Giustizia per Navalny, e in Bielorussia.
Il rebus Ue nella tenaglia di Putin

Una settimana dopo essersi accasciato a terra tra le urla a bordo di un volo da Tomsk a Mosca, Alexei Navalny lotta tra la vita e la morte all’ospedale Charité di Berlino. I medici che lo hanno in cura credono possa sopravvivere, ma non escludono ormai danni irreversibili alla sua salute. E dai loro attesi esami, resi pubblici all’inizio della settimana, è emerso incontrovertibilmente come Navalny sia stato avvelenato. “Inibitori della colinesterasi”, per l’esattezza, il gruppo di cui fa parte la sostanza che lo ha tramortito.

Ufficialmente il Cremlino, contro cui Navalny si scaglia da anni con successo crescente, ha smentito la diagnosi, accusando i medici tedeschi di “avere fretta” di confermare l’avvelenamento. Ma i leak alla stampa russa sui pedinamenti del dissidente da parte dei servizi, insieme alle immagini dal volo e dall’aeroporto, lasciano spazio a pochi dubbi sulla matrice dell’”incidente”, a poche settimane da un appuntamento elettorale chiave in diciotto regioni del Paese (13 settembre).

Con il corpo incosciente di Navalny, Vladimir Putin ha così inviato in Germania una colossale patata bollente diplomatica – che l’Europa non può lasciare senza reazione. Ma quale?

È la domanda cui devono tentare di rispondere i ministri degli Esteri dei 27, riuniti a Berlino giovedì e venerdì per la prima volta dal vivo dopo mesi. Proprio nel momento in cui l’Ue stava accrescendo le pressioni su Mosca perché abbandonasse il suo decennale sostegno all’”ultimo dittatore” Aleksander Lukashenko, la collaborazione e il coinvolgimento diplomatico non sembrano più opzioni percorribili. Indurire proprio ora l’approccio verso il Cremlino, d’altra parte, potrebbe finire per danneggiare gli stessi pacifici dimostranti bielorussi, senza peraltro dare sostegno concreto all’emersione di un fronte del dissenso russo. Quali carte restano dunque in mano all’Ue per far sentire la sua voce in modo efficace di fronte a due scenari di crisi alle porte orientali che mettono in gioco i suoi stessi valori?

“È un enorme dilemma”, ammette Gustav Gressel, senior policy fellow allo European Council on Foreign Relations (ECFR) ed esperto di questioni russe e di difesa.

Tutti gli indizi indicano che Alexei Navalny è stato avvelenato da agenti leali al Cremlino. Prima di tutto, perché lui e perché ora?

Navalny è uno dei più noti e prolifici oppositori del Cremlino. Costruendo tre casi contro di lui, già negli anni scorsi gli hanno impedito di candidarsi in prima persona per incarichi pubblici. Eppure sebbene non compaia pertanto nei sondaggi regolarmente diffusi, la sua popolarità era chiaramente in continua ascesa da mesi. È lui ad aver ideato la tattica per chi è insoddisfatto di Putin di votare ad ogni lezione sempre il candidato dell’opposizione meno impresentabile, perfino se “fintamente” d’opposizione, per mandare un messaggio di dissenso. Una strategia che ha funzionato in molte elezioni locali e regionali, e perfino nell’ultimo referendum costituzionale. Questo ovviamente infastidisce profondamente il Cremlino. Il dissenso è in crescita, e c’è la scomoda sensazione che Navalny abbia contribuito parecchio ad esso, con il suo carisma ma anche con le sue inchieste sulla corruzione ai massimi livelli dello Stato. E questa è una linea rossa che Putin detesta sia varcata. Quando si entra in questo campo, la Russia funziona come un clan mafioso: se insulti il boss su qualcosa che prende sul personale, puoi aspettarti ripercussioni.

Perché non eliminarlo dunque in modo più “sicuro”?

Questa è la questione meno chiara. Se l’apparato di sicurezza russo fosse stato preoccupato che le proteste in Bielorussia potessero scatenare un effetto-domino nel Paese, e avessero voluto mettere fuori gioco i potenziali “agenti del caos” in Russia, avrebbero potuto semplicemente sparargli, come accadde a Boris Nemtsov cinque anni fa. Il modo brutale in cui hanno aggredito Navalny si potrebbe spiegare solo come un’intimidazione all’opposizione: lo hanno punito per far passare la voglia a qualsiasi altro attivista politico, o cittadino insoddisfatto, di organizzare simili proteste contro il regime. Certo chi lo ha fatto non poteva prevedere esattamente come la vicenda si sarebbe poi sviluppata, ma di certo scegliere una tecnica così “lenta” e crudele implicava chiaramente che il caso sarebbe finito sui media, anche internazionali, per settimane.

Per il momento l’Ue e gli Usa hanno reagito condannando l’apparente attentato contro Navalny e chiedendo alla Russia di aprire una “inchiesta indipendente e trasparente”. Davvero si può ritenere questa una richiesta credibile e sufficiente?

Gustav Gressel è Senior Policy Fellow allo European Council on Foreign Relations (ECFR)

È chiaro che attendersi un’inchiesta trasparente da parte di quegli stessi servii di sicurezza che hanno con ogni probabilità avvelenato Navalny non è realistico. Ma l’Ue deve in questo momento tenere conto anche della crisi delicatissima in Bielorussia, ed i due piani sono giocoforza intrecciati. Putin continua ufficialmente a sostenere Lukashenko, anche se in modo poco convinto, ma gli europei stanno cercando di convincerlo a cambiare approccio e agevolare una mediazione internazionale, magari attraverso l’OSCE, che si riunisce venerdì. Fin quando sono impegnati in questo sforzo, dubito che l’Ue potrà ad esempio imporre nuove sanzioni o far salire ulteriormente i toni. Farà capire invece alla Russia che ha chiaro ciò che è accaduto a Navalny, e che è pronta a trarre maggiori conseguenze se Putin mostrerà di voler aprire un vero scontro geopolitico. Così come ha fatto la Germania con il caso del Tiergarten (l’omicidio nel cuore di Berlino di un attivista ceceno in esilio lo scorso anno, ndr), si tratterà piuttosto di un lento, graduale aumento del “fuoco” diplomatico. Un metodo per nulla spettacolare, ma tipico per gestire vicende ingarbugliate del genere.

Eppure autocrati come Putin hanno dimostrato più volte di saper restare del tutto sordi a pressioni diplomatiche “discrete” del genere. Perché la Germania e l’Europa non mandano invece un messaggio di reazione più concreto ed efficace, per esempio tagliando qualcuno dei ricchi contratti bilaterali, come ad esempio quello per la realizzazione del gasdotto North Stream 2?

Questo è un tema molto dibattuto. Quel progetto è avversato praticamente da tutti gli europei – quelli dell’Est per paura che metta in pericolo la loro sicurezza energetica, quelli del Sud perché ritengono di aver dovuto rinunciare a un progetto del tutto simile per rispettare la normativa Ue – così come dagli Usa. Congelarlo potrebbe essere un’opzione diplomatica. Ma in questo momento non credo ciò possa succedere, perché il North Stream gode di forte supporto ai massimi livelli in Germania, e la stessa Cancelliera Angela Merkel è molto riluttante a toccare il tema. Le cose potrebbero cambiare nel lungo periodo se e quando i Verdi – molto critici verso il progetto – arriveranno al governo. D’altra parte non dobbiamo neppure dimenticare che dure sanzioni contro la Russia sono già in vigore. Il vero problema è che esse non sono implementate a dovere in tutti i 27 Paesi membri. L’Austria, tanto per fare un esempio, cerca regolarmente ogni scappatoia legale per eluderle. È chiaro che questo crea profonda sfiducia nello stesso mondo degli affari europeo, e al contempo mina la credibilità stessa dell’azione esterna Ue. Per questo credo che ciò di cui c’è più urgente bisogno è mettere in piedi un meccanismo di verifica imparziale dell’implementazione delle sanzioni a livello Ue.

Al contempo – e come lei stesso menzionava, probabilmente non a caso – l’Ue deve reagire anche alla delicata crisi in Bielorussa, dove Lukashenko rifiuta di cedere alle proteste di massa in corso ormai da settimane. Che cosa può fare concretamente l’Ue per sostenere l’opposizione, o quanto meno una pacifica transizione politica?

È molto difficile, perché abbiamo pochissime leve in Bielorussia. Per le informazioni su quanto accade possiamo fare affidamento di fatto solo sull’opposizione, sui media e sui cittadini bielorussi. Non abbiamo grandi leve economiche, né contatti solidi all’interno del regime – perciò non abbiamo modo di valutare se e quanti membri del governo o dell’apparato stiano considerando di abbandonare Lukashenko, e se sì a quali condizioni. Questo rende molto complicato definire una politica efficace, e istruire di conseguenza i nostri diplomatici su cosa fare e come comunicare. I russi hanno qui un vantaggio enorme, perché conoscono invece benissimo il regime: non soltanto Lukashenko, ma anche i funzionari, l’apparato di sicurezza con cui lavorano da decenni – oltre a poter contare su corposa intelligence sul terreno. Dunque sì, siamo in una situazione estremamente scivolosa, e il caso Navalny non ha fatto che renderla ancor più tale, perché come la “micro-crisi” dell’aereo tedesco per recuperarlo ha dimostrato siamo costretti a dipendere dalla buona volontà di Putin proprio quando vorremmo combatterlo. In quel caso i tedeschi hanno visto l’opportunità di salvare per lo meno una vita, e probabilmente ci sono riusciti. Ma in Bielorussia ce ne sono in gioco molte di più, e manovrare esclusivamente dall’esterno è estremamente complicato. Dunque tutto ciò che può fare l’Ue per il momento è tentare di influenzare il processo con sanzioni mirate contro qualche membro del regime, e portare avanti in parallelo i negoziati con la Russia perché accetti quanto meno l’OSCE come mediatore tra Luakshenko e le forze di opposizione. Se questi tentativi dovessero fallire, l’Ue non potrà che riconoscere la piena corresponsabilità di Putin.

Sembra come se dopo essere stata concentrata per mesi sulla lotta alla pandemia, l’estate sia tornata a ricordare all’Ue quanto “sgradevole” sia il suo vicinato: dalla Russia alla Turchia, dalla Bielorussia al Libano.

Già, ed è proprio per questo che Lukashenko aveva deciso deliberatamente di spostare le elezioni in piena estate, pensando che l’Occidente sarebbe stato troppo distratto, e i suoi stessi cittadini troppo impegnati ad accendere barbecue e sorseggiare vodka per andare a votare. Putroppo per lui, questa volta la previsone era sbagliata.

 

Foto: Sergei Gapon / AFP

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