Oggi, i compromessi che un tempo avevano permesso alla democrazia di coesistere con un capitalismo ben regolato sembrano non funzionare più. Al contrario, la politica appare sempre più incapace di offrire risposte efficaci al malessere e alla marginalizzazione avvertiti da ampi settori della popolazione – la vecchia classe media, i lavoratori precari e sottopagati – mentre gli sviluppi del capitalismo, a partire dalla nuova economia digitale, approfondiscono le disuguaglianze, concentrano ricchezza e potere in misura straordinaria e mostrano segni di un distacco crescente dalle radici territoriali. Questo processo di patrimonializzazione e neo-feudalizzazione si combina con tendenze autocratiche del potere politico. Il fenomeno è particolarmente evidente negli Stati Uniti, ma non è affatto sconosciuto altrove, in Paesi sia piccoli (come l’Ungheria) sia grandi (come la Russia).
Come dovremmo ripensare il rapporto tra capitalismo e democrazia? La democrazia liberale può sopravvivere in un’epoca di stagnazione e disuguaglianze crescenti? Che cosa teneva insieme lo Stato sociale e il libero mercato negli anni del dopoguerra, si trattava di un interludio storico unico o di un modello replicabile? La globalizzazione ha reso oggi i meccanismi del capitalismo finanziario incompatibili con i processi democratici nazionali? Le élite liberali sono responsabili per non essere riuscite a governare le trasformazioni economiche – globalizzazione, delocalizzazione, automazione – che hanno alimentato populismo e autoritarismo? E infine: è ancora possibile correggere la rotta all’interno dell’attuale sistema, oppure il momento storico richiede una riconfigurazione radicale, e, se sì, in quale direzione?


