«Netanyahu ha fallito, ora Benny Gantz
voti la sfiducia». Intervista a Yair Lapid

Parla in esclusiva a Reset il leader dell'opposizione israeliana

«Neanche nei momenti peggiori del terrorismo palestinese ho visto così tanta paura e insicurezza negli occhi della gente come in questi mesi di pandemia. Il popolo d’Israele è sempre stato un popolo coraggioso, capaci di unirsi nei momenti più difficili, ed è per questo che è riuscito a far fronte e a sconfiggere i tanti che ne hanno minacciato l’esistenza stessa. Non è il coraggio che sta venendo meno. È la mancanza di una guida sicura, che goda della fiducia popolare. Tutto il mondo è alle prese con il Covid e nessuno possiede la bacchetta magica per risolvere di colpo questa drammatica crisi. Ma è altrettanto vero che nessun Paese ha alla guida un primo ministro con in testa non il bene d’Israele ma il modo per evitare di essere giudicato – non dalla storia, ma da un tribunale».

A lanciare questo pesante j’accuse contro Benjamin Netanyahu, nell’intervista esclusiva concessa a Reset, è il leader dell’opposizione israeliana: Yair Lapid. Tra i fondatori di Kachol Lavan, l’alleanza centrista guidata da Benny Gantz, Lapid ha rotto con il suo ex alleato la scorsa primavera per la scelta compiuta di andare al governo con il Likud di Netanyahu. «I bianchi e i blu sanno che questo governo ha fallito – rimarca oggi Lapid, a capo di Yesh Atid – Questa non è una dichiarazione politica. I numeri della morbilità lo dimostrano. La disoccupazione lo dimostra. Le dimissioni di tutti i principali responsabili delle Finanze. L’opinione pubblica non ha più la minima fiducia nel governo».

Israele fa i conti con la seconda ondata della pandemia. Il governo ha varato un secondo lockdown che non ha impedito a decine di migliaia di israeliani di scendere in piazza, in una protesta che dura da oltre 14 settimane, contro la gestione della “guerra al coronavirus” da parte del governo guidato da Netanyahu. Cosa c’è alla base di questa protesta?

C’è la cattiva gestione politica, sciatta e isterica di questo governo e dell’uomo che lo dirige. Tutti i professionisti coinvolti si sono opposti all’imposizione dell’isolamento. Il commissario alla lotta al coronavirus Ronni Gamzu si è opposto, così come il vicedirettore generale del Ministero della Salute Itamar Grotto e il Ministero delle Finanze.  Sono stati tutti messi a tacere.

Perché?

Perché l’interesse fondamentale di Netanyahu non è mai stato quello di tradurre in azione di governo le indicazioni degli esperti. Lui ha sempre fatto un uso politico, strumentale, di parte della pandemia. Lo ha fatto giustificando la creazione di un governo con Kachol Lavan e i suoi fedeli alleati della destra religiosa, in nome della “guerra” al coronavirus. Ha proseguito sottovalutando scelleratamente la portata del contagio, andando in televisione per dire agli israeliani che potevano uscire e divertirsi. Un atteggiamento irresponsabile. Come lo è il lockdown che ha deciso, un isolamento totale alla base del quale c’è sempre un tornaconto personale.

E quale sarebbe questo tornaconto?

Provare a tacitare la protesta, imponendo restrizioni che di fatto limitano fortemente la libertà di manifestare. E già questo sarebbe di per sé un fatto gravissimo. Ma lo è ancor più se si tiene conto che il decreto del governo limita le proteste ma non le preghiere, chiude le piazze ma non le yeshivot (le scuole talmudiche, ndr) per non alienarsi il sostegno dei Haredim (gli ultraortodossi, ndr) diventati i “pasdaran” di Netanyahu. Invece di decretare un lockdown pressoché totale, che rischia di assestare un colpo micidiale all’economia d’Israele, Netanyahu avrebbe dovuto imporre il rispetto del distanziamento sociale, dell’uso delle mascherine e degli altri accorgimenti sanitari nelle aree popolate in maggioranza dagli haredim, che queste misure hanno sempre disatteso perché, a loro dire, contrarie al volere di Dio! Ma un intero Paese non può soggiacere al ricatto di una minoranza fondamentalista.

Ma quale carta ha questa minoranza per essere così convincente nei confronti del primo ministro più longevo nella storia d’Israele?

La carta che più interessa a Netanyahu: quella giudiziaria…

Nel senso?

Nel senso del sostegno a ciò che più interessa al primo ministro: evitare di essere giudicato da un tribunale per i gravi reati di corruzione di cui è imputato. Piuttosto che farsi giudicare, Netanyahu è pronto ad andare a nuove elezioni e, nel frattempo, a negoziare con gli ultraortodossi le misure che riguardano la salute di tutti gli israeliani. Una cosa di una gravità inaudita che non può essere avallata dai partiti che permettono di tenere in vita questo governo.

Mi sbaglio se dico che si riferisce al suo ex alleato Benny Gantz e a Kahol Lavan (Blu e Bianco)?

Non si sbaglia affatto. Da subito ho giudicato la scelta operata da Gantz un cedimento ai ricatti di Netanyahu, all’uomo che in campagna elettorale avevamo accusato, tutti noi di Kachol Lavan, di minare le fondamenta stesse di uno stato di diritto con i suoi continui attacchi alla magistratura, con il suo fomentare una risposta di piazza contro “il colpo di stato” del quale i magistrati, a cominciare dal procuratore generale d’Israele, si sarebbero fatti strumento. Gantz ha giustificato la sua scelta affermando che di fronte all’emergenza sanitaria, Israele non poteva permettersi un vuoto di governo e tanto meno nuove elezioni anticipate, le quarte in un anno. Non ero d’accordo con questa motivazione ma prendiamola pure per buona. Ma ora, ora che questo governo ha dimostrato la sua incapacità ad affrontare la crisi pandemica, e questo per responsabilità diretta e primaria di Netanyahu, cos’altro attende Gantz per dichiarare finita questa fallimentare esperienza? Se non ha questo coraggio politico, è destinato a essere travolto. Altro che la staffetta a premier. Questo governo è un disastro. Anche chi ha sostenuto l’adesione di Kachol Lavan al governo del Likud pensa che sia un disastro. È finita quando Netanyahu si è alzato in tribunale, con la sua gente in “maschera” dietro di lui, e ha annunciato che non c’era più lo stato di diritto in Israele. È finita quando ha completamente fallito nel gestire l’emergenza Covid.  Prima Gantz ne prenderà atto e meglio sarà per tutti, e anche per la sua carriera politica, destinata a chiudersi ingloriosamente con Bibi primo ministro.

Della sottovalutazione della pericolosità del virus abbiamo ampiamente parlato. Cos’altro imputa al primo ministro?

L’incapacità di mettere a punto un piano di sostegno alle imprese e per la difesa dei posti di lavoro. Netanyahu ha la faccia tosta di tacciare quanti da settimane protestano contro la sua scriteriata gestione della lotta al coronavirus, di essere dei “comunisti”, degli “anarchici di sinistra” e addirittura degli “untori”. Lui sa bene che non è così. Sa bene che tra i tanti che protestano vi sono persone che hanno votato Likud o Kachol Lavan, ma che oggi si trovano senza lavoro, senza protezione sociale, per responsabilità di un governo che non ha adottato le misure necessarie per affrontare le conseguenze economiche e sociali di questa drammatica situazione. Invece che ascoltare queste grida di dolore, Netanyahu ha preferito fare ciò che gli riesce meglio: la vittima. Stavolta, però, il gioco non gli è riuscito. La “sua” piazza è rimasta vuota, e a mobilitarsi sono stati gruppi di facinorosi ultras e pochi altri.  La demonizzazione degli avversari non è servita a nascondere la realtà di un fallimento dovuto a una cattiva gestione di qualcuno che è al potere da troppo tempo e non è più in grado di gestire un Paese in un momento di crisi. Yesh Atid ha presentato ieri una mozione di sfiducia costruttiva verso il governo di Netanyahu. Chi non vota a favore di questa proposta è un codardo. Mi dispiace, non ho una parola più morbida da utilizzare.

Ipotizziamo che l’attuale governo cada e che il capo dello Stato, Reuven Rivlin, affidi a lei l’incarico di formarne uno nuovo. Cosa direbbe questo ipotetico governo?

Direbbe: per i prossimi due anni, ci occuperemo di Covid e dell’economia. Taglieremo la disoccupazione, lavoreremo per far uscire Israele dal disastro economico, metteremo in stand by tutte le altre questioni, che dovremo affrontare ma in un altro momento. Questioni come il rapporto tra la religione e lo Stato, la soluzione dei due Stati o quella a uno Stato, il capitalismo contro il socialismo – tutto ciò che può aspettare, perché siamo nel bel mezzo di una crisi. Presenterei un piano di lavoro e tutti sarebbero i benvenuti ad unirsi a noi. Ecco cosa direi. Di una cosa sono certo: il prossimo governo sarà formato sulla base di “confini” politici diversi da tutto ciò che abbiamo conosciuto fino all’esplosione del Covid. La politica e i media sono molto indietro rispetto alla società israeliana. La società sta dicendo ai politici e ai media: “Lasciateci in pace, non ci interessano la destra e la sinistra, la religione e lo Stato. Quello che ci interessa in questo momento è la ricaduta economica del Covid”.

Netanyahu è stato primo ministro per undici anni di fila. Direbbe che è imbattibile?

Direi proprio di no. Una delle cose incoraggianti che prendo da quest’anno è che abbiamo battuto Netanyahu due volte. È vero, il passo politico che lo avrebbe sostituito non è stato fatto, ma in termini di idee, organizzazione, risultati sul campo, lo abbiamo battuto due volte. Due volte, il mio nome era sulla scheda che lo ha sconfitto. Possiamo batterlo. È possibile. Oggi come non mai.

 

(Ha collaborato da Gerusalemme Cesare Pavoncello)

Foto: Emmanuel Dunand / AFP

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