Dal sogno federalista alla sfida della sicurezza comune

Il recente dibattito sulla natura “di parte” del Manifesto di Ventotene ha generato un’accesa polemica politica sulle fonti storico-culturali del federalismo europeo. Ciò ha fatto passare in secondo piano la natura pluralistica e multi-vettoriale del processo di integrazione dell’Unione Europea.

La polemica politica si è concentrata sulla natura socialista, o di sinistra in genere, del progetto europeo, quando invece è storicamente accertato che gli influssi in favore di un’integrazione non solo vengono da lontano, ma anche da diverse matrici politico-culturali come quella cattolica, quella illuminista, quella conservatrice.

Su questo sfondo si sono inserite le recenti esternazioni di alcuni esponenti di primo piano dell’amministrazione americana che hanno presentato l’Ue come passivamente tributaria della protezione militare degli Stati Uniti e come un’organizzazione regionale concepita per approfittare economicamente del partenariato con gli americani.

Abbiamo poi assistito a un intervento di Jürgen Habermas “Per l’Europa” pubblicato sulla Süddeutsche Zeitung e disponibile in inglese sul sito di Reset DOC. Habermas evidenzia una certa marginalità dell’Europa nei negoziati tra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina e auspica che gli Stati membri dell’Ue mettano in comune le loro capacità di difesa per evitare di contare sempre meno in un mondo frammentato e geopoliticamente turbolento. Un’Europa che non sia solo commercio, ma anche una “potenza collettiva”, che persegua la sicurezza accanto alla prosperità economica.

Per Habermas la persistenza della sovranità nazionale degli Stati membri dell’Ue nell’ambito militare e della deterrenza non sembra consentire ancora il passo decisivo verso una vera integrazione in un’Europa della difesa, dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa (Ced) nel 1954. Il programma della Commissione Europea ReArm Europe sembra infatti puntare a migliorare le capacità di difesa dei singoli Stati membri dell’Unione, rinviando però a un secondo momento l’integrazione vera e propria in questo settore strategico.

Qui i pongono due questioni. In primo luogo, se questa sorta di militarizzazione dell’idea di Europa sia un passaggio storico necessario o se non rappresenti, invece, una fondamentale deviazione dall’idea originaria di un’Europa erasmiana e kantiana.

In secondo luogo, c’è da riflettere in quale misura l’Europa della difesa costituisca davvero una nuova, realistica frontiera del cammino federale e non una riedizione di quello che Alan Milward, in controtendenza, definiva ancora nel 1992 il “salvataggio europeo dello Stato-nazione”.

Oggi sull’idea dell’integrazione prevale un certo scetticismo, cinismo, se non addirittura la sfiducia. E forse non è più il tempo, per l’Europa, di quelle che Emmanuel Mounier chiamava, riferendosi alle innovazioni sociali e culturali, “minoranze profetiche di choc”.

Forse, tra i due modelli alternativi dell’area di libero scambio da una parte e quello federalista classico dall’altra, è mancato un “James Madison europeo”, o almeno si è trattato di voci sagge, ma non ascoltate. All’Europa sembra cioè essere mancata una teoria e una prassi del Governo “misto”, cioè un’ipotesi organizzativa dei poteri e dei loro contrappesi, ben al di là dei trasferimenti e delle condivisioni di sovranità compiuti con l’integrazione economica e la creazione di uno spazio di libertà di movimento.

Il grande disegno della Costituzione per l’Europa, purtroppo naufragato, si muoveva in questa direzione e cercava un giusto equilibrio.

Oggetto di questa tavola rotonda sarà riprendere il filo di questo discorso che in estrema sintesi si svolge tra i due poli della federazione e della confederazione.

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