LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Note su “American Sniper” di Clint Eastwood

American Sniper – che ha appena ottenuto sei nomination agli Oscar – sta  suscitando perplessità in non pochi cultori del Clint Eastwood senile,  regista nell’ultimo decennio di capolavori come Mystic River, Million Dollar Baby, Gran Torino, Invictus, senza dimenticare il potente dittico bellico di Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima. C’è delusione o sorpresa per il “ritorno alle armi” di questo nuovo film, quasi che a 84 anni suonati Clint avesse deciso di riarruolarsi sotto le bandiere dello Zio Sam, identificandosi con la divisa maculata e non immacolata del Navy SEAL Bradley Cooper.  Una storia vera. Cooper interpreta il “cecchino americano” Chris Kyle dei SEALs, le Forze speciali della Marina Usa, le stesse che riuscirono a uccidere Osama bin Laden nel 2011. Kyle divenne una “leggenda” durante la guerra in Iraq per aver centrato col suo fucile di precisione oltre 160 bersagli. Un eroe o un assassino seriale? Ecco, sconcerta l’idea che Eastwood abbia dismesso il “pacifismo” dispiegato nella memoria della carneficina di Iwo Jima, rispolverando invece lo spirito ruvido, a dir poco, del sergente Gunny nell’omonimo suo film di circa trent’anni fa.

Fatto sta che nel raccontare la guerra – fosse quella mondiale, il Vietnam o l’Iraq  –  Eastwood non ha mai inforcato le lenti antiriflesso dell’ideologia né si è schermato con un irenismo di maniera. Piuttosto, egli mostra la luce tragica della violenza che acceca e perde chiunque, per parafrasare Isaia. D’altronde, una raffinata intellettuale statunitense, Susan Sontag, scrisse in Davanti al dolore degli altri (Mondadori 2003), che “noi”, cioè chi non abbia vissuto una guerra e non ne sia scampato, “non riusciamo a capire e neppure a immaginare quanto è terribile e terrificante la guerra; e quanto normale diventa”. Perciò diremmo che no, il vecchio Clint non è tornato a essere “fascista” come veniva considerato da molti ai tempi dell’ispettore Callaghan. E non solo perché non lo era allora. Come in seguito non è mai stato un radical ad onta dei fan europei che dovettero ricredersi quando Eastwood, nel 2012, mise in scena l’“intervista alla sedia vuota” in polemica con Barack Obama, a mo’ di endorsement per Mitt Romney nella convention repubblicana di Tampa.

American Sniper è sostanzialmente un western. Fa testo il duello di Kyle con l’antagonista Mustafà, il cecchino siriano di Al-Qaida ed ex campione olimpico di tiro a segno, che falcidia i soldati americani a Falluja. Un duello al culmine nello spettacolare epilogo della tempesta di sabbia che tutto confonde e annichilisce. Ed è western l’adesione a un destino che si manifesta sin dall’infanzia. In tal senso Eastwood sembra ribadire, alla sua maniera, il paradosso di Oscar Wilde secondo cui “ogni uomo uccide ciò che ama”. Kyle comincia a morire da piccolo quando il severo padre, un fondamentalista della cristianità, lo addestra alle armi e gli inculca l’imperativo della violenza “a fin di bene”, propria – sostiene – del “cane da pastore” schierato contro i lupi, a difesa delle pecore (il fratello minore di Chris è da sempre nel gregge, eppure non morirà in Iraq…).

Il cecchino spara con una certa imperturbabilità persino su donne e bambini quando li valuta ostili o coraggiosamente guida  la caccia al nemico, eppure viene minato nell’intimo dalla guerra, dalla sua folle razionalità. Nei periodi di licenza in America e dopo il congedo, non si raccapezza più e si allontana anche dall’amorevole moglie Sienna Miller e dai figlioletti. La sua essenza è un’assenza dalla vita quotidiana, uno straniamento, una disfatta rinverdita viepiù da chi gli ricorda la gloria in battaglia. In American Sniper non v’è alcuna smentita dell’anti-eroismo di Flags of Our Fathers (“gli eroi non esistono, si combatte per tornare a casa”); anzi, viene radicalizzata l’idea che la guerra continua “a casa” e colà può inseguirti, non concederti tregua, ucciderti. Certo, il film non è tra i più efficaci sul post-11 settembre (insuperati finora La 25ª ora  di Spike Lee e The Hurt Locker di Kathryn Bigelow), né tra i migliori di Eastwood quanto a scrittura. Tuttavia American Sniper contribuisce alla sua inesausta riflessione sulle umane passioni, più autentiche e irrevocabili nel teatro di guerra, dove rifulgono le ombre rosse e “la gloria della sconfitta” care al West di John Ford, nume tutelare del cinema di Clint.

AMERICAN SNIPER di Clint Eastwood. Interpreti e personaggi principali: Bradley  Cooper (Chris Kyle), Sienna  Miller (Taya Renae Kyle), Jake McDorman (Ryan Job), Sammy  Sheik (Mustafà). Drammatico-bellico, dall’omonima autobiografia di Chris Kyle scritta con Scott McEwen e Jim DeFelice (Mondadori ed.), USA, 2015. Durata: 132 minuti

Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”

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