Un’Unione incompiuta: il progetto della difesa

Condivido fondamentalmente tutto ciò che è stato detto finora. Mi permetto solo di osservare, rivolgendomi a Gaetano Quagliariello, che non so con certezza chi abbia scritto l’articolo 38. Forse fu Altiero Spinelli, che allora consigliava Alcide De Gasperi, il quale se ne fece convinto sostenitore. O forse lo scrissero insieme. Richiamo questo episodio non per una questione filologica, ma perché aiuta a sgombrare il campo da equivoci ricorrenti nel dibattito attuale, come quello che abbiamo toccato anche oggi: il federalismo europeo è un’idea “di sinistra”? È una domanda nonsense.

A dirla tutta, e su questo concordo con Quagliariello, il Manifesto di Ventotene ha molti contenuti di sinistra. Ma è solo uno dei tanti testi fondativi del pensiero federalista, che ha molteplici radici. Il federalismo europeo ha tanti padri—più padri che madri, purtroppo, perché la storia l’hanno fatta soprattutto gli uomini. Senza andare agli antefatti culturali, basta elencare le figure che hanno contribuito al processo di integrazione europea: Schuman, Adenauer, De Gasperi—tutti cattolici, ma con orientamenti diversi. De Gasperi era democristiano, Schuman un conservatore repubblicano francese. Poi ci sono Colorni e Henri Spaak, entrambi socialisti. Il federalismo europeo è stato sostenuto da culture politiche diverse. Continuare a discuterne in questi termini è come chiedersi se la “nazione” sia un concetto di destra o di sinistra.

Da uomo di sinistra, dico che vorrei una sinistra capace di difendere idee, non altari. Quando si trasformano le idee in altari, si esce dal campo della politica. Allo stesso modo, è privo di senso pensare che occuparsi di difesa significhi automaticamente rinunciare alla pace. Emma Fattorini ha fatto benissimo a ricordare cosa rappresentasse, per De Gasperi, il progetto della Comunità Europea di Difesa (Ced): “Sarà un trattato di pace”, diceva nei suoi discorsi a Parigi. L’obiettivo era, evidentemente, la pace. Bisogna uscire da quella logica elementare che associa l’uso delle armi alla volontà di combattere e uccidere un nemico. La storia ci insegna che, purtroppo, le armi sono state spesso una necessità per chi ha dovuto difendersi, non per chi voleva aggredire.

L’Europa della difesa, come pensata nel trattato Ced, puntava proprio a questo: garantire la pace attraverso l’integrazione, identificando nel percorso federale lo strumento per una vera difesa europea. Che cosa ne rimane oggi, mentre il tema torna al centro del dibattito? Mettiamo da parte, per un momento, il nostro “conto scoperto” nei confronti della Nato e degli Stati Uniti. Trump può piacere o meno, ma è indiscutibile che, su questo piano, l’Europa abbia vissuto un po’ sulle spalle degli americani. Il riequilibrio della spesa per la difesa non è una sua invenzione: è una questione di dignità, per chi fa parte della Nato.

Possiamo fare quello che era il cuore dell’idea di Spinelli. Al di là dei contenuti non necessariamente da condividere del Manifesto di Ventotene, ciò che Spinelli proponeva era di federalizzare non gli Stati, ma quelle funzioni di governo che permettono loro di farsi la guerra. Non pensava affatto, né lo dice il Manifesto, che tutte le competenze statali dovessero essere trasferite a livello sovranazionale. Il fallimento della Ced ci ha condotti lungo la via funzionalista indicata da Monnet: a passare per l’economia per rafforzare gli interessi comuni e la convinzione di avere interessi comuni. Ma non abbiamo ancora raggiunto la vera federalizzazione delle funzioni fondamentali: politica estera, sicurezza e difesa comune.

Ecco il nodo che ci troviamo di fronte oggi. Abbiamo la moneta unica, ma non una politica economica unica. Abbiamo comprato i vaccini insieme, abbiamo affrontato la pandemia insieme—altri passi avanti nell’integrazione. Ora la domanda è: siamo pronti a un’integrazione sovranazionale, e non soltanto al coordinamento intergovernativo, anche in politica estera e sicurezza?

Non serve creare gli Stati Uniti d’Europa. Possiamo continuare lungo la strada funzionalista. Abbiamo già messo insieme molte cose. Riusciamo per la politica estera e la sicurezza a uscire dal ginepraio degli articoli 23 e seguenti di cui sono co-autore? E li considero, da giurista, il massimo dell’abiezione tecnica perché sono norme assolutamente perfette nel descrivere un congegno non funzionante, fatto in modo da non funzionare. L’Alto Rappresentante per la politica estera è costretto a rappresentare una politica che non c’è.

La vera domanda è questa: siamo pronti a fare il salto?

E aggiungo un’ultima riflessione, storicamente incontrovertibile: eserciti e tasse sono sempre andati insieme. Non si può avere una difesa comune senza una capacità fiscale comune. Lo richiedeva già l’euro; ora, ancora di più, lo richiedono la politica estera e la sicurezza

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