Turchia-Siria, ora è guerra totale per Idlib

Idlib, fronte avanzato della guerra totale tra Ankara e Damasco. Una guerra che può diventare globale se ad entrare in campo (di battaglia) saranno i grandi “protettori” del regime d Bashar al-Assad – Russia e Iran – e se Erdogan riuscirà, usando il ricatto-migranti, a trascinare con sé la Nato, di cui la Turchia fa parte. E Nato significa anzitutto Stati Uniti. Una situazione già grave che rischia di deflagrare dopo che almeno 33 soldati turchi sono stati uccisi da una raid dell’aviazione siriana nella provincia di Idlb. L’attacco è arrivato nella tarda serata di giovedì dopo il fallimento del colloqui russo-turchi ad Ankara. E’ il più grave incidente che coinvolge le truppe turche dal 19 dicembre, quando è cominciata l’offensiva di Bashar al-Assad per riconquistare la provincia ribelle. Ci sarebbero anche molti feriti, portati subito negli ospedali militari in patria, come ha confermato il governatore della provincia turca confinante di Hatay, Rahmi Dogan. Le forze armate di Ankara hanno reagito con bombardamenti massicci di artiglieria, “su tutte le postazioni” governative nell’area, ha precisato il portavoce Fahrettin Altun.  L’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione, ha fornito un bilancio d 34 morti.

La rappresaglia turca è stata pesantissima. Il ministro della Difesa Hulusi Akar ha detto che l’artiglieria e i droni armati turchi hanno distrutto “5 elicotteri, 23 tank, 23 cannoni semoventi, due sistemi di difesa anti-aerea Sa-17 e Sa-22” e “neutralizzato”, cioè ucciso e ferito “309 soldati del regime siriano”. L’Osservatorio ha confermato la morte di “16 militari siriani” e ci sarebbero decine di feriti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha convocato un vertice d’emergenza e ha annunciato che la sua guardia costiera e l’esercito non fermeranno più i profughi siriani diretti verso l’Europa, se non riceverà aiuto e sostegno dagli alleati occidentali. Già questa mattina si sono viste code infinite di profughi ai valichi di frontiera vicino a Idlib e Afrin. “Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali” con l’Ue. “Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, secondo cui tuttavia “non c’è alcun cambiamento nella politica verso i migranti e richiedenti asilo del nostro Paese, che accoglie il maggior numero di rifugiati al mondo”.

Il raid micidiale è arrivato subito dopo il fallimento dell’ennesimo round di colloqui fra Russia e Turchia. Ankara ha chiesto a Mosca di poter usare lo spazio aereo siriano per proteggere le sue truppe nella zona di Idlib, ma i russi hanno respinto la richiesta. Il “Sultano” esige anche che le truppe del suo omologo siriano si ritirino sulle linee del 19 dicembre, stabilite nell’accordo di fine 2018 ad Astana. Da allora l’esercito governativo, appoggiato dall’aviazione russa e dalle forze speciali di Mosca, ha riconquistato circa 4 mila degli 8 mila chilometri quadrati che i ribelli controllavano nella provincia di Idlib e nelle confinanti Hama e Aleppo. Alle 1.30 turche era atteso un discorso di Erdogan che, però, è stato successivamente annullato.

A rilasciare una breve dichiarazione è stato invece il suo capo della comunicazione, Fahrettin Altun: “Tutte le posizioni note del regime siriano vengono prese di mira dalle nostre unità terrestri e aeree”, ha dichiarato. Il portavoce ha voluto mandare un chiaro messaggio alla Russia, invitando “la comunità internazionale e, in particolare, i partecipanti al processo di Astana (Russia e Iran, ndr) ad assumersi le proprie responsabilità”. “Il capo dello Stato terroristico Assad passerà alla storia come un criminale di guerra e gli elementi del regime pagheranno un caro prezzo per questo attacco orribile”, ha invece detto il vicepresidente di Ankara, Fuat Oktay.

Mosca, intanto, corre ai ripari: due fregate lanciamissili russe, la Ammiraglio Makarov e la Ammiraglio Grigorovich, che in passato hanno preso parte alle operazioni militari russe in Siria, stanno entrando nel Mediterraneo “attraverso gli stretti turchi del Bosforo e del Dardanelli” e “si uniranno alla task force della Marina russa permanentemente di stanza nel Mediterraneo”, ha detto Aleksey Rulev, il portavoce della flotta russa sul Mar Nero. Il ministero della Difesa di Mosca ha inoltre dichiarato, riporta l’agenzia di stampa Interfax, che le forze aeree russe ieri non erano impegnate in combattimenti nella zona siriana di Behun, dove erano presenti militari turchi finiti sotto il fuoco delle truppe di Damasco, ma ha sottolineato che gli uomini di Ankara colpiti erano “nelle formazioni dei terroristi”. Il governo di Ankara ha chiesto l’istituzione di una no-fly zone nelle aree dove si raccolgono i rifugiati del conflitto nella provincia siriana: “La comunità internazionale deve agire per proteggere i civili e imporre una no-fly zone” sulla regione di Idlib, ha scritto su Twitter Altun. “Una ripetizione dei genocidi del passato come in Ruanda e Bosnia non può essere permessa”, ha aggiunto. E promette che i militari turchi non abbandoneranno l’area “al suo destino, vorrebbe dire che i sogni del regime si realizzeranno. Hanno compiuto una pulizia etnica e demografica nella regione. Non possiamo girarci dall’altra parte”.

A Idlib, su Idlib, può naufragare la “Jalta siriana” messa in essere, con le vittorie sul campo, dal patto a tre stretto da Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyp Erdogan. Un patto che la resa dei conti finale voluta da Bashar al-Assad, e sostenuta da Russia e Iran, può saltare per l’uscita del “Sultano di Ankara”. Sia chiaro: all’autocrate turco il tema della tragedia umanitaria serve essenzialmente per difendere gli interessi geopolitici della Turchia in quell’area cruciale della Siria. E poi c’è un altro punto di rilevanza strategica: la Turchia può accettare che Bashar al-Assad resti al potere a Damasco, ma ciò che non accetterà mai è che un rais rimasto in piedi essenzialmente grazie all’appoggio militare di Mosca e Teheran (e degli Hezbollah libanesi), possa ergersi a vincitore della “partita siriana” e pretendere di rientrare nel grande giro mediorientale. Su questo, Erdogan è pronto a rompere l’alleanza con Russia e Iran. E per farlo intendere ha ordinato all’esercito di rafforzare la propria presenza nell’area a ridosso di Idlib.

Il “Sultano” ha pensato per il nord della Siria un piano di pulizia etnicasostituire i curdi che vivono quelle fasce di territorio e che per la Turchia sono nemici esistenziali. E sostituirli usando i profughi siriani che si trovano da tempo nei campi di confine. Tre milioni e mezzo persone che stanno diventando un peso, sia economico che politico, potrebbero invece diventare la carta vincente definitiva contro i nemici curdi. Erdogan progetta da anni di rovesciare all’interno della Siria i suoi profughi. Intende creare una fascia simile a un protettorato che dovrebbe andare dal cantone di Afrin (già turco) fino al nord di Aleppo e più a est verso Jarablus. Ne ha mostrato i piani anche all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite. E tutto è diventato più concretizzabile da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato la tutela dei curdi lungo l’aerea di confine tra Siria e Turchia.

Per Bashar al-Assad  riprendere Idlib significa di fatto chiudere la guerra civile e conquistare la strategica arteria stradale M5. Strategica perché la M5 collega le due città più importanti della Siria: Damasco, la capitale amministrativa, e Aleppo, definita la capitale economica del paese. Mentre Damasco è sempre rimasta sotto il controllo di Assad, Aleppo fu in parte conquistata dai ribelli nel 2012, che poi la persero nel dicembre 2016 dopo una battaglia molto lunga e cruenta, vinta da Assad solo grazie all’aiuto di Hezbollah libanese, delle milizie iraniane e delle milizie sciite irachene, oltre che dei bombardamenti russi. La M5 passa inoltre in mezzo ad altre importanti città siriane, come Hama e Homs, e all’altezza della città di Sareqeb si collega all’autostrada M4, quella che porta fino a Latakia, roccaforte di Assad sulla costa, nella Siria occidentale.

Secondo alcune stime citate da Associated Press, prima della guerra da questa autostrada passavano beni e merci per 25 milioni di dollari al giorno. Tra le altre cose, la M5 era il passaggio usato per trasportare il grano e il cotone dall’est e dal nord della Siria al resto del paese; era anche la via attraverso la quale avveniva buona parte degli scambi commerciali con la Giordania, l’Arabia Saudita e altri stati arabi, oltre che la Turchia. Taleb Imbrahim, analista siriano, ha definito la M5 “la più fondamentale e strategica autostrada di tutto il Medio Oriente”.

Quanto alla Russia, il suo obiettivo è ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran. Ankara invece ha fatto leva sulla costituzione Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate. Per assumere il controllo de facto del nord della Siria. Controllare Idlib significa tutto questo: chi vince dà le carte in Medio Oriente. Lo Zar e il Sultano lo sanno bene. E qualcuno comincia a spiegarlo anche al Tycoon di Washington. Il vuoto americano viene subito riempito dalla Russia che si accredita sempre più come il player centrale nel Grande Medio Oriente. A farsene una ragione, e cercare un riavvicinamento con Mosca, sono anche i due più stretti alleati degli Usa in Medio Oriente: Israele e Arabia Saudita.

 

Foto: Abdulaziz Ketaz / AFP

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