Il momento in cui il cardinale Jorge Bergoglio di Buenos Aires scelse il nome di Francesco segnò in larga parte la direzione dottrinale del suo pontificato. Seguendo San Francesco d’Assisi, il nuovo vescovo di Roma avrebbe fatto propri tre principi guida: “la preferenza per i poveri”, “la cura della casa comune” e “l’impegno per la cultura dell’incontro e per la pace”.
Ma ben prima di sviluppare questi principi nelle sue encicliche – Evangelii Gaudium (2013), Laudato Si’ (2015) e Fratelli Tutti (2020) – fin dal primo giorno Papa Francesco introdusse uno stile personale e pastorale del tutto nuovo, che avrebbe definito il tono radicale e il ritmo sorprendente del suo pontificato. Decise di abitare a Santa Marta, la foresteria del Vaticano, invece che nel Palazzo Apostolico, rifiutando le pomposità vaticane, arrivando con la sua valigetta in mano.
Francesco concluse la sua prima conferenza stampa con i giornalisti accreditati – molti dei quali non cristiani – non con la tradizionale benedizione papale, ma chiedendo loro di pregare per lui. Tornando dal Brasile, appena pochi mesi dopo l’inizio del suo pontificato, disse una frase che fece il giro del mondo: “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?“.
Molti cattolici conservatori rimasero scandalizzati da questa risposta. Se nemmeno il Pontefice può giudicare, allora chi può? Ma Francesco rispose come Gesù quando i dottori della legge gli presentarono una donna colta in adulterio: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, e gli accusatori se ne andarono uno dopo l’altro (Giovanni 8, 1-11). Per Francesco, “misericordia” e “perdono” sono le più divine e autenticamente cristiane tra le virtù.
“Dio è misericordioso, non si stanca mai di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono, ma Lui non si stanca”. Ai suoi sacerdoti chiese di diventare “pastori con l’odore delle pecore“. Condannò ogni forma di “narcisismo teologico”, che antepone l’istituzione ecclesiastica al popolo di Dio, dimenticando che la Chiesa di Cristo deve essere una “Chiesa serva”. Voleva che la sua Chiesa aprisse davvero le porte e uscisse in tutte le piazze del mondo, diventando un ospedale da campo per curare le ferite di un’umanità spezzata. Le sue parole più dure furono rivolte ai funzionari della Curia romana, che descrisse come “cortigiani” di una corte ecclesiastica autoreferenziale.
Le sue parole profetiche trovarono ampia risonanza perché sostenute dai suoi gesti. La sua prima uscita da vescovo di Roma fu in un carcere, per incontrare i detenuti e lavare loro i piedi durante la Settimana Santa. La sua prima visita fuori da Roma fu all’isola di Lampedusa, per mettere in pratica la cultura dell’incontro e rendere visibile la drammatica condizione dei migranti e dei rifugiati africani e mediorientali che approdavano sulle coste meridionali dell’Europa.
La difesa della dignità umana dei nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati – “i più poveri tra i poveri” – costretti a fuggire per guerre, Stati falliti, crisi ecologiche o per effetto di una globalizzazione dell’indifferenza, divenne il messaggio profetico instancabile di Francesco, che invitava tutti ad aprire i cuori e i governi, a costruire ponti anziché muri e fortezze. In opposizione alla globalizzazione dell’indifferenza, propose una globalizzazione della fraternità.
In Evangelii Gaudium insistette sul fatto che “l’economia uccide”, non tanto per lo sfruttamento, quanto per la tendenza a “scartare” chi non è ritenuto utile come forza lavoro. In Laudato Si’ ci ricordò del nostro obbligo morale di prenderci cura della casa comune e proteggere la bellezza del creato, sottolineando ancora una volta che i poveri sono le prime e più vulnerabili vittime della crisi ecologica causata dall’uomo.
In Fratelli Tutti espresse la sua visione di una globalizzazione della fraternità in termini fortemente profetici, insistendo sul fatto che le sfide globali richiedono risposte globali, che né il sistema capitalistico mondiale né quello degli Stati-nazione sembrano in grado di fornire da soli. Scritta durante la pandemia globale di COVID, l’enciclica conteneva un monito severo: “Nonostante tutta la nostra iperconnessione, abbiamo assistito a una frammentazione che ha reso più difficile risolvere problemi che ci toccano tutti. Chi pensa che l’unica lezione da trarre sia il miglioramento di quanto già facevamo, o il perfezionamento dei sistemi esistenti, nega la realtà”.
Ma la critica profetica e radicale di Francesco incontrò presto una forte resistenza da parte dei critici tradizionalisti nella gerarchia, nel clero e tra i laici, che non lasciarono dubbi sul fatto di ritenersi più cattolici del Papa. Costruirono un’opposizione ben organizzata e molto rumorosa alla sua autorità. In un’epoca di polarizzazione, Francesco divenne una figura insolitamente divisiva.
È ancora troppo presto per valutare l’eredità definitiva del suo pontificato. Seguendo il suo principio filosofico fondamentale secondo cui “il tempo è superiore allo spazio”, ha sempre insistito sulla necessità di avviare processi che potranno dare frutto molto tempo dopo di noi. Dalla polarizzazione causata dai due Sinodi sulla Famiglia (2014-2015), Francesco potrebbe aver capito che non sarebbe stato saggio legiferare per tutta la Chiesa globale su questioni che considerava disciplinari, all’interno della gerarchia delle verità del Vangelo.
Da gesuita francescano, arrivò a discernere che era necessario più tempo per un processo di comunicazione e ascolto reciproco a tutti i livelli della Chiesa globale. E ritenne che il compito del vescovo di Roma non fosse legiferare attraverso i sinodi, ma piuttosto avviare un nuovo Sinodo sulla sinodalità. Se questo processo di “camminare insieme” dovesse istituzionalizzarsi, potrebbe diventare l’eredità ecclesiale più duratura di Papa Francesco.
Nessuno sa chi sarà il successore di Francesco né quale nuova direzione prenderà il pontificato. Ma dopo aver incontrato gli ultimi cinque papi – da Giovanni XXIII a Francesco – tutti grandi pontefici cattolici e grandi leader globali, ciascuno con il proprio accento sui diversi aspetti della tradizione cattolica pluralista, possiamo essere quasi certi che anche il prossimo Papa continuerà l’eredità cattolica a modo suo. Guiderà la Chiesa globale come vescovo di Roma e continuerà a lavorare, con le parole di Benedetto XVI, “per il progresso dell’umanità e della fraternità universale”. (Caritas in Veritate).