Napolitano ammonisce gli inconcludenti

La Repubblica: “Napolitano: resto fino al termine del semestre Ue”, “Il Quirinale smentisce le dimissioni a metà dicembre”, “Dai Democratici sì a Renzi sull’accelerazione delle riforme”, “L’Italicum in vigore quando sarà abolito il Senato”.
In evidenza una foto di contestazioni ieri a Istanbul contro la visita del presidente russo sotto il titolo: “Putin alla guerra dell’energia: ‘Addio gas di South Stream’”.
A centro pagina anche la vicenda del bambino di Santa Croce Camerina, nel ragusano: “Loris, si stringe i cerchio: ‘Conosceva l’assassino’”.
La “storia” richiamata in prima e raccontata nell’inserto R2: “Così l’Is distrugge l’arte islamica”, “Dalla tomba del profeta alla moschea di Tikrit: il martirio degli idoli”, di Paolo Matthiae.
Il “caso” raccontato in prima, nella colonna a sinistra: “Il salvataggio Ilva nella manovra, ma scatta l’allarme sulle perdite”. Con un’analisi di Federico Fubini: “La trincea dell’acciaio”.

La Stampa: “Napolitano, i paletti dell’addio”, “’Il Presidente non lascerà a dicembre’”, “Nota del Colle: le valutazioni vanno tenute completamente separate dall’attività di governo e dall’esercizio della funzione legislativa”, “Renzi: subito la legge elettorale”.
Sotto la testata: “’Il piccolo Loris strangolato da chi lo conosceva bene. Non si fidava degli estranei’”.
Il “caso”: “Tasse, una lettera alla Ue da Italia, Francia e Germania: ‘Stop alla concorrenza sleale’”.
A centro pagina, foto dei Murazzi di Torino di nuovo sott’acqua: “Piove e non fa freddo: effetto monsone sull’Italia”.

Il Corriere della Sera: “‘Niente alibi sulle riforme'”. “Napolitano non lascerà prima di fine anno. Renzi accelera sulla legge elettorale con il sì del Pd”. “Il Quirinale: tempi delle dimissioni da valutare, l’attività politica vada avanti”.
In alto: “Il Pil calato dello 0,5 in un anno. L’Italia alla Ue: più investimenti”.
A centro pagina, con foto: “Schiaffo di Putin: fermato il gasdotto verso l’Europa”.
A fondo pagina: “‘Comunione ai divorziati, il Papa dirà no’. Il cardinale Scola: dobbiamo spiegare che il matrimonio è indissolubile, senza via d’uscita”.

Il Sole 24 Ore: “Petrolio ancora in caduta, ai minimi da cinque anni”. “Il greggio scende sotto i 64 dollari. Il rublo perde l’8 per cento rispetto a euro e dollaro”. “Borse deboli”. “Putin ‘gela’ la Ue: il gasdotto South Stream non si farà”.
Di spalla: “Renzi incalza sull’Italicum. Napolitano: ‘Dimissioni? Non durante il semestre Ue'”. “Il Colle: le mie scelte sull’addio vanno tenute separate dalle riforme”. “Il premier al Pd: ora bisogna accelerare”.
A centro pagina: “Consumi fermi, investimenti a picco”.

Il Fatto: “Riccardo Muti al Quirinale, ‘Renzi l’ha chiesto a mio padre’”, “Il figlio del maestro: ‘E’ una proposta seria del premier, ne abbiamo parlato in famiglia’. Ieri il direttore d’orchestra era a Firenze: ‘Nella vita, come in politica, bisogna osare’. Il pranzo con Nardella e il concerto con lady Agnese. Dimissioni di Napolitano, il Colle: ‘Non prima della fine del semestre europeo’”.
In taglio basso: “Parla Karolina Kostner: ‘Alex tradì la mia fiducia. Basta, potrei ritirarmi’”.

Il Giornale: “Renzi si compra i grillini. Il premier annuncia intese con i Cinquestelle. Una telefonata smaschera l’apertura del mercato”. “Dopo il flop su Pil, occupazione e tasse ora il Pd perde voti”.

Napolitano

La nota del quirinalista del Corriere Marzio Breda si sofferma sul comunicato con cui ieri il Quirinale ha ribadito che Napolitano resterà in carica fino alla fine del semestre Ue a presidenza italiana, ma ha anche affermato con chiarezza che Napolitano deciderà “per proprio conto” quando lasciare la Presidenza. “Non è una pressione sul Parlamento, come qualcuno sarà magari tentato di suggerire. È piuttosto una preventiva messa in mora di quanti (e sono parecchi, nei diversi schieramenti) vorrebbero farsi scudo delle sue ormai vicine dimissioni per tornare all’eterno vizio dell’inconcludenza e deviare su un binario morto i provvedimenti in cantiere da mesi. Anzitutto, è ovvio, la riforma del sistema elettorale”. Breda ricorda che “alcuni boatos parlamentari davano per certa l’uscita dal Palazzo entro la prima metà di dicembre, mentre altre fonti si sbilanciavano indicando addirittura nel 20 gennaio il giorno del congedo e parlando di un ‘bimestre bianco’. Il comunicato spazza via la prima supposizione”, e “per il dopo” spiega che Napolitano “‘compirà le proprie valutazioni’, privatissime e non condizionabili, su modi e tempi del passo d’addio”. E soprattutto “aggiunge il cenno più esplicito, quello per cui le sue dimissioni vanno ‘separate’ dal lavoro del governo e delle Camere, cenno con cui vuole sottrarsi a ogni speculazione”, nel tentativo di “disinnescare lo scontro apertosi tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi che, oltre a minare alle basi il patto del Nazareno – e, dunque, diroccare ogni altra chance riformatrice -, rischia di far entrare in una fibrillazione incontrollabile l’intero scenario politico”.
Sullo stesso quotidiano la “nota” di Massimo Franco definisce quella di Napolitano “Una mossa che cerca di puntellare il governo”.
La Repubblica, pagina 2: “L’avvertimento di Napolitano: ‘Non mi dimetto nel 2014, decido dopo il semestre Ue’”, “Il Colle mette fine alle voci su un addio immediato. I timori che la corsa alla successione paralizzi le Camere”. Il quotidiano scrive che la nota del Colle “stoppa il carosello del toto-Quirinale, l’agitazione di una corsa al Colle ‘anticipata’ che ha scatenato un braccio di ferro tra Renzi e Berlusconi”. E poiché la nota del Quirinale sottolinea che le decisioni sulle dimissioni “per propria natura sono e devono essere tenute completamente separate dall’attività di governo e dall’esercizio della funzione legislativa”, La Repubblica le interpreta così: “il nodo delle sue dimissioni non può essere un alibi per posticipare la riforma delle legge elettorale, come vorrebbe Berlusconi. E nemmeno motivo di preoccupazione per la tenuta delle riforme come in qualche modo teme Renzi, che vorrebbe Napolitano al Colle più a lungo”. Sulla stessa pagina, nel “retroscena” di Francesco Bei si legge che “la corsa contro il tempo è iniziata. E Matteo Renzi da ieri sa di poter contare sul dodicesimo uomo in campo: Giorgio Napolitano. ‘Lo dobbiamo ringraziare -ha detto il premier ai suoi- per quel comunicato con cui ha spazzato via tutte le manovre di chi puntava a ricattarci sull’Italicum’. Una nota che dal governo, se non direttamente sollecitata, di certo era attesa”. E Bei racconta “la mossa del premier: approvare l’Italicum e congelarlo fino alla abolizione del Senato”. C’è quindi una “sponda del Colle per evitare di abbinare la legge elettorale al voto sul capo dello Stato”.
Su La Stampa: “’Niente dimissioni prima del nuovo anno’”, “Una nota del Colle ferma le voci: ‘Gratuito ipotizzare l’addio prima della conclusione del semestre italiano”. Nota, scrive Ugo Magri, serviva a metter fine a certe speculazioni politiche: come quella nata dalle dichiarazioni di Berlusconi, che da giorni andava ripetendo che lui non intende procedere con le riforme della Costituzione perché prima bisognerà eleggere il capo dello Stato: “in altri termini, Forza Italia aveva tentato di sfruttare a proprio vantaggio le dimissioni del Presidente in modo da ostacolare i piani di Renzi”.
Ancora su La Stampa: “L’accordo su un nome di alto profilo potrebbe tagliare fuori Forza Italia”, “Per l’elezione del capo dello Stato, il premier potrebbe puntare su un’intesa con i centristi”. Ugo Magri spiega quanto nell’ultimo anno e mezzo, rispetto al caos della riconferma di Napolitano nell’aprile 2013, sia cambiata la geografia politica: “non nei numeri, che restano gli stessi incominciando dai 1007 grandi elettori, ma negli equilibri dentro i partiti”. M5S e Forza Italia hanno registrato scissioni, il Pd ha tratto beneficio dalla cura Renzi: “un po’ con le buone, un po’ con le minacce, il premier ha messo in riga il grosso dei gruppi parlamentari. A conti fatti, i critici irriducibili saranno 30, forse 40. Gli altri ‘malpancisti’, compresa la ‘Ditta’ D’Alema-Bersani, non sembrano smaniare per una resa dei conti. Andranno sicuramente allo scontro in un caso: qualora Renzi puntasse per il Colle su un candidato (uomo o donna) dal profilo scialbo e pronto a sciogliere il Parlamento secondo i desideri di Palazzo Chigi”.
Su La Repubblica, “il punto” di Stefano Folli: “Il rebus del Colle va sciolto nel Pd”, “Perché serve un accordo Renzi-Bersani sul Quirinale”, “Le aperture ai grillini servono al premier per negoziare con Berlusconi da una posizione di forza”.
Secondo Il Giornale la nota del Quirinale è “un aiutino in piena regola” a Renzi, in difficoltà. “Negli ultimi giorni il nervosismo del premier sembrava alimentarsi di ulteriori tensioni: tra queste, la sensazione che il Corsera abbia cominciato a puntare sul candidato che potrebbe maggiormente fargli ombra: Mario Draghi. Sensazione forse non sufficientemente suffragata dalle reali possibilità che il presidente della Bce abbandoni un ruolo così cruciale. Lo farebbe, questo il nocciolo dei timori di Renzi, solo se la situazione economica rappresentasse per Bruxelles un problema irrisolvibile”. Una sorta di “commissario straordinario” della Ue e della trojka, scrive il quotidiano.

Renzi, riforme, M5S

Sul Sole: “Renzi: ‘Accelerare sull’Italicum'”, dove si dà conto delle parole del premier ieri alla Direzione Pd: “‘Non c’è alcuna ragione per bloccare o ritardare la legge elettorale. Berlusconi ha detto che prima vuol fare il nuovo Presidente della Repubblica, e questa proposta è da respingere al mittente. Vogliamo procedere rapidamente non perché vogliamo andare a votare, ma perché un ritardo sarebbe inaccettabile sia per i motivi per cui Napolitano ha accettato il secondo mandato sia agli occhi dei cittadini. Dunque la legge elettorale, deve essere chiaro anche al nostro interno, è da calendarizzarsi il più velocemente possibile e senza modifiche: l’accordo raggiunto non è rinegoziabile'”. Si punta ad approvare la legge elettorale nei primi giorni di gennaio, prima della convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione del nuovo Capo dello Stato.
Il Giornale, nella cronaca della riunione della Direzione Pd di ieri, dice che Renzi vuole portare la legge elettorale “provando anche a coinvolgere altri voti in Parlamento”. Il premier ha detto che “ora diventa possibile un percorso di coinvolgimento di quella parte dei grillini che non dipendono più dal Sacro Blog”. E “In serata ‘Piazza Pulita’ manda in onda una telefonata del premier al dissidente 5 Stelle Artini, ma ufficialmente Renzi mette le mani avanti: ‘Nessuno pensa a offrire alleanze politiche o strane coalizioni. Vogliamo solo portarli a discutere di cose concrete'”.

Ilva

Oggi Paolo Bricco, sul Sole 24 Ore, interviene sulla vicenda Ilva dopo le voci di una possibile “nazionalizzazione” dell’azienda e ricorda che “l’Ilva è stata gestita dai legittimi proprietari, i Riva, con efficienza. Non ha mai perso soldi. Gli utili, dal 1995, sono sempre stati reinvestiti nell’impresa”. E’ commissariata per “i problemi ambientali – quelli reali e quelli percepiti, quelli della verità storica e quelli della verità giudiziaria”, e il commissariamento è diventato “nei fatti” “una cancellazione sostanziale dei diritti di proprietà”. Infine, “il paradosso”: “lo Stato ha commissariato l’azienda, l’ha gestita bruciando qualcosa come 2,5 miliardi di euro di capitale netto in poco meno di due anni e mezzo, ha deciso di venderla come fosse una impresa sua e non di imprenditori privati e adesso, dato che la fabbrica perde a bocca di barile, pensa – fra le ipotesi ventilate – di chiederne l’amministrazione straordinaria attribuendo alla Marzano una centralità che ha già avuto nel caso Parmalat, nel 2003, e nel caso Alitalia nel 2008”, così che “l’Ilva rischia, infatti, di sperimentare una insolvenza, originatasi nella miscela di provvedimenti giudiziari e di atti di Governo”. Bene fa Renzi a mostrare “sensibilità”, a capire che “senza l’acciaio prodotto a Taranto, la fisiologia economica italiana diventerebbe più gracile e ancora più esposta alla dipendenza dalle forniture straniere”, ma serve “equilibrio”, e cercare altri “strumenti adeguati di mercato”.
Due pagine de La Repubblica sono dedicate alla “crisi dell’acciaio”. Pagina 10: “Ilva, il governo vuole dare pieni poteri al commissario e punta ai fondi della Bei”, “Ieri primo esame: decreto o emendamento in Finanziaria per allargare l’utilizzo dell’amministrazione straordinaria”. E il quotidiano offre ai lettori due interviste sul caso. La prima al segretario Fiom Maurizio Landini, che dice: “Giusto questo intervento, ma non si trasformi in un’altra Alitalia”, “serve un’operazione vera di politica industriale. Non si può scaricare ancora i debiti di una società su tutta la collettività per regalare agli stranieri di turno un’impresa strategica”. E sulla proprietà dei Riva: “serve un ricambio degli assetti proprietari”. Di fianco, un “colloquio” con Claudio Riva: “azionisti pronti a investire ancora, interpellateci”, “La famiglia è disposta a fare la sua parte per contribuire alla soluzione del problema”.
E, ancora su La Repubblica, i ruolo di Cassa Depositi e prestiti: “La Cdp studia il dossier, stima choc sulle perdite, 3 miliardi per altri tre anni”.
Della vicenda si occupa anche Federico Fubini: “la domanda che Renzi deve porsi -scrive- non è se è giusto che vent’anni dopo l’Iri lo Stato italiano rientri in gioco ma quale è il suo piano”.
Su Il Fatto: “L’Ilva può diventare Alitalia, con la bad company di Stato”, “Il governo parla di nazionalizzazione, ma il progetto potrebbe riguardare soltanto la parte decotta dell’azienda, mentre quella buona resta ai privati”.

Tubi

Grande attenzione de La Repubblica alla visita del presidente russo Putin in Turchia e all’annuncio da lui dato che così viene riassunto nei titoli: “Putin: ‘Stop al gasdotto South Stream’. Mosca e Ue alla guerra dell’energia”, “L’annuncio del presidente russo in visita in Turchia da Erdogan. ‘Dalla Commissione europea e da Sofia poca collaborazione’”. Andrea Greco e Luca Pagni firmano “lo scenario”: “La partita tocca anche l’Italia, le forniture non sono a rischio ma Saipem ci rimette 2 miliardi”.
E ancora su La Repubblica Federico Rampini parla di un “Putin alla guerra fredda dell’energia”.
Il Sole 24 Ore: “Putin affonda il gasdotto South Stream”. Si citano le dichiarazioni di Putin da Istanbul, in conferenza stampa con Erdogan: “‘Se l’Europa non vuole realizzarlo, non verrà realizzato'”. E poi il capo di Gazprom: “‘Il progetto è finito'”. Si ricorda che “Eni è tuttora socia al 20% di South Stream Transport Bv, joint venture incaricata di costruire e gestire la tratta offshore nelle acque del Mar Nero, ma il destino della società – di cui fanno parte anche Gazprom al 50%, più la francese Edf e la tedesca Wintershall, entrambe al 15% – oggi è quanto mai incerto”. Saipem dal canto suo ha già iniziato i lavori per la tratta sottomarina e “le tubazioni appena assemblate e pronte per essere posate sui fondali del Mar Nero sono salpate giusto ieri dalla Bulgaria alla volta della Russia, a bordo della nave piattaforma Castoro 6. Mosca finora si era dimostrata puntuale nei pagamenti e di sicuro i contratti prevedono ricche penali in caso di inadempienze. Ma per la società italiana si è trattato di un fulmine a ciel sereno”, anche se “le probabilità che South Stream andasse avanti secondo i piani si stavano comunque assottigliando”. Si ricorda che il progetto è piuttosto costoso, che Mosca ha problemi nel finanziaria, e che i partner stranieri – Eni in testa – non hanno intenzione di andare in soccorso di Gasprom. E anche il ministro dell’industria italiano Federica Guidi ha detto da tempo che “‘South Stream non è più nella lista delle priorità'”.
Sul Corriere: “Putin rinuncia al gasdotto con l’Eni”. L’articolo da Mosca spiega che l’idea di Putin – con i turchi – è quella di raddoppiare il “Blue stream”, per far arrivare il gas russo alle porte dell’Europa. Ma anche questo progetto “potrebbe essere irrealizzabile se non sarà tolto l’embargo”.
Un altro articolo del Corriere si sofferma sulle proteste ambientaliste contro lo shale gas, il gas estratto dalle rocce scistose, in Romania, Bulgaria e Lituania: “La mano di Gazprom dietro le proteste contro lo ‘shale gas'”. L’accusa è che il Cremlino finanzi le proteste per far sì che questi Paesi continuino ad alimentarsi dai gasdotti russi.
Un altro articolo del quotidiano di Confindustria (“Quel corridoio sud che serve all’Italia”) si sofferma sulla necessità di rafforzare “l’apertura delle forniture da Oriente, e il rafforzamento del parco dei rigassificatori del nostro continente, per captare quantità aggiuntive di metano trasportato allo stato liquido via nave”, parla del Tap che arriverà in Puglia perché l’Italia possa “diventare un hub mediterraneo del metano per rafforzare i nostri approvvigionamenti ma anche il ruolo di vettore per tutta l’Europa. Ci crede la Ue con i suoi governanti. Dice di crederci molto anche il governo italiano in carica”. Insomma: “Con l’addio al South Stream aumentano, per noi italiani, le opportunità ma anche gli obblighi. Abbiamo sposato (anche per interesse) il progetto del corridoio sud. Ci siamo impegnati con il Tap che deve sbarcare in Puglia. Ma all’Europa e agli analisti internazionali stiamo immancabilmente dando la solita immagine di chi ha buone idee, ottime ambizioni, ma scarsa capacità di divincolarci dall’italico pantano”.

Internazionale

Il Messaggero offre una intervista al Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Il quotidiano chiede tra l’altro se è possibile che l’Isis mandi in Africa i propri militanti, “li faccia infettare e li spedisca in Europa. L’Italia ha confini permeabili…”. Gentiloni risponde che i tempi di latenza del morbo di Ebola sono “poco compatibili” con le vie delle migrazioni “che durano a lungo e si sviluppano per settimane in condizioni tragiche”. “Ma se tramite Ebola vi fosse un attacco terroristico organizzato che non segue le migrazioni clandestine?”, chiede ancora il quotidiano. “Francamente collocherei il problema di Ebola piuttosto su un altro piano”, risponde Gentiloni.
Su Israele e Palestina rivendica “una totale continuità della nostra politica estera”, e sul riconoscimento della Palestina dice che “è sul tavolo ma non può esaurirsi in una petizione di principio” ma essere utilizzato “per arrivarci davvero, allo Stato di Palestina”. Sull’Ucraina le sanzioni sono un “male necessario” ma “non ci illudiamo che bastino a risolvere i problemi”. Sulla Libia l’Italia è “pronta a fare la sua parte” anche con una missione di peacekeeping in un percorso a guida Onu “ma non siamo ancora a quella fase”.
Sul Sole 24 Ore ci si sofferma sulla “Nato al bivio con Mosca”, perché oggi si riunisce di nuovo il vertice dei ministri degli Esteri Nato sulla crisi ucraina. Si ricorda la conferenza stampa del segretario generale Nato Stoltenberg che ha parlato di “importanti trasferimenti di armi”, equipaggiamento e personale militare russo verso l’Ucraina, le parole di Obama e del nuovo presidente di turno della Ue Tusk, delle nuove richieste di armi del governo ucraino ad Usa ed Europa, e delle nuove accuse russe alla Nato di voler “destabilizzare la più stabile regione al mondo”, come ha detto ieri il vice ministro degli esteri russo Meshkov. E si ricorda che in Europa “molti paesi insistono per coltivare il dialogo con Mosca – tra questi l’Italia, ma anche la Germania e la Francia” mentre altri “sono invece favorevoli a una linea più dura, di netto contrasto alla Russia per la sua politica estera nell’Europa dell’Est. Tra questi, i paesi baltici, la Polonia, ma anche la Gran Bretagna e il Canada”.
Sul Sole 24 Ore si legge che in Moldova l’attuale coalizione filo-europea ha ottenuto una esile maggioranza alle elezioni di domenica: circa il 45 per cento dei voti, per un totale di 54-55 seggi su 101. L’opposizione filorussa ha messo insieme il 38 per cento dei voti.
Sul Corriere: “Sorpresa filorussa in Moldova. A rischio la marcia di avvicinamento alla Ue”. Si ricorda che la coalizione mantiene la maggioranza, ma il partito più votato è quello socialista, che ha già chiesto le dimissioni del ministro degli esteri e promesso una opposizione che “farà tremare di paura gli ‘integrazionisti’ europei”.

Habermas

Da La Repubblica segnaliamo un’intervista con copyright de L’Express di Pascal Ceaux al filosofo tedesco Jurgen Habermas, che dice: “Ora in Europa il populismo sta conquistando anche i governi”, “Ci si aggrappa ormai sempre di più alla sovranità degli Stati-nazione quando sarebbero necessarie politiche concertate per contrastare le crescenti diseguaglianze sociali ed economiche. A Bruxelles, invece, è rissa continua”. Spiega Habermas: “l’euroscetticismo guadagna terreno in tutti gli Stati dell’Unione, in particolare in seguito alla crisi in atto da cinque o dsei anni: che è bancaria e finanziaria, ma è al tempo stesso una crisi del debito pubblico. Se l’eurozona si rivela fragile, è soprattutto perché a Maaastricht, al momento della fondazione dell’Unione monetaria europea, i politic in carica non trovarono il coraggio di trarre le conseguenze da quel passo, e di porre le premesse perché dall’unione monetaria potesse sorgere un’unione politica”; “nell’Ue stiamo assistendo a un ritorno dei nazionalismi, che non coinvolge solo le popolazioni, ma anche i rispettivi governi. Certo, il senso di declassamento, la paura del degrado non si trasformano automaticamente in pregiudizi anti-europei; e non si può neppure dire che questi ultimi siano necessariamente associati a pregiudizi nei confronti di altre nazioni. Questa sindrome, che possiamo definire populismo di destra, nasce innanzitutto da una certa interpretazione della crisi bancaria e del debito pubblico, che anche vari partiti di governo leggono a modo loro. Secondo quest’interpretazione, il fatto che una nazione sia collettivamente ‘colpevole o meno del proprio indebitamento si spiegherebbe con le differenze in materia di cultura economica nazionale. Oltretutto, è un modo per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal ‘destino di classe’ -che certo non conosce frontiere- di coloro che in questa crisi sono i vincenti e i perdenti”.

E poi

Vittorio Emanuele Parsi sul Sole 24 Ore scrive delle “guerre tra poveri” che “alimentano i populismi” in Europa a partire dal dibattito sulla libera circolazione nell’Europa di Schengen, soffermandosi sul dibattito di questi mesi: non più “gli immigrati che ci rubano il lavoro” ma gl i “immigrati che ci rubano l’assistenza”.

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