In Asia, tra affari e geopolitica:
la nuova politica estera dell’Iran

Da Reset-Dialogues on Civilizations

C’era una volta un principe della dinastia Moghul di nome Muhammad Dara Sikoh. Nel 1655, prima di abbracciare la confraternita sufi della Qadiriyya, Dara Sikoh scrisse un trattato comparativo fra induismo e sufismo, il bellissimo Majma‘ al-bahrayn (tr. i. “La congiunzione dei due oceani”); e lo vergò in persiano, all’epoca lingua colta e ufficiale dell’amministrazione indiana. Oggi, tutto è cambiato. L’Iran conserva però un grande potenziale d’influenza culturale e politica sull’Asia: con la fine delle sanzioni internazionali, gli iraniani tornano al centro della geopolitica e non solo mediorientale. La firma dell’accordo tripartito Iran-India-Afghanistan, siglato il 23 maggio scorso, nonché del Memorandum of Understanding fra Teheran e New Delhi, sono segnali della nuova (e insieme vecchia) partita asiatica dell’Iran. D’altronde, Hassan Rouhani si sta giocando tutto sulla rivitalizzazione dell’economia iraniana, indebolita da anni di isolamento: per il  presidente sarà fondamentale attrarre investimenti da Est, ancor prima che da un Occidente tuttora fiaccato dai (postumi?) di una lunga crisi economica.

Per Teheran, rafforzare la partnership strategica con New Delhi significa, al contempo, (ri)costruire una rete di alleanze in Asia e competere con il rivale saudita. Infatti, in questi anni, il parziale disimpegno statunitense dal Golfo ha accelerato la diversificazione delle alleanze internazionali dell’Arabia Saudita e delle monarchie alleate: Cina e India sono stati i perni di quest’operazione ancora in corso, propiziata dal fabbisogno energetico dei giganti asiatici. E l’India è divenuta cruciale: perché se il rallentamento economico cinese ha in parte ridotto l’import di idrocarburi di Pechino, il prodotto interno lordo di New Delhi si è attestato nel 2015 al 7,5%. Fino al 2012, l’Iran è stato il secondo fornitore di petrolio per l’India e vuole ora affacciarsi con decisione sul territorio indiano: non solo petrolio, ma anche sviluppo infrastrutturale (come la trattativa per il gasdotto sottomarino fra Iran, Oman e India) e opportunità commerciali.

Nella relazione fra Iran e India, l’Afghanistan gioca un ruolo in crescita, nonostante Kabul sia lontana dalla pacificazione: in prospettiva, New Delhi diverrà un attore di primo piano per la stabilizzazione del paese. Infatti, gli indiani hanno fortemente investito, in chiave anti-Pakistan, nella ricostruzione dell’Afghanistan (per esempio, la sede del Parlamento è un progetto finanziato da loro), ma anche nell’attività di addestramento delle forze di sicurezza locali. L’accordo tripartito siglato fra Hassan Rouhani (Iran), Narendra Modi (India) e Ashraf Ghani (Afghanistan) a Teheran, offre a Kabul una nuova rotta commerciale in grado di circumnavigare il Pakistan convergendo, negli interessi sia iraniani che indiani, sul porto di Chabahar (regione di Sistan Baluchistan della Repubblica Islamica), tra golfo di Oman e mar Arabico. Secondo l’accordo, l’India investirà 200 milioni di dollari per lo sviluppo del porto di Chabahar (aperto anche ad altri investitori), che diventerebbe così un hub infrastrutturale tra Golfo e Asia. Il progetto prevede inoltre la creazione di un corridoio commerciale che colleghi Chabahar al cuore dell’Asia meridionale, passando per le città  afghane occidentali di Zaranj (sul confine iraniano) e Delaram, già unite da un’autostrada di costruzione indiana. L’Afghanistan è ricco di risorse minerarie finora inesplorate, tra cui giacimenti di rame e ferro.

Lo sviluppo del porto di Chabahar, in cantiere da decenni, si pone in diretta competizione con il vicino porto di Gwadar, nel distretto pakistano di Makran (Baluchistan): un progetto in cui la Cina ha investito molto, tanto che il Corridoio Economico Cina-Pakistan dovrebbe arrivare fino al porto pakistano. Al di là di Gwadar – che è l’esempio più vistoso – la trasformazione di Chabahar in un fulcro del commercio marittimo nel mar Arabico potrebbe avere un impatto anche sui grandi porti delle monarchie del Golfo, come l’emiratino Jebel Ali (Dubai) e l’omanita al-Duqm. In questo quadrante di mare tra Africa, Medio Oriente e Asia, potrebbero tuttavia coesistere anche diversi hub marittimi, dato il volume dei traffici commerciali. Mediante questo progetto e l’intensificazione della relazione con l’Iran, l’India punta a conquistare spazio sui mercati dell’Asia centrale, oggi appannaggio di Turchia e Russia.

Vi sono però stati che guardano con malcontento all’accordo Iran-India-Afghanistan e sono almeno tre: Pakistan, Cina e Arabia Saudita. Islamabad si vede escludere da un progetto di respiro regionale che include invece l’Afghanistan, ma non può che auspicare rapporti di buon vicinato con l’Iran, specie su infrastrutture energetiche, risorse idriche e sicurezza dei confini. Neanche la visita di Rouhani in Pakistan, avvenuta nel marzo scorso, sembra aver sbloccato la costruzione del gasdotto che dovrebbe trasportare il gas iraniano in Pakistan (Islamabad non ha costruito il suo tratto): troppe le pressioni contrarie, Arabia Saudita e Cina su tutti.

Fra i BRICS, Cina e India sono potenze direttamente rivali. Pechino, oltre alla potenziale competizione fra Chabahar e Gwadar, assiste alla tessitura geopolitica dell’India. “Connectivity”, ovvero realizzazione di infrastrutture, collegamenti nonché creazione di istituzioni è il nuovo mantra indiano: New Delhi sta infatti provando a disegnare una rotta commerciale interregionale che sia alternativa alla “nuova Via della Seta” (One road, One belt), anche mediorientale, tratteggiata dalla Cina di Xi Jingping. In entrambi i casi, il Golfo è il pivot di qualunque strategia di espansione commerciale e d’influenza. Osservando le iniziative cinesi, l’India comincia però a interrogarsi sul crescente legame fra interconnessione e geopolitica: perché anche una strategia di sviluppo commerciale -se delineata in modo unilaterale anziché cooperativo- può produrre rivalità e nuove instabilità invece che prosperità condivisa.

E poi c’è Riyadh e tutta l’area del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che ha fortificato le relazioni economiche con l’India in anni recenti: Narendra Modi ha effettuato due visite significative, una negli Emirati Arabi Uniti (agosto 2015), l’altra in Arabia Saudita (aprile 2016). Sauditi ed emiratini stanno ampliando l’interdipendenza, inizialmente solo economica, con New Delhi a settori meno consueti, come difesa ed energia nucleare. L’India punta alla diversificazione degli approvvigionamenti energetici: la sua sicurezza energetica nazionale dipende dall’importazione di idrocarburi. Pertanto, la tradizionale politica di non-ingerenza indiana si declina oggi in un’equidistanza cooperativa tra le due sponde rivali del Golfo.

La collaborazione fra Iran, India e Afghanistan presenta dunque molte opportunità e altrettanti ostacoli. L’accordo siglato, al di là delle sorti di Chabahar, non è per ora destinato a mutare i rapporti di forza regionali (molto dipenderà dal destino dell’Afghanistan), ma segna il rientro, pubblico, dell’Iran nei giochi della geopolitica asiatica, indicando una tendenza per il futuro: nelle sue trame strategiche, Teheran guarderà sempre più a est, una ˊvia di fugaˋ, anche finanziaria,  rispetto all’instabilità mediorientale.

Nonostante molte questioni irrisolte e croniche instabilità territoriali, commercio ed energia rimangono i migliori vettori delle alleanze fra gli stati e, dunque, della politica stessa.

Nella foto di copertina:
Ali Tayebnia, il ministro degli affari economici dell’Iran

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