LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Gigi Magni e il “romanzo” romano (a tempo non perso italiano)

Dagli splendori dell’antichità alle Vacanze romane e alla dolce vita e oltre, Roma era e resta un mito nel mondo, sebbene un po’ offuscato dagli ultimi lustri della vita pubblica nazionale. Invece Roma non gode di buona reputazione in Italia. La si vuole conquistare con la “solita” marcia o si tende a farne un capro espiatorio. “O Roma o Orte” scherzava Maccari parodiando Garibaldi. “Capitale corrotta, nazione infetta” fu il proverbiale titolo di un’inchiesta di Cancogni sull’“Espresso” nel 1955. Per non parlare della Lega Nord col suo slogan “Roma ladrona”. Perché questo deficit (di) capitale? Secondo una vulgata, gli italiani sarebbero restii a condividere il passato e perciò abbaruffano su tutto: dal Risorgimento alla Resistenza, da Caporetto al G8 di Genova. Roma? Totem e tabù dell’identità unitaria nel Paese dei cento campanili. Solo di recente la saga multimediale scaturita da Romanzo criminale di De Cataldo e, per altri versi, Noi credevamo di Martone hanno rinfocolato una romanità moderna e contemporanea. Un precursore di tale anelito sullo schermo è stato Luigi Magni, il regista spentosi il 27 ottobre scorso all’età di 85 anni. Magni nuotò per tutta la vita fra “le due rive del Tevere”, saggiando la distanza fra Stato e Chiesa della metafora coniata da Spadolini. Lo fece con il sorriso laconico, o, se volete, il ghigno non cattivo di chi ne ha viste tante e se ne aspetta altre. C’è disincanto e c’è ironia, mai cinismo nel suo cinema, cui la Cineteca Nazionale e il Festival di Roma hanno appena reso omaggio riproponendo La Tosca e Arrivano i bersaglieri. D’altronde, tra musica/musical (più Trovajoli che Puccini) e breccia di Porta Pia si sviluppa l’impegno del Nostro. Dopo qualche sceneggiatura negli anni ’50, eccolo al Sistina quale “aiuto” di Garinei e Giovannini in Rugantino (1962). Il protagonista era Nino Manfredi, in seguito icona e sodale nella memorabile trilogia di Magni: Nell’anno del Signore (1969), In nome del Papa Re (1977) e In nome del popolo sovrano (1990).

La sua città è popolana e papalina, irridente e orgogliosa delle pasquinate. L’eroismo è occasionale, scanzonato, ovvero suscitato dall’oppressore. Un carattere italiano illustrato anche da Rossellini in Roma città aperta (Fabrizi in tonaca è un erede del barnabita patriottico Ugo Bassi) e da Monicelli nel celebre finale di La grande guerra. E’ emblematico il monologo di Manfredi/Ciceruacchio di In nome del popolo sovrano, davanti al plotone di esecuzione austriaco insieme al figlio adolescente: “Angelo Brunetti, eccellenza, detto Ciceruacchio, professione carrettiere… Allora perché te sei impicciato de cose che nun te riguardano? Perché io so’ carrettiere, ma a tempo perso so’ omo e l’omo se impiccia, eccellenza! Perché so’ romano ma a tempo perso so’ italiano”. In fuga con Garibaldi e Bassi dalla sconfitta della Repubblica romana del 1849, il vero Ciceruacchio visse tra via di Ripetta e piazza del Popolo e morì mentre cercava di raggiungere Venezia.

Come lui, Magni. Cresciuto all’ombra del bronzeo Giordano Bruno in Campo de’ Fiori, da giovane teatrante e aspirante scrittore nutriva i sogni di “carbonara” e bollito nella trattoria dei fratelli Menghi sulla Flaminia, a due passi da piazza del Popolo, dove artisti non meno squattrinati (Accardi, Turcato, Consagra) saldavano il conto con un quadro. Infine Magni si era trasferito a Venezia, città della moglie, la costumista Lucia Mirisola. Oltre al cinema, alla Tv e al teatro (Gaetanaccio con Proietti, La santa sulla scopa, I sette re di Roma), riuscì poi a scriverli, quei libri: fra gli altri, Cecilio (Bompiani 1977), Nemici d’infanzia (Frassinelli 1990) e Lucina. L’indecente soprano nella Roma del Papa re (Marsilio 2009). Storie di ribelli come Gigi nella capitale occupata dai nazisti: “Chiunque abbia sentito di notte il passo dei soldati stranieri battere le strade di casa sua, resterà sempre un resistente”. Tornando ossessivamente al Risorgimento e al papa “straniero” intra moenia, Magni getta luce sul romanzo romano, a tempo non perso italiano.

Articolo apparso sul settimanale “Film Tv”, n. 48, 1-7 dicembre 2013

 

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