Una pace disarmata e disarmante.
I quattro segni distintivi di Leone XIV

Il primo segno è il discorso sulla pace disarmata e disarmante. La Chiesa cattolica si pone come soggetto geopolitico, consapevole di operare in un quadro di crescente e pericoloso disordine mondiale. Imperi, Stati, etnie si stanno muovendo ciascuno unilateralmente per allargare i propri spazi di potenza. La nuova parola d’ordine è Make…Great Again (“Fai… Grande di Nuovo”). I puntini si possono riempire di volta in volta con “America”, “Cina”, “Russia”, “India”, “Serbia”, “Turchia”, “Israele” e così via. La questione della pace e della guerra sta dunque diventando centrale nella mente di miliardi di persone. La pace disarmata e disarmante non è la ripetizione di un antico slogan, ma la manifestazione di un posizionamento cruciale. La Chiesa cattolica si propone quale potenza spirituale e perciò “politica” capace di educare all’amore dell’altro – “camminare mano nella mano l’un l’altro e nella mano con Dio” – e di contribuire alla costruzione di un nuovo ordine geopolitico. Se Trump, Xi Jinping, Putin, Modi hanno incominciato a giocare un Risiko dai possibili esiti catastrofici, è perché ciascuno di loro parla a nome dei propri popoli. Soltanto la Chiesa cattolica, proprio perché non è uno Stato e perché il suo Dio non è un Dio etnico, ha la capacità di porsi dal punto di vista del destino comune dell’umanità: cattolico, cioè universale. La cultura politica delle classi dirigenti degli Stati e degli imperi non riesce a sollevarsi al livello delle questioni universali, che toccano la condizione umana come tale. È questo “il difetto” delle democrazie, ma, ancor di più, delle dittature: rispondono solo agli interessi, veri o presunti, dei propri popoli. Donde la crisi e l’impotenza delle Nazioni Unite. Viceversa, la Chiesa si preoccupa del futuro della specie umana.

Il secondo segno è la provenienza del papa dall’ordine degli agostiniani. L’ordine degli eremitani di sant’Agostino – oggi Ordo Sancti Augustini – istituito da Alessandro IV nel 1256 ha due regole fondamentali: l’amore deve caratterizzare le relazioni tra i monaci e la vita deve essere profondamente comunitaria. Gli agostiniani si differenziano sia rispetto al modello del monachesimo orientale della fuga dal mondo sia rispetto alla militanza di combattimento gesuitica. Alla base sta la teologia agostiniana, una teologia esperienziale, più platonica che aristotelica, diversamente da quella domenicana e gesuitica, che è tomistica e razionalistica. Questa teologia sottolinea il primato della Città di Dio – dal titolo della stessa opera di sant’Agostino – e una sorta di pessimismo moderato circa la natura umana. Fu esasperando questo pessimismo circa le conseguenze del peccato originale che il frate agostiniano Lutero ruppe nel 1517 con la Chiesa di Roma, troppo sensibile agli interessi della Città dell’uomo e ai soldi delle indulgenze. Occorre ricordare che il teologo Ratzinger, così come tutta la teologia tedesca – da Erich Przywara a Karl Rahner, che tuttavia erano gesuiti – è di ispirazione agostiniana.

Il terzo segno sta nell’esperienza ecclesiale personale del cardinale Prevost, in particolare nel fatto che il superiore di un ordine religioso, che non arriva a 3mila membri, sia stato messo a capo di una congregazione curiale, quella dei vescovi, che seleziona la classe dirigente della Chiesa. È stata questa una delle innovazioni più importanti e la meno annotata di papa Francesco. Da sempre nella Chiesa la dimensione clericale istituzionale è stata in tensione con quella carismatica degli ordini religiosi. Francesco ha tentato di fare un’iniezione di carisma nell’istituzione ecclesiastica, che a sua volta cerca di tenere “sotto controllo” i movimenti carismatici. Di qui il motu proprio Authenticum charimatis del 1 novembre 2020, e quello del 14 luglio 2022 Ad Charisma tuendum, che aveva di mira l’Opus Dei.

Il quarto segno è la scelta del nome. Chiamarsi Leone, il primo dei quali andò a incontrare Attila e lo convinse a tornare donde era venuto, probabilmente non vuol dire che ci siano “barbari”.  Non si saprebbe chi fermare per primo! Il più vicino è, dunque, Leone XIII, che è noto per due encicliche. La Aeterni Patris, pubblicata il 4 agosto 1879, lancia il tomismo come teologia-filosofia più adeguata per contrastare quelle piaghe – tra cui il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il nazionalismo, il razionalismo – il cui puntiglioso elenco sta scritto nel Sillabo di Pio IX nel 1864. Pare difficile che un agostiniano rilanci il tomismo. L’altra enciclica di Leone XIII è quella famosa intitolata Rerum novarum. Tra le cose nuove una era la divitiarum in exiguo numero affluentia, in multitudine inopia: “L’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà”. Con ciò Giuseppe Toniolo, il ghost writer dell’enciclica, descriveva la globalizzazione di fine ‘800. Parole che Leone XIV pare condividere per descrivere la globalizzazione degli anni Duemila.

 

 

Questo articolo è stato in origine pubblicato su Italia Oggi, il 10 maggio 2025. 

Foto di copertina: papa Leone XIV saluta la folla durante la preghiera del Regina Coeli dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro al Vaticano, l’11 maggio 2025. (Foto di Massimo Valicchia / NurPhoto via AFP)

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