Il caso Kaliningrad. Perché l’exclave
voluta da Stalin preoccupa la Nato

Un nuovo fronte di crisi scuote l’Europa, e rischia di far deflagrare definitivamente il conflitto tra la Russia e i paesi occidentali. Mentre in Ucraina l’esercito russo registra la conquista di Severodonetsk e si assiste a una recrudescenza degli attacchi missilistici su Kyiv, Odesa, Kharkiv, e da ultimo su un frequentato centro commerciale a Kremenchuk, il braccio di ferro che si sta consumando in questi giorni tra Lituania e Federazione russa rischia di avere delle conseguenze imprevedibili. Vale la pena pertanto conoscerne i tratti.

 

Il blocco delle merci

Il 18 giugno è scattato il blocco di alcune tipologie di merci imposto da Vilnius sui collegamenti terrestri tra Bielorussia e l’oblast russo di Kaliningrad. Si tratta di materiali da costruzione, cemento, prodotti in metallo, carbone, componenti hi-tech, ma anche vodka e caviale. Dal punto di vista lituano il provvedimento è giustificato con l’applicazione del quarto pacchetto di sanzioni europee approvato lo scorso marzo. Una posizione condivisa dalla Commissione Ue, come spiegato dal portavoce Eric Mamer “La Lituania sta attuando le misure restrittive decise dal Consiglio Ue in risposta all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Questo non può essere definito un blocco. Le forniture di beni essenziali a Kaliningrad resteranno indisturbate”.

Da parte russa la situazione viene vista in maniera molto diversa. Il governatore dell’oblast di Kaliningrad, Anton Alikhanov, ha fatto sapere di ritenerla la più grave violazione del diritto al libero transito mai avvenuta. La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha alzato l’asticella della tensione facendo sapere che la reazione del Cremlino sarà pratica, e non diplomatica. Una frase sibillina che lascia aperto il campo a diverse opzioni, da ritorsioni in campo energetico – si è parlato di un taglio alla rete elettrica – a quello più estremo di un intervento militare.

Gli Stati Uniti hanno subito fatto sapere che il loro sostegno nei confronti della Lituania è “blindato” e hanno ricordato l’importanza dell’articolo 5 della Nato che impegna i Paesi membri a intervenire nel caso in cui uno dei membri dovesse essere attaccato.

 

Unexclave particolare

La criticità della situazione trae origine dal particolare status di Kaliningrad, exclave della Federazione Russa, incastonata tra Lituania e Polonia, e bagnata nella sua parte occidentale dal mar Baltico. Si tratta di un territorio entrato nell’area di influenza russa a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Fino a quel momento la regione era stata storicamente tedesca. L’odierna città di Kaliningrad, da cui l’oblast prende il nome, per 690 anni si era infatti chiamata Königsberg. Fondata nel 1255 dai cavalieri teutonici, i suoi territori vennero inquadrati nella Prussia orientale, di cui fu importante centro culturale. Nel 1544 vi fu fondata l’Università Albertina, e qui visse Immanuel Kant. Oltre a ciò Königsberg è stata per secoli la più grande e fortificata guarnigione della Prussia, per la sua posizione privilegiata di controllo sul mar Baltico. Conquistata dall’Armata Rossa nel 1945, Stalin fece operare l’espulsione di massa della popolazione autoctona e la ripopolò con persone provenienti dall’Unione Sovietica. Il nome fu cambiato in Kaliningrad in onore di Mikhail Kalinin, presidente del Presidium del soviet supremo venuto a mancare proprio in quel periodo.

L’idea era quella di trasformare il territorio in una roccaforte sul Baltico, che nelle intenzioni del dittatore georgiano sarebbe dovuto diventare una sorte di mare Nostrum sovietico. La decisione chiave, che sta avendo ripercussioni fino ad oggi, fu quella di non associare Kaliningrad alla RSS lituana, ma a quella russa. In questo modo la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Urss determinarono un isolamento dell’oblast dal resto del Paese. I trattati sulla circolazione di persone e merci firmati con Polonia e Lituania all’inizio degli anni ‘90 hanno tuttavia permesso alla regione di vivere tranquillamente per diversi anni, al punto che Kaliningrad ha potuto cominciare a scoprire una propria vocazione turistica. Nel 2018 è stata una delle sedi dei Mondiali di calcio organizzati dalla Russia.

Le cose hanno però cominciato a peggiorare nell’ultimo decennio, con l’inasprirsi delle relazioni diplomatiche tra la Federazione russa e i paesi occidentali. L’occupazione della Crimea e l’inizio della guerra nel Donbas hanno fatto sì che Kaliningrad acquisisse sempre più il ruolo di avamposto strategico nel cuore dell’Europa. Qui si trova la sede principale della flotta baltica russa e qui quattro anni fa sono stati installati i temibili missili Iskender, che possono colpire obiettivi entro un raggio di 500 km. A inizio maggio la Russia ha effettuato una simulazione di attacco missilistico nucleare proprio da Kaliningrad, allarmando i Paesi confinanti.

A più riprese negli ultimi mesi la Russia ha minacciato la Polonia e i paesi baltici di rappresaglie per la loro posizione assunta nel conflitto in Ucraina. Polonia e Lituania sono tra i paesi europei che hanno offerto il maggior aiuto militare a Kyiv. Il 9 giugno scorso il deputato russo Yevgeny Fyodorov ha presentato alla Duma un disegno di legge per annullare il riconoscimento dell’indipendenza lituana. Un atto che può aver spinto Vilnius ad assumere una postura ancora più rigida.

 

Punto debole

I riflettori ora sono accesi su quello che viene definito “Suwałki gap”, la breccia di Suwałki, cittadina polacca a meno di 50 km dal confine con Kaliningrad che presta il nome alla striscia di terra condivisa tra Polonia e Lituania che separa il territorio russo dalla Bielorussia. Da anni gli analisti internazionali vi hanno individuato un punto debole che potrebbe mettere a rischio la tenuta del fianco orientale della Nato. Un attacco sferrato su questa direttrice isolerebbe i paesi baltici dal resto dell’alleanza e li taglierebbe fuori dalle linee di rifornimento, dal momento che Polonia e Lituania sono collegate solo da due autostrade e una ferrovia.

Le preoccupazioni sono cresciute negli ultimi mesi alla luce del fatto che la Bielorussia ormai è stata de facto unita militarmente alla Federazione Russa. Come riporta Foreign Policy, alla vigilia del conflitto Mosca aveva dislocato in territorio bielorusso 30mila soldati, comprese unità d’élite Spetsnaz, aerei d’attacco al suolo Su-25, elicotteri d’assalto, droni e una batteria di difesa anti aerea S-400. Il regime di Aleksandr Lukashenko finora non ha offerto un aiuto militare diretto all’aggressione dell’Ucraina, ma ha lasciato che il territorio del suo Paese fungesse da base operativa per il lancio di missili e il decollo di aerei ed elicotteri dell’esercito russo. Il timore è che allo stesso modo possa essere utilizzato come rampa di lancio per un attacco che miri a collegare Kaliningrad al territorio bielorusso.

 

Tra paure e rassicurazioni

La preoccupazione si riflette sulla popolazione residente. Sul lato polacco un’organizzazione di cittadini ha chiesto alle autorità di Varsavia di creare dei rifugi di emergenza da poter utilizzare nel caso in cui dovesse presentarsi uno scenario bellico. Tre deputati di opposizione hanno espresso la stessa richiesta al ministero della Difesa, che però ha fatto sapere come la responsabilità sia in carico alle autorità locali e alla difesa civile nazionale, che fa capo ai vigili del fuoco.

La carenza di rifugi non si registra solo nella regione, ma è un problema nazionale. Una recente mappatura rileva che in tutto il Paese esisterebbero solo 62mila siti di questo tipo, sufficienti a garantire sicurezza solo a 1,3 milioni di persone, cioè il 3% della popolazione.

In questi giorni il governo ha cercato di mostrarsi rassicurante, facendo passare il messaggio che parcheggi sotterranei e cantine possono essere utilizzati per questo scopo, grazie agli elevati standard di costruzione. Il colonnello Andrzej Kruczyński, ex funzionario delle forze speciali terrestri GROM ha dichiarato al sito di informazione Wirtualna Polska che la Russia non è in grado di attaccare nessun altro Paese, dopo le perdite subite in Ucraina “Ci vorranno anni prima che si riprendano”. Lo scenario bellico viene generalmente ritenuto improbabile ma il premier Mateusz Morawiecki avverte “Se mai la Russia avesse intenzione di attaccare la Polonia, il Cremlino deve sapere che ci sono 40 milioni di polacchi pronti a difendere con le armi la madrepatria”.

 

Foto: Un terminale merci nel porto di Kaliningrad (Mikhail Golenkov / Sputnik via AFP).

  1. LA DISLOCAZIONE DI MILITARI E ARTIGLIERIA RUSSI IN BIELORUSSIA SONO CERTAMENTE MOTIVO DI PREOCCUPAZIONE E DI RIFLESSIONE PER EVENTUALI STRATEGIE DA ADOTTARE IN CASO DI ATTACCO RUSSO ALLA NATO, DI FATTO LA RUSSIA E’ MOLTO PIU’ VICINA, KALININGRAD E’ INDUBBIAMENTE UNA PRODEZZA STRADEGICA STALINIANA. CERTAMENTE LE REPUBBLICHE BALTICHE SAREBBERO ISOLATE E VULNERABILI, NON ‘ IN GRADO DI RICEVERE AIUTI NATO IN MODO RAPIDO DA TERRAFERMA. SAREBBERO FORSE LE PRIME A SUBIRE VIOLENZE RUSSE ALLO SCOPO DI DESTABILIZZARE QUEL FIANCO, STANZIARSI E DA LI’ INDIRIZZARE CONTRO LA NATO LE PROPRIE ARTIGLIERIE OLTRE A QUELLE NATO CHE RECUPEREREBBERO IN QUEI TERRITORI .
    LA STESSA KALININGRAD E’ SEDE DI IMPORTANTI ARMAMENTI E PRESENZE MILITARI SAPIENTEMENTE POSIZIONATI SU TERRA E IN MARE.
    SI TEME INFATTI CHE LE PICCOLE EPUBBLICHE BALTICHE, IN CASO DI ATTACCO ALLE MODESTE VIE DI COMUNICAZIONI SOFFRIREBBERO NOTEVOLMENTE.
    SAPPIAMO PERO’ CHE LA NATO HA AMPIAMENTE VALUTATO OGNI SCENARIO.
    CERTAMENTE….MEGLIO NON ACCADA!!!!!!!

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