Nuovi BRICS, è la realpolitik bellezza!

 

Dal 1° gennaio 2024, Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia entreranno a tutti gli effetti a far parte del club delle nazioni Brics (ma usare questa sigla ha ancora senso?), su esplicito invito della Cina e placet degli altri partner fondatori (Brasile, Russia, India, Sudafrica).

Dando uno sguardo ai numeri, la nuova organizzazione internazionale rappresenterà, in termini di popolazione mondiale, più del 40 per cento dell’umanità. Quanto al prodotto interno lordo (Pil), una quota tra il 35 e il 38 per cento. E per superficie del pianeta rappresentata, circa il 26 per cento.

A colpo d’occhio, le new entry sembrerebbero avere poco in comune, se non la volontà di contare sulla scena mondiale uscendo dall’ombra di – ancora – ingombranti passati coloniali o sfere di influenza occidentali. In realtà, la rete dei legami economici fra i protagonisti di questo allargamento epocale è non solo fitta, ma anche stratificata nel tempo. Inedite e quindi più sorprendenti sono invece certe alleanze o triangolazioni politiche che l’allargamento porterà con sé.

 

Un esempio emblematico

Prendiamo il caso etiope. Addis Abeba è stata protagonista di una crescita sostenuta e costante per almeno 15 anni: un allungo mantenutosi sempre al di sopra delle due cifre percentuali. E persino quest’anno, nonostante il conflitto civile nel Nord del Paese (l’accordo di pace del novembre 2022 non ha dato per il momento i frutti sperati) e le forti tensioni con sudanesi ed egiziani per lo sfruttamento delle acque del Nilo, il peso massimo del Corno d’Africa vanta una crescita del più 7-7,5 per cento del Pil. Inoltre, debito, inflazione e quotazione della valuta nazionale sono sotto controllo.

Il progetto di diventare un importante hub energetico nel continente africano, con proiezione naturale verso la penisola araba, giusto dirimpettaia, rimane centrale nell’agenda del premier Abyi Ahmed Ali. La Grande diga del Rinascimento etiope e altre infrastrutture già funzionanti assicurano al Paese autonomia energetica e capacità produttiva da vendere.

Ma per completare il quadro, l’Etiopia necessita di un flusso sostenuto di investimenti diretti esteri, di interscambi commerciali equilibrati, di know-how e tutoraggio tecnologico di alto livello. Fra i fratelli maggiori Brics, chi da più tempo investe nel Paese, partecipa alla realizzazione di infrastrutture, vende e acquista prodotti a tutto campo è la Cina, assoluta protagonista anche nelle zone economiche speciali etiopi. Addis Abeba vuole privatizzare tutto il privatizzabile e Pechino non chiede di meglio.

Da non sottovalutare che l’Etiopia aderisce a una serie di accordi bilaterali o allargati nella regione, propedeutici alla futura zona di libero scambio africana. E l’India? Dopo Pechino, Nuova Delhi è il secondo partner commerciale per l’Etiopia, che acquista soprattutto grano, fertilizzanti, tecnologia, manifatturiero, medicinali. Gli investimenti diretti superano i 5 miliardi di dollari.

Quanto alla Russia, nella cornice del recente “Russia-Africa summit” Mosca e Addis Abeba hanno rafforzato intese già esistenti e dato il via a nuovi percorsi congiunti: spicca l’impegno russo a realizzare la prima centrale atomica etiope, e diverse città o aree industriali con tariffazione fiscale e doganale particolarmente vantaggiosa.

Ma c’è un ma, o meglio un groviglio di ma: per Mosca, Addis Abeba è un’ottima cliente di armi e di expertise militari al fine di sconfiggere i ribelli del Tigray, in prima battuta, e intimorire i competitor regionali – Sudan ed Egitto – che in questo momento storico sono sul piede di guerra per le acque del Nilo contese. Anche il Sudan, però, è nelle grazie di Vladimir Putin, con un’accelerazione dal 2017 in poi, anno in cui è iniziato lo sfruttamento intensivo delle miniere sudanesi da parte dei colossi russi. Ed è arrivata la milizia Wagner.

Oggi il Cremlino ha un solido rapporto – sbandierato senza remore – con il generale sudanese ribelle Mohammed Hamdan Dagalo, spesso in visita a Mosca. Un autocrate che rifugge gli strumenti della diplomazia e parrebbe intenzionato a risolvere le diatribe dell’intero quadrante geografico con le sue Forze di intervento rapido. Egitto ed Etiopia, oltre al tribolato Sud Sudan, sono avvertiti. Come si ricomporranno tutte queste tensioni nell’alveo dei new Brics?

Completiamo l’affresco con un rapido sguardo agli altri Paesi fondatori in relazione ad Addis Abeba: il Brasile è sempre più interessato ad avere accesso al mercato africano e l’Etiopia, con i suoi 123 milioni di abitanti e un territorio ricco di materie prime, fa al caso suo. Infine il Sud Africa, che punta a velocizzare la transizione verso un mercato africano libero e ad ampliare le sue collaborazioni nel cuore del continente.

 

I nuovi ingressi sono tutti simili all’Etiopia?

Nei tratti macro sì: ricchi di materie prime o idrocarburi o potenziale produttivo energetico; con popolazioni in media molto giovani; eccezion fatta per i due sultanati, si tratta anche di giganti demografici.

Emirati e Arabia Saudita vantano una maggiore stabilità politica, cosa che gli altri non possono inserire nel proprio curriculum, e un processo avanzato di diversificazione economica che permette loro di guardare oltre l’oro nero.

Adottando, però, uno schema di analisi per insiemi, è inevitabile operare importanti distinguo e raggruppare i più somiglianti.

L’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, superata la boa del primo decennio di regime post-rivoluzionario, è fragile come un vaso di cristallo: a nulla sono servite le politiche sociali volte a contenere la spinta demografica. La popolazione cresce a un ritmo di oltre due milioni di nuovi cittadini l’anno. Di questo passo, gli egiziani saranno duecento milioni (ora sono oltre cento milioni) nel 2100. Una crescita economica altalenante, appesa al filo della stabilità interna e regionale, non riesce a dare un futuro al Paese oggi, figurarsi un domani.

Fra i dati più allarmanti sul fronte dei conti, il tasso inflazionistico nel mese di agosto 2023, circa il 40 per cento anno su anno, con particolare virulenza su beni di consumo essenziali e trasporti. Da notare che la lotta contro l’inflazione è una delle condizioni fissate dal Fondo monetario internazionale nel dicembre 2022 per accordare all’Egitto un prestito da 3 miliardi di dollari, ancora congelato. Altrettanto importante avviare una politica di privatizzazioni, di svalutazione della moneta, di riduzione del debito.

Dal miglioramento del quadro socio-economico dipende la tenuta di un regime che non tollera nessuna forma di dissenso, né nella popolazione né fra i propri ranghi, e che sta scontentando troppi partner. All’orizzonte le elezioni presidenziali del giugno 2024: per al-Sisi è vitale incassare un risultato plebiscitario per rimanere in sella. Da qui la ricerca continua e in tutte le direzioni di nuovi alleati, senza mai scaricare quelli vecchi.

Del sottoinsieme dei “fragili” fa parte anche la Repubblica islamica iraniana: in apparenza ancora impossibile da scalfire, Teheran traballa sotto la spinta di una popolazione giovane ed esasperata da oscurantismo e difficoltà economiche. A un anno dall’assassinio di Mahsa Amini, le manifestazioni sono riprese un po’ ovunque nel Paese. E la storia insegna come anche regimi trentennali possano essere spazzati via nell’arco di una notte. Il quadro socio-economico peggiora di giorno in giorno: in primavera l’inflazione ha sfiorato il più 50 per cento anno su anno; e un dollaro è diventato equivalente a 600mila riyal.

Nell’offrire spazi di interscambio commerciale e finanziario agli ayatollah, i Brics sono consapevoli di dare loro linfa vitale. Così, grazie a sostegno economico e legittimazione politica, si rimanda il decesso del regime iraniano. Dal punto di vista di Mosca, Pechino e Nuova Delhi, ne vale la pena al cento per cento: non solo per assicurarsi immense riserve energetiche, ma anche per mettere i puntini sulle i con Washington e ridisegnare gli equilibri mondiali.

Per l’Argentina, che andrà al voto presidenziale il 22 ottobre, il termine fragile è addirittura eufemistico: Buenos Aires è, di nuovo, sull’orlo del baratro. Più del 40 per cento degli argentini vive in povertà. L’inflazione ha superato le tre cifre. I cinque candidati lottano a colpi di ricette economiche per curare il grande malato (è il più esteso Paese di lingua spagnola al mondo): ricchissimo di materie prime e territori incontaminati, abitato solo da 40 milioni di persone concentrate per lo più nei grandi centri urbani, il gigante del Sud America si dibatte alla ricerca di investimenti stranieri. Insieme all’Egitto, l’Argentina è la nazione che ha ricevuto (inutilmente) più prestiti dal Fondo monetario internazionale e anche questo è un dettaglio non trascurabile.

Il percorso fatto sin qui ci porta a dire che, in modo spregiudicato, da anni il nucleo originario dei Brics, con la Russia in posizione di leadership crescente, va a caccia – come fanno i migliori esperti di risorse umane – di profili appetibili da reclutare: Paesi emergenti che hanno, oltre a quanto già evidenziato, la caratteristica di non dare peso ad argomenti scomodi quali diritti umani, pluralismo politico, ricorso al dialogo nella soluzione di diatribe internazionali.

Ai nuovi partner non sono stati richiesti né l’uscita da altre organizzazioni né radicali cambi di rotta: in alcuni casi, il risultato è una rete di alleanze tanto contraddittoria quanto inimmaginabile fino a pochi anni fa.

Abu Dhabi e Riyadh ne sono un esempio lampante. C’è l’alleanza di ferro con Washington, che ha come frutto più recente la normalizzazione dei rapporti con Israele. E poi l’asse con l’Europa, parco giochi economico dei sultanati e partner energetico. Entrando nei Brics, però, si rafforza ulteriormente la relazione a trecentosessanta gradi con Mosca e pure quella con la Cina, tutta tecnologica e infrastrutturale. Festeggia l’India, che già dal maggio 2022 ha in essere un Cepa (accordo di partnership commerciale globale) con gli Emirati per la riduzione all’osso delle tariffe doganali sull’interscambio. Dal gennaio 2024, le opportunità aumenteranno ulteriormente.

Emirati e Arabia Saudita sono in credito con l’Egitto per cento miliardi di dollari: la cornice dei Brics potrebbe autorizzare i creditori a battere cassa con più forza, magari aumentando acquisizioni e investimenti nel Paese nordafricano. E in aggiunta tutorando ancor di più il regime al-Sisi in termini politici. Fra i tanti contenziosi in sospeso fra Paesi del Golfo e Repubblica islamica, lo sfruttamento dei campi di gas del Golfo Persico (o Arabico, a seconda delle prospettive) potrebbe trovare un accomodamento sotto l’egida dei new Brics. Per interesse economico di tutti i membri e comune contrapposizione agli Stati Uniti.

Di questo passo, ancora poco e farà il suo ingresso trionfale nei new Brics pure la Corea del Nord.

 

Foto di copertina: da sinistra, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, il presidente cinese Xi Jinping, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, il primo ministro indiano Narendra Modi e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov al Summit Brics a Johannesburg, 24 agosto 2023. Foto di Phill Magakoe / Afp.

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