A Palazzo Chigi il nodo incandidabilità

Il Corriere della Sera: “Berlusconi pronto a tornare. ‘Assediato dalle richieste, l’Italia sta peggio di un anno fa. Vertice teso del Pdl, poi il passo verso la candidatura: sull’orlo del baratro, adesso basta”.

La Repubblica: “Berlusconi: costretto a ricandidarmi. ‘Il Paese è sul baratro’. Bersani: leali a Monti fino in fondo”. “Il segretario Pd a Palazzo Chigi: ‘Il premier nel mio squadrone? Non vorrei annettere tutto l’universo’. Pdl, ancora caos per le primarie”. Di spalla: “Scampia senza legge, la camorra uccide nella scuola materna. I killer sparano mentre i bimbi provano la recita di Natale”. L’articolo è firmato da Roberto Saviano.

La Stampa: “Berlusconi non cede. ‘Italia sul baratro pronto a tornare’. Pressato a lungo dai colonnelli alla fine dil Cavaliere si ribella” In evidenza la notizia dell’agguato di camorra ieri nel cortile di un asilo.

Il Giornale: “Berlusconi torna in campo. ‘La situazione economica è ben più grave di quando ho lasciato. In molti chiedono di ricandidarmi’. E sfida Monti e i colonnelli del Pdl: accorpare il voto politico e amministrativo o togliamo la fiducia”.

L’Unità: “Berlusconi ricatta Monti”. A centro pagina la firma dell’accordo del settore metalmeccanico: “Accordo separato sullo sciopero Fiom. Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici firmato da Fim e Uilm. Le tute blu della Cgil, escluse dal negoziato, in piazza: siamo qui per difendere il lavoro”.

Il Foglio: “La Fiom fa politica a Roma, ma in Italia la Cgil apre alle intese aziendali. Solo Landfini non firma il contratto dei metalmeccanici. I dati di Fornero sugli accordi per la produttività già decollati”.

Il Fatto quotidiano continua ad occuparsi della sentenza della Corte Costituzionale sulle intercettazioni Mancino-Napolitano. “Trattativa, un solo colpevole: la Procura di Palermo”. “Tutti contro i pm: Colle, Consulta, Csm, Anm, governo e partiti. Solo DI Pietro. Grillo, Ferrero e De Magistris li difendono. Mancino e le telefonate: ‘So tutto, non dirò mai nulla’”.

Libero: “Il fisco ci spia i cellulari. Così i telefonini saranno trasformati in bancomat per lasciare traccia dei pagamenti. Con Monti un miliardi di tasse al mese in più. E adesso arriva la botta Imu”. A centro pagina un “retroscena del misterioso viaggio in Libia” di Bersani: “Il patto di Bersani con gli estremisti islamici”.

Berlusconi

Alla fine del lungo vertice del Pdl a Palazzo Grazioli – scrive Il Giornale – “non ce n’è uno che voglia metterci la faccia”. Tutti rimandano ad una conferenza stampa di Alfano che però non arriva. “Alla fine l’unica parola ufficiale arriverà dall’ufficio stampa di via dell’Umiltò, che in un lungo comunicato si limita a parlare di ‘riunione costruttiva su come rilanciare unitariamente il Pdl”. Secondo il quotidiano insomma “la situazione è così fumosa che pure i resoconti del vertice di Palazzo Grazioli cambiano a seconda degli interlocutori. C’è chi racconta un Berlusconi attendista per necessità ma comunque deciso, e chi giura invece che il Cavaliere abbia ormai abbandonato ogni intenzione battagliera e sia pronto a tenersi il Pdl da rinnovare ma non da buttare”.Bondi se n’è andato a metà (“Questi vertici sono inutili”), e alle 22.30 una nota di Berlusconi: “Sono assediato dalle richieste dei miei perché annunci al più presto una mia ridiscesa in campo. La situazione è ben più grave di un anno fa, quando lasciai il governo, e l’Italia è sull’orlo di un baratro”. Il Giornale lega la scelta di rinviare ogni decisione ai prossimi giorni al consiglio dei ministri di oggi, che dovrà affrontare il nodo election day, su cui il Cavaliere minaccia la crisi di governo: Berlusconi chiede che si voti “in una sola tornata o al massimo due, per evitare di arrivare alle politiche con la sconfitta delle Regionali”, chiosa Il Giornale.

Un altro articolo del quotidiano scrive che un tema in particolare sta a cuore al Cavaliere, ed è la norma sulla incandidabilità, di cui pure si occuperà oggi il Consiglio dei Ministri: chiaramente una spada di Damocle sulla testa di Berlusconi, qualora la Cassazione confermasse la condanna al processo sui diritti tv.

Su La Repubblica: “Liste pulite, il governo sfida il veto del Pdl”. Dove si legge che c’è un braccio di ferro sul decreto legislativo per garantire “liste pulite” a partire dalle prossime politiche: “Berlusconi non lo vuole, Monti lo vuole a tutti i costi”. Il decreto deve passare per il parere obbligatorio, ma non vincolante nel merito, delle Commissioni dei due rami del Parlamento. Anche a Camere sciolte, in ordinaria amministrazione, può essere discusso. Ma, “il varco è stretto”. Cosa prevederebbe? “Incandidabile chi ha riportato condanne definitive con pene superiori a due anni per delitti gravi e gravissimi (mafia, terrorismo, omicidi, rapine). C’era già nella delega, perché è figlio della legge anti-corruzione entrata in vigore il 28 novembre. Fuori dalle competizioni elettorali anche tutti i condannati ad oltre due anni per reati contro la Pa; fuori anche coloro che hanno condanne superiori a due anni per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena di reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. In quest’ultima fattispecie rientrerebbe la frode fiscale per cui è stato condannato in primo grado Berlusconi in relazione al processo Mediaset.

Su La Stampa Marcello Sorgi scrive che Berlusconi ha deciso da tempo di ricandidarsi, ma sta valutando il momento più opportuno per dare l’annuncio: al centro delle sue riflessioni resta la possibilità di fare la campagna elettorale mettendo in crisi il governo e presentarsi alla parte più radicale del suo elettorato come quello che alla fine si è assunto la responsabilità di togliere di mezzo “il governo delle tasse e dei banchieri”. Se peraltro il ministro della giustizia Severino dovesse insistere per il decreto sulla incandidabilità dei condannati, che nel centrodestra farebbe parecchie vittime e potrebbe arrivare a colpire lo stesso Cavaliere, potrebbe esserci una accelerata verso la crisi. Monti lo sa e riflette”. Tanto che si ipotizza una trasformazione del decreto in un più digeribile disegno di legge, destinato a perdersi nei meandri di fine legislatura.

Ancora su La Stampa Luigi La Spina, in una analisi dal titolo “Il Paese della destra impossibile”, ricorda che, per l’appunto, dalla nascita della Repubblica italiana, una destra non l’abbiamo mai avuta: “Prima, e per quasi cinquant’anni, la Democrazia cristiana ha occupato il suo spazio, ma rifiutando, quasi con sdegno, il suo nome. Poi, quello spazio lo ha occupato Berlusconi, ma rifiutando anche lui di interpretare quella politica”. Si citano i modelli della destra conservatrice britannica, di quella post-gollista francese, o di quella popolare della Merkel o, in Spagna, di Rajoy. Il fatto è che la destra, negli oltre 60 anni di storia repubblicana, non ha mai avuto né una presenza politica, né una presenza culturale e sociale di un certo rilievo, “ridotta a manipoli di reduci ex fascisti velleitari evoliani, costretta a nascondersi tra i nostalgici e ultraminoritari circoli conservatori, assente da una cultura universitaria e letteraria egemonizzata dalla sinistra, poteva nascere dal collasso democristiano. Ma l’arrivo del partito-azienda berlusconiano l’ha, per altri vent’anni, costretta all’aborto”.

Consulta

Due giorni fa la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso dell’Avvocatura dello Stato, dispondendo la distruzione delle 4 telefonate tra il capo dello Stato e l’ex ministro Mancino, intercettate. Ma, come scrive La Repubblica, la Procura di Palermo ha deciso di sfidare la Corte. Dice il Procuratore Capo Francesco Messineo: “Per avviare il procedimento di distruzione bisognerà attendere le motivazioni della Corte Costituzionale” (che, pare, non arriveranno prima di gennaio). L’opinione dei magistrati di Palermo è che nelle motivazioni la Consulta potrebbe indicare un percorso particolare da seguire, e che per questo bisogna attendere. Di certo, scrive la Repubblica, i magistrati dovranno inviare al Giudice per le indagini preliminari le 4 conversazioni che, come rilevato dalla Corte, dovranno essere distrutte “senza contraddittorio” tra le parti: ovvero, senza che gli indagati nella inchiesta sulla trattativa possano intervenire e, soprattutto, leggere quelle intercettazioni. Se ne occupa anche il Corriere della Sera, puntando proprio l’attenzione su quella esclusione del contraddittorio tra le parti. Secondo Giovanni Bianconi si tratta di una prassi pressoché sconosciuta al Codice, tanto che la Consulta ha dovuto inserire alcune postille, poiché la norma citata (articolo 271 del codice di procedura penale), di per sé, non assicurerebbe l’assoluta segretezza invocata dai giudici costituzionali. Secondo Bianconi è quel che hanno sempre sostenuto i giudici di Palermo, continuando a rivendicare l’assoluta correttezza dei loro comportamenti e lo scrupolo con cui hanno protetto la riservatezza di quelle conversazioni.

Dopo che la Consulta avrò reso pubbliche le motivazioni della sua sentenza la palla passerà al Gip: se riterrà che le indicazioni contenute nella sentenza della Corte confliggano con le altre norme e con la giurisprudenza della Cassazione, potrebbe esser lui a sollevare una eccezione di incostituzionalità dell’articolo 271 così come interpretato dalla Consulta.

Su La Repubblica se ne occupa ampiamente il giurista Franco Cordero che insiste nel sostenere che nella nostra Carta Costituzionale non esiste un equivalente dell’articolo 4 dello Statuto Albertino (“la persona del re è sacra e inviolabile”). Per questo la Corte, essendosene resa conto, ha mosso un “passo laterale” puntando sull’articolo 271 del codice di procedura penale. “L’infelice mossa del cavallo”, poiché tale articolo contempla casi diversi da quello in esame, ovvero le intercettazioni illegalmente eseguite, e quando parli un obbligato al segreto. Qui nessuna norma codificata vietava l’ascolto, né esistevano segreti: “L’articolo 271 non detta divieti, li presuppone, stabiliti altrove. E l’unica fonte possibile è la Carta, nella quale non ne esiste nemmeno l’ombra”.

Il Fatto quotidiano intervista Gioacchino Scaduto, vice capo dell’ufficio del Gip di Palermo, che non esclude la possibilità che i giudici sull’articolo 271 ricorrano, a loro volta, alla Corte Costituzionale (“In astratto sì”, dice). Lo stesso quotidiano intervista Alessandro Pace, che ha difeso la Procura di Palermo nel conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale davanti alla Consulta. Pace si richiama all’articolo 268 del codice di procedura penale, secondo cui il Gip, prima di disporre la distruzione delle intercettazioni, deve necessariamente sentire le parti in contraddittorio: “La Corte ha invece dettato una ‘nuova’ norma, valida nei confronti della sola Procura di Palermo”, in forza della quale “la Procura dovrà trasmettere immediatamente al Gip la documentazione relativa alla registrazione, senza che le altre parti ne abbiano contezza, ma solo al fine di consentire al Gip di ordinarne la distruzione. Tuttavia, poiché il Gip non è vincolato alla sentenza della Corte, potrebbe o dar luogo al contraddittorio, o sollevare la questione di costituzionalità sull’articolo 271 così come interpretato dalla Corte”. Poi ripropone un interrogativo illustrato anche nel corso della udienza davanti alla Corte Costituzionale: “Ammettiamo pure – e personalmente sono disposto a farlo – che il presidente Napolitano si meriti questa ‘ipergaranzia’. Ma siamo certi che i futuri presidenti della Repubblica avranno la stessa levatura morale dell’attuale presidente?”; “e se in un futuro lontano venisse casualmente intercettato il presidente della Repubblica, le cui parole facciano sospettare l’esistenza di fatti configurabili come alto tradimento o attentato alla Costituzione nei quali egli sia implicato, cosa dovrebbe fare il PM? Distruggere seduta stante il file e dimenticare l’accaduto?”.

Internazionale

La Stampa intervista il ministro degli esteri Terzi, all’indomani della convocazione dell’Ambasciatore israeliani Gilon “per comunicargli la forte preoccupazione dell’Italia per la decisione del governo di Gerusalemme di autorizzare tremila nuovi alloggi a Gerusalemme est, un passo che può compromettere la ripresa del negoziato tra Israele e Palestina”. Dice ancora Terzi: “La convocazione dell’ambasciatore è una azione condivisa e concordata con tutti e 27 i Paesi europei, e non solo dunque delle nazioni che hanno votato sì alla risoluzione Onu che riconosce lo Stato palestinese. Siamo preoccupati anche per l’interruzione dei flussi finanziari e di elettricità ai palestinesi. Occorre moderazione in entrambe le parti. Abbiamo chiesto questo oggi a Israele, così come il Presidente Monti ha a suo tempo chiesto ad Abu Mazen di evitare quella che si definisce in gergo una “intifadah diplomatica”, di non adire insomma alla Corte Penale Internazionale. Poi Terzi parla della situazione in Siria, delle notizie circolate sulla presenza di tonnellate di armi chimiche in Siria, della decisione di schierare missili Patriot al confine turco-siriano (di questo spiega che “non è per disporre di una no-fly zone, ma in funzione di deterrenza e difesa del territorio turco dai lanci di razzi scud dalla Siria”). Alle armi chimiche che sarebbero in possesso delle autorità siriane è dedicata anche una corrispondenza da New York: Assad sarebbe pronto ad usarle se dovesse perdere Aleppo.

Le pagine R2 Diario de La Repubblica sono dedicate alla Palestina: dopo i fatti di Gaza e il voto all’Onu si riapre la discussione sul destino di questa zona del mondo. Se ne occupano Lucio Caracciolo (“La chimera della convivenza in una terra divisa dalla storia”) e Adriano Sofri (“Quanto si somigliano quei due popoli nemici”, “proprio perché lo spazio è così limitato e la convivenza è necessaria oggi occorre la separazione. Come in una famiglia che disponga di una sola casa, a ognuno la sua stanza per cercare di riprendere il filo della vita”).

Il Corriere della Sera riferisce delle notizie incalzanti che arriverebbero dal fronte dei ribelli siriani secondo cui il presidente Assad avrebbe inviato il suo viceministro degli esteri per un tour in Sudamerica per contatti sulle possibili offerte di asilo. E’ soprattutto il quotidiano israeliano Haaretz ad essersi occupato di questo tema, parlando di possibile ospitalità di Paesi amici (da Cuba al Venezuela). “L’amministrazione Obama ha confermato di essere a conoscenze di offerte di asilo ad Assad da parte di molti Paesi del Medio Oriente ed altrove”.

Su tutti i quotidiani, notizie drammatiche in arrivo dall’Egitto, dove non si placa lo scontro tra i sostenitori del presidente Morsi e i suoi oppositori, schierati con le forze laiche, che chiedono il ritiro del decreto con cui si è attribuito poteri straordinari e non sindacabili dalla magistratura. “L’Egitto di Morsi precipita nel caos”, titola L’Unità” evidenziando la decisione dei suoi 17 consiglieri di dare le dimissioni. Malgrado gli scontri in corso, il vicepresidente Mekki ha confermato che il referendum sulla nuova Costituzione -approvata in tutta fretta da un ‘Assemblea costituente in cui sono rimasti solo il partito che fa riferimento ai Fratelli musulmani e i salafiti- sii terrà come previsto, il 15 dicembre. Su La Repubblica: “Egitto nel caos, battaglia al Cairo, due morti davanti al palazzo di Morsi”. Estremisti hanno attaccato con spranghe le tende dei manifestanti. Mohamed el Baradei, tra coloro che guidano l’opposizione, conferma che la protesta pacifica andrà avanti.

Il Sole 24 Ore: “Piazza Tahrir assedia Morsi”. Dove si legge anche che gli oppositori Mohamed el-Baradei e l’ex ministro degli Esteri Amr Moussa sono stati denunciati per sovversione. Il Fronte di salvezza nazionale, che raccoglie 18 movimenti, ha posto le sue condizioni: ritiro del decreto sui superpoteri del presidente, annullamento del referendum sulla Costituzione e formazione di una nuova Assemblea costituente che “rifletta tutte le categorie della società egiziana”. Se il presidente non risponderà a queste richieste entro venerdì, “perderà la sua legittimità”, si legge in comunicato del Fronte.

 

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