista dalle norme contro il Coronavirus. Ad organizzare la protesta è stato il movimento Black Flag, che da settimane denuncia l’erosione della democrazia causata, a loro dire, dalla leadership di Netanyahu, rinviato a giudizio per tre casi di corruzione. Per il portavoce del movimento Eliad Shraga. l’accordo di coalizione, arrivato dopo un anno e mezzo di stallo politico e tre elezioni, minaccia di calpestare le leggi fondamentali del paese e di minare l’autorità della Knesset, il parlamento di Israele.Il movimento aveva chiesto a Gantz di non scendere a patti con Netanyahu, che in base all’accordo avrà, almeno nei primi sei mesi, potere di veto sulle nomine della procura statale e su tutte le cariche pubbliche più importanti.

 

Foto: Jack GUEZ / AFP

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