Iran, l’annus horribilis degli ayatollah
e la scommessa della fase due

A colloquio con Pejman Abdolmohammadi (Università di Trento)

Già da oltre una settimana, in Iran è stata annunciata la ripartenza delle attività economiche, a cominciare da uffici pubblici e attività private della capitale. E questo nonostante il contagio da Covid-19 sia ancora molto diffuso sul territorio: dopo la Turchia, la Repubblica islamica iraniana è ad oggi il Paese più seriamente colpito dal virus fra quelli mediorientali, con oltre 90mila contagiati ufficiali. Proprio per questo, il veloce passaggio alla cosiddetta fase due, quella della convivenza fra uomo e virus nella vita di tutti i giorni, sembra avere il sapore di una scelta poco sanitaria e molto politica. “La normalizzazione serve alla Repubblica islamica, ma non fa certo gli interessi della nazione”, spiega Pejman Abdolmohammadi, Senior assistant professor presso la Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento.

La polemica sulla non trasparenza delle autorità iraniane nel comunicare alla popolazione e alla comunità internazionale i numeri della pandemia monta. Eppure la riapertura è già cosa fatta. Perché?

Perché la condizione economica iraniana è a tal punto logorata che, pur di evitare la totale paralisi, si preferisce rischiare il peggioramento della crisi sanitaria piuttosto che affrontare il collasso del contesto socio-economico. I dati reali, in ogni caso, non sono certo quelli comunicati dalle autorità: si stima un numero di deceduti almeno doppio rispetto a quelli ufficiali (poco più di 5mila) e, di contagiati, triplo. Quindi, chi può permetterselo si è auto-isolato e continuerà a vivere in isolamento indipendentemente da quanto disposto dalle autorità.

Una fase due accelerata, per così dire, per amore di patria o di regime?

Sicuramente di regime. In proposito, alcuni ritengono che la quarantena nazionale non sia mai stata proclamata perché troppo difficile da far rispettare per le autorità. Questa incapacità di garantirne l’applicazione in modo capillare avrebbe messo a nudo le debolezze della Repubblica islamica di fronte alla popolazione. Anche in questo caso la comunicazione alla cittadinanza non è stata trasparente e buona parte dell’opinione pubblica lo ha percepito.

I nemici di Teheran auspicano che la crisi da Covid-19 metta all’angolo definitivamente il regime degli ayatollah. È quello che sta succedendo?

Sì e no. A mio giudizio, il tasso di legittimazione popolare resta al momento lo stesso di prima dell’epidemia. L’insoddisfazione generale non è un fatto di oggi. Solo che adesso i cittadini esprimono le loro critiche un po’ meno nelle piazze fisiche e un po’ più in quelle virtuali. Una parte consistente degli iraniani non si fida di quanto raccontato dalle autorità: in questo caso specifico, è una diffidenza avvalorata da quanto verificatosi all’inizio dell’epidemia, quando a Qom è esploso un focolaio probabilmente innescato da studenti cinesi iscritti alle scuole islamiche della località. Interessi religiosi ed economici (la Cina è il principale partner iraniano, seguito dalla Russia, ndr) hanno avuto la meglio sull’allarme sanitario, dato in grande ritardo quando il contagio si era già diffuso. A lungo si è continuato a viaggiare da e per la Cina senza restrizioni. Una grave negligenza – la gente lo ha capito – che ha fatto dell’Iran non solo un Paese contagiato, ma pure un agente nocivo per altri Paesi della regione.

E cosa dunque potrebbe trasformare il 2020 in un anno cruciale per l’Iran?

Le elezioni americane, in un senso o nell’altro. Sul piano internazionale, la Repubblica islamica può essere soddisfatta di come stanno andando le cose: il virus la fa passare per una vittima delle sanzioni. Anche internamente, questa narrazione può funzionare: “Vorremmo dare soldi e assistenza alla popolazione, ma non possiamo perché le sanzioni americane non ce lo permettono”, possono dire le autorità. Poi, sulla scena internazionale, il Coronavirus sta creando nuovi equilibri: l’alleato cinese si sta riprendendo bene, anzi ne sta uscendo vincente. E l’unico vero nemico, l’amministrazione di Donald Trump, vede la riconferma un po’ più incerta a causa della pandemia. Teheran può ringraziare il Covid-19 per il colpo basso dato a Washington. Se poi fosse eletto alle presidenziali di fine anno Joe Biden, allora la Repubblica islamica potrebbe contare su altri vent’anni di vita.

Quanto è diffuso il sentimento anti-americano in Iran in questo momento?

In realtà è più diffuso, fra la gente, un sentimento anti-cinese, dopo l’esplosione dell’epidemia. Io direi che è simile al risentimento anti-americano degli anni ’70. E fra Donald Trump e il suo predecessore Barack Obama, quest’ultimo è il bersaglio privilegiato di coloro che hanno auspicato un cambiamento politico e si sono sentiti traditi. C’è rabbia, risentimento.

Eppure sembra che la maggioranza dell’intellighenzia occidentale non lo capisca.

Sì, l’élite occidentale – che ha contatti con quella che viene dipinta dalla stampa mainstream come a sua volta un’élite iraniana ‘riformista’ – non ha capito che nel 2009, quando il movimento verde ha mobilitato le proteste, gli oppositori interni della Repubblica islamica si aspettavano da Obama una scelta netta a favore della rivolta. Una presa di posizione dura. Fra gli slogan più diffusi ricordo: “Obama, o con loro o con noi”. E ora vedono in Donald Trump l’unico nemico degli ayatollah in grado di provocare il necessario cambiamento.

La società iraniana, in termini socio-economici, è comunque allo stremo delle forze. Colpita ripetutamente dal fato, in un crescendo rossiniano. Quanto, a suo giudizio, può reggere ancora questo logoramento?

Sì, su di una popolazione già sottoposta alle drammatiche conseguenze delle sanzioni economiche si sono abbattuti pure svariati eventi catastrofici: dall’inizio dell’anno l’uccisione del generale Qasem Soleimani e l’abbattimento del Boeing ucraino, ma soprattutto, nel novembre del 2019, i dodici giorni di repressione delle manifestazioni anti-governative su larga scala: a seconda delle fonti, si stimano fra i 300 e i 1500 morti come minimo. E, voglio ricordarlo, quei dodici giorni avevano già messo in quarantena, in isolamento dal mondo, tutta la popolazione iraniana con il blocco totale del web. Quell’esperienza ha lasciato un segno indelebile nella gente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *