De Gasperi, la Ced e le radici morali dell’Ue

In continuità con Stefano Ceccanti e la sua relazione sull’impostazione del personalismo, vorrei soffermarmi su Alcide De Gasperi, che oggi, nel 70° anniversario della morte, torna a essere un punto di riferimento centrale. Prima di entrare nel merito del federalismo e della Comunità Europea di Difesa (Ced), vorrei richiamare il suo celebre motto: “La politica estera è sempre la chiave della politica interna“.

De Gasperi ha ricostruito un’Italia ridotta a pezzi in un’ottica di federazione europea sulle macerie della fine della Seconda guerra mondiale. Da generoso cireneo qual era – nella postura, nel carattere, nella spiritualità, nell’atteggiamento verso la fede – si è fatto carico delle conseguenze di una sconfitta disonorevole e di una pace senza condizioni. Lo ha fatto con dignità, presentandosi a Parigi di fronte ai vincitori. Lo sforzo di accreditare l’Italia nel mondo e nell’Europa gli riuscì in modo mirabile. Riuscì, davvero, a reinventare l’Italia.

Tra le sue intuizioni più profetiche, c’è senza dubbio la Ced. Come ricordava anche Ceccanti, la Comunità Europea di Difesa fallì a causa della Francia e il suo fallimento coincise con la morte di De Gasperi, il 19 agosto 1954. Vorrei sottolineare un punto che oggi appare di grande attualità: la Ced non era una proposta da caratteri militaristi, non era un’iniziativa estemporanea, puramente difensiva o minimale. Al contrario, aveva una natura costituente. Doveva essere cioè qualcosa molto di più di una mera difesa europea: una sorta di volano della comunità europea, un nucleo fondativo dotato di un vero e proprio potere costituente.

Dalla Ced avrebbero dovuto scaturire scelte politiche, economiche, quelle di natura fiscale e, naturalmente, di politica estera. De Gasperi voleva anche affermare un’autonomia europea rispetto agli Stati Uniti — proprio lui, che aveva promosso un rapporto organico con l’America. Scriveva: “Non bisogna nascondersi che tra i nordamericani i fanciulloni sono molti e che anche le democrazie politiche hanno dei punti deboli. La vecchia Europa è più equilibrata ed esperta.” Insomma, noi europei siamo più saggi, diceva. Se avesse aggiunto “con un ciuffo color carota”, la profezia su Donald Trump si sarebbe compiuta.

Ma, battute a parte, torniamo al discorso di fondo. La forza fondativa che De Gasperi vedeva nella Ced non risiedeva solo nel fatto di non essere esclusivamente militarista: potremmo dire che aveva un contenuto morale. L’idea che la comune difesa europea avesse un contenuto etico, alludesse a una comunità legata ad un contenuto morale è un punto fondamentale. Dovremmo discuterne molto di più, farlo capire ai giovani — e, ancora prima, ai politici, che spesso non lo capiscono affatto.

Questa fondazione morale nasceva da una visione cristiana di natura universalistica, le conferisce un senso profondo di solidarietà, una comunità di destino condiviso – quella stessa idea di dignità umana che Ceccanti ha giustamente richiamato. In questa visione si realizza pienamente il personalismo, nella migliore delle sue tradizioni.

Qual è la novità di questa fondazione morale profonda dell’unità europea nel pensiero politico cattolico? De Gasperi, con le sue radici trentine e austriache, portava con sé una grande sensibilità per le autonomie locali: un valore prezioso delle specificità morali, storiche e politiche per la costruzione europea. Era contrario all’idea di Stato accentratore. Parlava di Staatskultur: uno Stato che deve avere memoria, identità, radici — nella fattispecie guidaico-cristiane — altrimenti diventa un’entità astratta e potenzialmente prevaricante. Questa era la sua spiritualità, che ha dei tratti potremmo dire, premoderni ma senza indulgere mai in nostalgie reazionarie.

De Gasperi non aderiva a forme di intransigentismo che rimpiangevano la christianitas medievale. La cultura cattolica europea, dopo la Rivoluzione francese, si era spaccata: lui non apparteneva a quella corrente che vagheggiava un ritorno alla comunità sacra dell’Europa premoderna. Pur non essendo certo un “modernista”, non era suggestionato da quella nostalgia, da quella Sehnsucht per la potenza perduta della comunità sacra medievale: il conflitto, che spaccò la cristianità ottocentesca tra religiosità e secolarizzazione e che si chiuderà tragicamente con la Prima guerra mondiale. Ed è un tema che torna prepotente anche oggi. Se dovessi essere costretta a un’attualizzazione forzata, non direi mai che la guerra in Ucraina somiglia a quella contro Hitler. Mi sembra molto più simile, per dinamiche e implicazioni, alla Prima guerra mondiale.

L’assonanza del pensiero di De Gasperi con quello di Luigi Sturzo nasce da una comune matrice: quella del cattolicesimo tedesco, un modello legato al partito cattolico più antico del mondo il Zentrum, un partito perseguitato, il così detto Kulturkampf durante l’Impero guglielmino. Il Zentrum, di centro, non fu mai perfettamente equidistante: nella Repubblica di Weimar si alleò sia con la sinistra di Ebert, sia — tragicamente — con la destra, favorendo l’ascesa di Hitler.

Questa cultura del cattolicesimo politico influenzò la Democrazia Cristiana italiana, pur con molte rotture e trasformazioni ha a che fare anche con la figura di De Gasperi.

A proposito della difesa europea di oggi e la proposta della Ced di allora vorrei concludere con una frase, riportata nei resoconti della figlia di de Gasperi. Poco prima di morire sentì il padre dire a Scelba: Meglio morire che non fare la Ced. Se l’Unione Europea non si fa oggi, la si dovrà fare inevitabilmente tra qualche lustro. Ma cosa passerà tra oggi e quel giorno? Dio solo lo sa.” E noi siamo qui. E cominciamo ad averne la percezione.

 

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