Dalla riforma del linguaggio alla fratellanza: il lascito vivo di Francesco

Ripercorrere il pontificato di Francesco, cercare di tracciarne il bilancio, è un’intenzione comprensibile, ma siccome il papa diceva che la sua priorità era quella di avviare processi, mi sembra più interessante stare in questo tracciato e cercare di cogliere quelli da lui avviati. Ci sono anche processi rivoluzionari, in particolare relativi al linguaggio: ha portato la comunicazione pontificia nel terzo millennio, il tempo dei social media, cioè un tempo nel quale la comunicazione è diretta, le mediazioni contano ma molto di meno rispetto a prima. Così il linguaggio “ingessato”, dottrinale, misurato, cattedratico è stato rivoluzionato, è diventato linguaggio di prossimità, sovente anche colloquiale, veicolato anche tramite interviste non dottrinalmente verificate, ma capaci di mettere in contatto diretto il vescovo di Roma con il suo uditorio, in questi casi esterno alla Chiesa. Questo linguaggio è stato anche poetico, così da potersi rivolgere a tutti, non soltanto ai fedeli.

A cavallo tra rivoluzione e riforma c’è quindi l’esercizio del ministero petrino, non più “alto”, lontano, separato, distanziato da noi, ma un ministero che si è trasferito accanto a noi, è stato esercitato “in mezzo al gregge”, senza ori, alamari, mantelline rosse, il colore degli imperatori romani. Questo tipo di esercizio del ministero aveva bisogno di un linguaggio nuovo, e aveva bisogno di una vicinanza per rendere visibile quella Chiesa ospedale da campo, Chiesa in uscita, della quale ha parlato dai suoi primi giorni. La riforma del papato, nella quale si inserisce la rivoluzione del linguaggio, è stata forse la riforma più riuscita del suo pontificato, resa concreta dalla sua azione quotidiana, e ritengo difficile che sia possibile tornare alle modalità di esercizio del ministero petrino precedenti.

Accanto a questa riforma materiale c’è stata la sua determinazione a realizzare una riforma strutturale enorme; dar vita a una Chiesa cattolica sinodale. Questa trasformazione profonda non è del tutto compiuta ma è avviata e la recente bocciatura da parte del cammino sinodale italiano del documento conclusivo redatto dai vescovi dimostra quanto profonda sia la novità. Nella sostanza vuol dire dare ruolo a tutti i livelli al laicato, maschile e femminile, riducendo o superando il clericalismo, quel sistema che consegna agli ordinati il potere ecclesiale e che quindi riduce il peso delle specifiche culture sotto il mantello uniformante della curia romana.

Ecco allora che emerge il senso della stessa riforma del collegio cardinalizio, espressione di varietà territoriali e culturali che non vengono più cooptate nell’unicità romana, ma che allargano lo spettro cattolico in amplificate forme e manifestazioni. È insomma il pluralismo nella Chiesa, che archiviando il sistema clericale e curiale apre a teologie, visioni, culture; il caleidoscopio cattolico nel quale la tensione polare consente il confronto senza imporre di risolvere i conflitti, le divergenze.

Di questo Francesco ha cominciato a parlare nel 2015 e oggi colpisce che questa sinodalità, questo coinvolgimento del laicato nel governo e indirizzo della Chiesa, lui la vedesse come una speranza che intendeva aiutare il mondo a cambiare: “il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che ‘cammina insieme’ agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.

Questo discorso sulla forma ecclesiale e le modalità di esercizio del ministero petrino è essenziale per dar vita a quella Chiesa in uscita di cui Bergoglio ci ha parlato per tutti gli anni del suo pontificato. La Chiesa in uscita, Chiesa plurale, va incontro alla gente, non si chiude su stessa, non si percepisce come un giudice al di sopra e al di là della storia, ma sta con noi, con gli altri credenti e i non credenti, nella storia. Essendo nella storia è nella società, nelle società, quindi qui da noi tra i secolarizzati, con i quali convive, senza ritenere suo dovere imporsi come società perfetta, depositaria della verità, ma con Bergoglio arriva a riconoscere la ricchezza di questo incontro. “È importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano – ha detto – e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune”.

Tutto questo non può che portarci al rapporto con le altre fedi, sul quale Bergoglio è arrivato a esprimersi in termini chiarissimi a Singapore, in occasione dell’incontro con i giovani: “Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare, ‘La mia religione è più importante della tua…’, ‘La mia è quella vera, la tua non è vera…’. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [qualcuno risponde: ‘La distruzione’, Ndr]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. ‘Ma il mio Dio è più importante del tuo!’. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Ma per il dialogo interreligioso fra i giovani ci vuole coraggio. Perché l’età giovanile è l’età del coraggio, ma tu puoi avere questo coraggio per fare cose che non ti aiuteranno. Invece puoi avere coraggio per andare avanti e per il dialogo”.

Siamo al compimento del percorso innovativo, che con la rivoluzione del linguaggio e delle modalità di esercizio del ministero petrino, la profonda riforma sinodale, il nuovo rapporto d’amicizia con i secolarizzati e di collaborazione con gli altri credenti pone le basi per la visione di fratellanza, “Fratelli tutti”. È il compimento della grande visione del pluralismo di Dio, quanto Francesco ha indicato parlando a Ur dei caldei, oggi in Iraq, quando ha potuto visitare la terra di Abramo: “LOltre di Dio ci rimanda allaltro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge ad amare. Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo. Nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità”.

Dunque con Bergoglio la Chiesa ha camminato nella comprensione di questo pluralismo nel solco del Concilio Vaticano II, proseguendo. È quello che si coglie però non solo per essa, visto che questo pluralismo è colto anche nel documento sulla fratellanza umana firmato da papa Bergoglio con Ahmad al Tayyeb, l’Imam dell’Università Islamica di al-Azhar: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.

La salvaguardia della pluralità umana riunita nelle sue diversità nella fratellanza non esaurisce la salvaguardia della creazione divina: con Laudato sì infatti lo sguardo si è allargato oltre l’umano, riconoscendo che la tutela e non lo sfruttamento del creato è richiesto all’uomo da Dio. Dunque è lo sguardo universalista di Teilhard de Chardin che è entrato con Jorge Mario Bergoglio a San Pietro.

 

Immagine di copertina: una donna cammina di fronte a un murales raffigurante Papa Francesco, vicino alla cattedrale di Ajaccio, in Corsica, il 10 dicembreo 2024. (Foto di Pascal Pochard-Casabianca / AFP)

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