La Polonia tra storia e futuro
quelle liasons dangereuses con la Russia

Da Reset-Dialogues on Civilizations

I polacchi occuparono Mosca nel primo scorcio del ‘600. I russi, assieme ai prussiani e agli austriaci, iniziarono, sul finire del ‘700 il processo di smembramento della Polonia, facendola scomparire dalla mappa geografica. Dopo la Prima Guerra Mondiale Varsavia e Mosca – Mosca divenuta sovietica – ingaggiarono una durissima guerra di frontiera. Nel 1939 l’Urss occupò le vecchie regioni dell’est polacco (mai più restituite) sulla base degli accordi Ribbentrop-Molotov. Con la conferenza di Yalta, infine, ipotecò il controllo politico sulla Polonia, che si ritrovò nella sfera d’influenza del comunismo fino al 1989.

Tutto questo per dire che polacchi e russi non possono andare d’accordo. È fisiologico. Ci sono troppi conflitti, troppi spostamenti di frontiere e popolazioni a tenerli divisi.

La stagione del dialogo

Eppure, negli anni passati, Varsavia e Mosca hanno sviluppato un incoraggiante processo di dialogo, iniziato subito dopo il 2007, quando a Varsavia è salito al potere Donald Tusk, oggi presidente del Consiglio europeo, ieri primo ministro polacco e capo della Piattaforma civica, partito centrista.

Tusk aveva capito che la Polonia è molto, troppo esposta a livello energetico e commerciale verso la Russia per potersi permettere un approccio intransigente verso il Cremlino come quello sviluppato dai populisti di Diritto e Giustizia (PiS), che hanno governato nel 2005-2007. Il fondatore di questa formazione, ovverosia l’ex presidente della repubblica Lech Kaczynski, aveva cercato di fare della Polonia una protagonista assoluta in quello spazio intermedio a cavallo tra il baricentro dell’Europa (inevitabilmente Berlino) e il punto di riferimento dello spazio post-sovietico (Mosca), spingendo aggressivamente per una democratizzazione del secondo, senza raccordarsi troppo al primo.

La Russia ha compreso la proposta di Tusk, conscia che i buoni rapporti con l’Unione Europea non possono prescindere da relazioni decenti con la Polonia, specialmente nei momenti in cui quest’ultima mostra grande affiatamento con la Germania. Cosa accaduta dal 2007 in poi.

I risultati del processo di dialogo russo-polacco – in certa misura facilitato dal momento del disgelo russo-americano apertosi dopo la prima vittoria di Obama – non sono stati portentosi, ma nemmeno risibili. Il principale è stato la nascita di un organismo composto da studiosi russi e polacchi – una commissione bilaterale per le questioni difficili  –, incaricato di analizzare congiuntamente i passaggi storici più critici della storia: la benzina, vale a dire, dell’attrito tra i due paesi.

In questa cornice s’è inserito l’incontro tra Tusk e Putin a Katyn (2010), sul luogo dell’eccidio di migliaia di militari polacchi. Poco dopo ci fu lo schianto aereo in cui morì Lech Kaczynski, che stava andando proprio a Katyn. In polemica con Tusk, intendeva commemorare la strage separatamente. La televisione russa tramise in prima serata Katyn, pellicola del regista polacco Andrzej Wajda.

Un altro segnale del clima meno ostile nei rapporti bilaterali registratosi in questa fase di “normalizzazione” è stato lo storico viaggio a Varsavia di Kirill, il patriarca ortodosso della Russia. Avvenne nel 2012.

Lo spartiacque della crisi ucraina

La crisi ucraina ha spazzato via tutto questo. Sia Polonia che Russia vedono nella partita ucraina una questione di massima sicurezza nazionale. Un cuscinetto essenziale: nei confronti del revanscismo russo o dell’allargamento del blocco politico-militare occidentale, a seconda dei punti di vista. E questa, va da sé, è una crisi molto più grave di quella scattata con la Rivoluzione arancione del 2004-2005, dato che ha generato una guerra e determinato modifiche territoriali. Senza considerare il fatto che l’Ucraina odierna è un paese sull’orlo del collasso economico.

La Polonia sostiene senza indugi Kiev, la Russia la tiene sotto scacco per mezzo di più leve. Varsavia e Mosca, per tagliare corto, sono di nuovo nemiche. E la storia torna a seminare discordia. Lo confermano, se mai ce ne fosse bisogno, due recenti fatti.

Il primo ruota intorno a un monumento situato a Pieniezno, villaggio nel nord-est polacco. È uno dei tanti memoriali, eretti in epoca comunista in tutta l’Europa centro-orientale, che ricordano il sacrificio dei soldati sovietici. Il volto bronzeo di Ivan Chernyakhovsky, giovane generale dell’Armata rossa deceduto in battaglia proprio in quel lembo di Polonia, ha campeggiato sulla sua facciata fino a qualche settimana fa, quando le autorità l’hanno rimosso. (Qui un video del recente avvenimento).

A Mosca non l’hanno presa bene. Il ministero degli esteri ha convocato l’ambasciatrice polacca, Katarzyna Pelczynska-Nalecz, chiedendo spiegazioni. La rappresentanza diplomatica russa a Varsavia, parallelamente, ha sostenuto che la vicenda costituisce una violazione dell’accordo tra i due governi, datato 1994, che disciplina la protezione dei monumenti di epoca sovietica. Il governo polacco, da parte sua, è dell’avviso che questo stesso accordo riguardi solamente i cimiteri di guerra. Il ministero degli esteri ha inoltre diffuso una nota con cui precisa che se da un lato il generale Chernyakhovsky ha contribuito alla resa del Nazismo, dall’altro fu corresponsabile di azioni di intelligence, arresti e condanne a morte nei confronti dell’Armia Krajova, l’esercito clandestino polacco al tempo della Seconda Guerra Mondiale.

Liberatori e repressori, insomma. Nulla di nuovo. La visione polacca dell’avanzata sovietica verso Berlino è interpretata secondo queste due chiavi di lettura. Tesi peraltro largamente condivisa in tutta quella parte d’Europa che con la conferenza di Yalta finì sotto l’influenza dell’Unione sovietica. L’Urss liberò questi paesi dal giogo nazista, ma al tempo stesso – così si rimarca – creò anche le condizioni del futuro assoggettamento politico.

La crisi si intensifica ogni volta che si ripensa al 1939, l’anno in cui la Polonia fu nella morsa tanto della Germania nazista quanto della Russia sovietica. Dopo i già citati accordi Ribbentrop-Molotov, infatti, tra nazisti e sovietici,  primi aggredirono l’ovest polacco il primo settembre di quell’anno, i secondi penetrarono nell’est il 17 di quello stesso mese. Data in cui, non casualmente, il viso di Ivan Chernyakhovsky è stato asportato dal memoriale.

È proprio sul 1939, pochi giorni dopo la polemica sul memoriale di Pieniezno, che è esplosa un’altra lite. È stato l’ambasciatore russo a Varsavia, Sergey Andreev, a darle il via. Intervistato da TVN, canale privato polacco, ha affermato che la seconda guerra mondiale è scoppiata anche a causa della politica estera di Varsavia, dato che per tutti gli anni ’30 impedì la nascita di una coalizione anti-nazista. Andreev ha aggiunto che il patto di non aggressione con la Germania fu firmato per garantire la sicurezza dell’Urss. Non sono mancate le reazioni, ovviamente. Il primo ministro polacco, Ewa Kopacz, ha liquidato in questo modo la cosa: «In Polonia anche i bambini sanno che né Ribbentrop né Molotov erano polacchi».

Nei giorni successivi Andreev ha fatto marcia indietro. Ha chiesto scusa per essere stato impreciso, ma ha tenuto a sottolineare che Russia e Polonia hanno percezioni della storia tra loro diverse. Così in effetti è.

Il fattore elettorale

Non deve meravigliare la tempistica di questo ribollire di sentimenti. Il 25 ottobre ci sono le elezioni generali in Polonia. A tutte le parti fa comodo che ci sia tensione. Mosca sta lavorando molto sulle emozioni sempre vive dell’Europa centrale e baltica. Sa perfettamente che la crisi ucraina ha portato questi paesi a prendere posizioni diverse sul rapporto da tenere con Mosca. L’Ungheria e la Slovacchia hanno contestato fortemente le sanzioni europee (eppure le hanno votate). La Repubblica ceca ha avuto un approccio bifronte, con il governo allineato alla Germania e il presidente della Repubblica Milos Zeman a fare il bastian contrario (alcuni finanziatori del suo piccolo partito sono ritenuti lobbisti di Mosca…). La Polonia e i baltici, infine, hanno denunciato il revanscismo russo e invitato Bruxelles a una postura molto rigida.

Il quadro, dal punto di vista del Cremlino, è perfetto. In questo modo può dimostrare che c’è un pezzo d’Europa (cui si aggiungono Grecia e Cipro) che vuole parlare con la Russia e un altro – l’asse polacco-baltico – che si sente più a proprio agio sulla prima linea della Nato e risponde con maggiore prontezza gli ordini impartiti da Washington. I russi sanno benissimo che un conto è il messaggio su cui si insiste, un altro la realtà delle cose. Polonia e America non hanno avuto rapporti scintillanti in questi ultimi anni. Ma tant’è.

A ogni modo all’élite politica polacca sta più che bene, in questo momento, schierarsi sul fronte di questa novella Guerra Fredda. Diritto e Giustizia, che sembra destinato a tornare al potere, pur se è da capire se riuscirà a guadagnare una maggioranza sufficiente per governare senza problemi, preme molto sul fattore della “Russofobia”. È del resto il partito della “Religione di Smolensk”,  concetto con cui una parte della stampa polacca esprime un modo di guardare alla Russia segnato dal complotto, dalla convinzione che il Cremlino trami per destabilizzare la Polonia. Tutto nasce dall’idea che lo schianto aereo del 2010 sia il frutto di una congiura russa. In realtà le indagini hanno evidenziato che sui piloti fu fatta pressione per atterrare, malgrado le avverse condizioni meteorologiche. C’è comunque da dire che Mosca, rifiutando di restituire la carcassa del velivolo, irrita la Polonia.

La Piattaforma civica non può permettersi di cedere a Diritto e Giustizia il primato della campagna per il contenimento della Russia, né intende evitare il confronto con Mosca, le cui mosse in Ucraina sono giudicate pericolose e illegali. E quindi dall’avvento della crisi nell’ex repubblica sovietica il governo ha invocato un ruolo maggiore per la Nato a Est, chiesto la presenza di militari dell’alleanza sul territorio polacco, sostenuto il male necessario delle sanzioni alla Russia (le aziende polacche ci stanno rimettendo non poco) e promosso tutta una serie di misure sulla sicurezza, tra cui la formazione di un corpo paramilitare civile inquadrato nel ministero della difesa e l’istituzione della carica del comandante in capo delle forze armate in caso di guerra, ad indicare che la paura della Russia ha assunto anche all’interno di questo partito una dimensione per certi aspetti irrazionale. Ed è davvero molto difficile che Russia e Polonia tornino a parlarsi, nei prossimi tempi.

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