A due anni dagli eventi del 7 ottobre 2023, il Medio Oriente si trova in una fase di ridefinizione profonda. Il conflitto tra Israele e Hamas, le tensioni con l’Iran e la crescente competizione globale hanno spinto i Paesi del Golfo a riconsiderare le proprie priorità strategiche. In questo contesto, la prospettiva del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) ruota attorno a due assi centrali: la protezione dei programmi di trasformazione interna, le cosiddette “Vision”, e la garanzia di sicurezza in un contesto di crescente multipolarismo.
Difendere i programmi Vision significa difendere la transizione delle monarchie
Le leadership del Golfo vedono nei programmi Vision (Vision 2030 in Arabia Saudita, Vision 2040 in Oman, Vision 2050 negli Emirati, e così via) la chiave per assicurare il futuro politico e sociale dei loro Paesi. Questi piani rappresentano molto più che strategie economiche: sono strumenti di legittimazione e stabilità interna, il mezzo per accompagnare la transizione da monarchie tradizionali a monarchie modernizzatrici, capaci di innovare la società senza intaccare la stabilità delle istituzioni. In questo senso, la difesa delle Vision è oggi la principale priorità geopolitica dei Paesi del Golfo.
Ogni crisi regionale, dal Mar Rosso alla Striscia di Gaza, viene letta anche attraverso il rischio che rappresenta per la continuità dei loro programmi di investimento, per l’afflusso di capitali stranieri e per l’immagine di hub globali che questi leader stanno costruendo. Difendere le Vision significa difendere la transizione, un equilibrio delicato tra apertura economica e conservazione politica, tra modernizzazione sociale e controllo istituzionale.
Doha come spartiacque: la diversificazione dei partner di sicurezza
Il secondo elemento chiave riguarda la sicurezza. Gli sviluppi recenti a Doha, dove la cooperazione tra Stati Uniti e Qatar si è intensificata sul piano militare e di intelligence, hanno rafforzato il ruolo di Doha come interlocutore privilegiato di Washington nel breve termine. Tuttavia, per gli altri Paesi del Golfo, questo è stato un monito strategico: la dipendenza da un solo alleato di sicurezza può rivelarsi un rischio. Da qui, la corsa alla diversificazione dei partner di difesa e tecnologia militare.
L’Arabia Saudita, ad esempio, ha recentemente firmato in Pakistan un accordo di cooperazione sul nucleare civile, segnale chiaro di un’apertura verso nuovi orizzonti. Gli Emirati Arabi Uniti stanno moltiplicando i canali di dialogo con potenze come Cina e India, anche su dossier legati alla sicurezza e alla cyberdifesa. Allo stesso tempo, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman si prepara a un nuovo viaggio negli Stati Uniti, a conferma di una strategia che non intende sostituire, ma piuttosto riequilibrare i rapporti di sicurezza nel quadro di un multipolarismo pragmatico. In sintesi, il Golfo sta cercando di passare da un sistema di protezione garantito a un sistema di sicurezza condiviso e adattivo, dove gli Stati Uniti restano il partner principale, ma non esclusivo.
Israele come fattore divisivo e percettivo nella sicurezza del Golfo
A due anni dal 7 ottobre, la posizione dei Paesi del Golfo nei confronti di Israele si è fatta più complessa e prudente. Per gli Emirati Arabi Uniti, la linea rossa resta chiara: qualsiasi annessione di territori della Cisgiordania costringerebbe Abu Dhabi a riconsiderare, se non sospendere, gli Accordi di Abramo. Gli Emirati hanno investito capitale politico e reputazionale nell’apertura diplomatica verso Israele, ma non sono disposti a sacrificare la propria credibilità regionale.
Per l’Arabia Saudita, invece, la prospettiva di una normalizzazione appare oggi lontana. Dopo due anni di guerra a Gaza, l’opinione pubblica saudita chiede un gesto concreto, un riconoscimento anche simbolico della Palestina, prima di qualunque passo verso relazioni ufficiali con Israele. La leadership di Riad è consapevole che ignorare questo sentimento popolare metterebbe a rischio la legittimità interna necessaria a sostenere la Vision 2030.
Il Qatar, e più in generale diversi Paesi del Gcc, percepiscono oggi Israele come la principale minaccia alla stabilità regionale, in particolare dopo gli attacchi israeliani all’Iran e a Doha. Questa percezione si riflette non solo nelle politiche di sicurezza, ma anche nella crescente cautela diplomatica: il Golfo si trova a dover bilanciare il desiderio di stabilità con la necessità di mantenere coerenza rispetto alla causa palestinese, che resta profondamente radicata nelle opinioni pubbliche arabe.
Verso una sicurezza collettiva del Golfo: una nuova opportunità per l’Europa
C’è inoltre la crescente consapevolezza, nei Paesi arabi del Golfo, che il rafforzamento della coesione interna del Gcc sia diventato un imperativo strategico. Gli eventi degli ultimi due anni, dal ritorno dell’instabilità nel Mar Rosso al rischio di escalation tra Iran e Israele, hanno spinto le monarchie del Golfo a discutere, con maggiore concretezza, di forme di deterrenza comune e di una più stretta cooperazione difensiva. Non si tratta di creare una Nato araba, ma di consolidare una capacità di dissuasione regionale che riduca la vulnerabilità collettiva e aumenti il peso negoziale del Golfo sul piano internazionale. In questa direzione, lo sforzo del Gcc è oggi massimo: un anno fa è stata approvata la Gcc Vision for Regional Security, una piattaforma comune che mira a integrare le politiche di sicurezza dei Paesi membri, rafforzare la cooperazione in ambito cyber, marittimo e tecnologico e promuovere un approccio condiviso alla gestione delle crisi regionali.
In questo quadro, l’Unione Europea può giocare un ruolo cruciale. L’Europa è percepita come un attore di sicurezza non conflittuale, capace di offrire partnership tecnologiche e industriali nel settore della difesa senza generare contrapposizioni con Washington. Dalle missioni marittime come Aspides nel Mar Rosso, fino alla cooperazione su cyber security e protezione delle infrastrutture critiche, l’Ue può contribuire a costruire una sicurezza condivisa con il Golfo, una sicurezza fatta di deterrenza ma anche di resilienza.
Immagine di copertina: il segretario di Stato statunitense Marco Rubio incontra i ministri degli Esteri del Consiglio per la Cooperazione del Golfo ai margini dell’Assemblea generale dell’Onu, il 24 settembre 2025 (foto di Stefan Jeremiah / POOL / AFP).


