Renzi a Palazzo Chigi. Con Letta. Intesa sulle riforme, divisioni sulla legge elettorale.

La Repubblica: “Renzi: cambio io la legge elettorale”, “Il leader a Letta: lavoriamo insieme. In segreteria 7 donne, età media 36 anni”.

In taglio basso, con foto: “Forconi in piazza: scontri e blocchi in tutta Italia”.

 

La Stampa: “Tra Renzi e Letta un patto per il 2014”, “Subito legge elettorale, poi contratto di coalizione. La squadra del segretario: donne in maggioranza”.

Di spalla, con foto: “Italia in tilt per i ‘forconi’. Scontri e feriti a Torino”.

 

Corriere della Sera: “Contratto per un anno e voto nel 2015. Letta e Renzi siglano la prima intesa”.

A centro pagina, in grande evidenza, i titoli con foto sulle manifestazioni dei Forconi: “Ore di guerriglia nelle città”, “A Torino il caso dei poliziotti che si tolgono il casco”.

 

Il Fatto: “Forconi scontri e blocchi. Poi giù i caschi degli agenti”.

A centro pagina: “Renzi, ‘Ora comando io’”.

 

Il Sole 24 Ore: “Così si paga il saldo Imu. Sale il rischio maxi-rata”, “I versamenti con aliquote più alte rispetto a giugno”.

Di spalla: “Renzi vara la maxi-segreteria: squadra di trentenni con 7 donne e 5 uomini”.

In basso, le parole del presidente di Confindustria: “’Ripresa debole, c’è molta disperazione’”, “Squinzi: il calo dei prestiti alle imprese è un segnale di disagio”.

 

Europa: “Renzi-Letta, un primo step. Ma non è ancora un patto”.

 

L’Unità: “Letta-Renzi, patto di un anno”. A centro pagina: “Forconi all’attacco. Scontri a Torino”.

 

Il Giornale: “I poliziotti abbracciano l’Italia dei forconi”, “Mentre le manifestazioni sono inquinate dalle violenze degli infiltrati, gli agenti si tolgono il casco davanti a chi dimostra per una buona ragione”.

In apertura a sinistra: “Letta in ginocchio da Renzi. Così il neosegretario ha già preso il comando”.

 

Letta-Renzi

 

Il Giornale parla del “diktat di Renzi a Letta: ‘Alle riforme ci penso io’”. “Il neoleader va a Palazzo Chigi per tagliare fuori governo e maggioranza dalla nuova legge elettorale. Ma il premier non molla: meglio trattare con Alfano che con il Cav”. Secondo il quotidiano nell’incontro di ieri “sulla legge elettorale, a sentire i renziani, il neosegretario è stato chiaro nel ribadire le sue posizioni: ‘Il governo non si immischi e non si metta di traverso. E’ onere del Pd fare la propria proposta a tutte le altre forze politiche e verificare chi ci sta’”. “Dalla sua Renzi ha il vantaggio di non aver ancora messo nero su bianco uno schema di riforma, legandosi le mani, ma di aver solo indicato dei criteri di fondo: no al proporzionale, salvaguardia del bipolarismo, basta larghe intese”. Si tratta di un ventaglio di ipotesi che va dal doppio turno al mattarellum corretto fino al sistema spagnolo: e se questo andrà a cercare accordi perché – come ha detto – “sulle regole si dialoga con tutto il Parlamento”. Inizierà quindi alla Camera con Sel, ma per il Senato servono altri numeri, e lì si dialogherà “con tutti, compreso Berlusconi”, ha detto. Anche con Grillo e Berlusconi, con un corollario: “quando si fa una riforma – ancora parole di Renzi – poi in genere si va a votare’”. Secondo il quotidiano, però, la versione di Palazzo Chigi ieri sera era molto diversa, perché il patto veniva dato per fatto: accordo di maggioranza su legge elettorale e riforme istituzionali, dopo l’approvazione della legge di Stabilità, a gennaio”. Con il via libera ad una accelerazione sulla riforma del Porcellum, ma quando “tutte le finestre elettorali per votare in primavera saranno ben chiuse”. In cambio Letta si sarebbe impegnato a garantire la scelta bipolarista su cui convincere anche gli alfaniani, rassicurandoli sulla durata del governo anche nel 2015”.

Anche il Corriere scrive che il nodo resta la legge elettorale: confermato il pilastro di partenza, ovvero che tanto Letta che Renzi sono bipolaristi convinti, e che un Mattarellum riveduto e corretto potrebbe essere una base di partenza, il neosegretario resta contrario ad un intervento del governo. Per quel che riguarda Letta, il quotidiano sottolinea come il premier non intenda tagliare fuori Nuovo Centrodestra e Scelta Civica. “Sia chiaro, Matteo – avrebbe detto – che l’accordo va fatto con tutti gli azionisti di maggioranza nel merito e nel metodo”. E Renzi avrebbe risposto: “Enrico, ovviamente è auspicabile trovare un accordo con le forze di maggioranza, ma se Alfano dice di no io cerco i voti per la legge elettorale altrove con chiunque ci sta”.

Sulla stessa pagina, intervista al capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta, che dice: “la riforma elettorale è incardinata al Senato. Se quelli che vogliono un sistema maggioritario bipolare a Palazzo Madama – Grillo,. Forza Italia, Pd, Sel – si mettono d’accordo, basterebbe una settimana per cambiarla”. Secondo Brunetta “il vero discrimine” è tra “quanti vogliono tornare alla prima Repubblica – per me Letta e Alfano – e coloro che al contrario vogliono riaffermare il bipolarismo con il sistema maggioritario”.

Europa sottolinea che tanto Letta che Renzi sono due convinti bipolaristi, ma “il gioco del cerino” (o dello scalpo) è appena iniziato. Con Palazzo Chigi a fare da facilitatore per non trovarsi in una impasse pericolosa con il Nuovo centrodestra. E il rottamatore a spingere perché si faccia presto. Più presto che si può.

Sul Sole 24 Ore Roberto D’Alimonte, nel suo “osservatorio”, spiega che il modello elettorale preferito da Renzi, quello dei sindaci, ha una alternativa molto vicina, che può essere attuata senza modifiche costituzionali. Si tratta del doppio turno di lista, sistema già proposto da D’Alimonte molti mesi fa dalle colonne del quotidiano di Confindustria. “Ci sono buoni motivi per cui su una riforma del genere si possa realizzare un accordo tra Alfano e Renzi”, dice D’Alimonte.

Su La Stampa: “Alfano teme l’asse Cavaliere-Renzi sulla legge elettorale”, “lo scopo sarebbe il voto a primavera”.

 

La Repubblica intervista la responsabile giustizia nominata da Renzi, Alessia Morani: “Matteo me l’ha detto all’ultimo secondo, ero bersaniana ma lui rappresenta il futuro”. Domanda: “Cosa risponde ad Alfano che chiede che la giustizia venga inserita nel patto di governo?”. Risposta: “Le priorità sono la giustizia civile, che tiene lontani gli investitori stranieri, la battaglia contro il sovraffollamento delle carceri e una giustizia penale che metta fine agli abusi della carcerazione preventiva. La custodia cautelare sia l’extrema ratio. Trent’anni dopo il caso Tortora è l’ora di farlo. No all’amnistia e all’indulto”.

 

Pd, Renzi

 

Su La Repubblica intervista a Pierluigi Bersani. “Ma davvero abbiamo vinto a Bettola? Allora devo chiamare i ragazzi, ringraziarli”, dice Bersani. Di Renzi dice: “Mi piace la sua immediatezza, l’energia, lo slancio,la freschezza. Ora bisognerà vedere cosa ha in mente per il partito. In fondo il punto è quello di sempre: il Pd deve decidere se essere spazio o soggetto politico. E se essere impermeabile ai potentati”. “Renzi ha ottenuto una vittoria netta. Sono pronto a lavorare per il Pd. Nessuno gli metterà i bastoni tra le ruote. Ha chiesto disciplina, io sono qui”. Sulla frase di Renzi “è finita una classe dirigente”, Bersani dice: “Non si può usare la clava. Questa è una ruota, non c’è dubbio. Va benissimo il rinnovamento – e d’altra parte guardate ai nostri gruppi parlamentari – ma serve anche l’esperienza”.

 

Su Europa: “La ‘ditta’ sotto botta si lecca le ferite, ma si prepara alla battaglia”. Dove si legge che la sinistra Dem che fa capo a Cuperlo si aspettava appena il 25 per cento, ma ci si è fermati appena al 18. Si tratta ora di interrogarsi su “come rientrare in gioco” facendo contare quel 18 per cento. Cuperlo ieri ha avuto un lungo colloquio con Renzi, che ha già dalle prime ore sgombrato il campo da ogni ipotesi di scissione (“Non scenderemo dal treno”, “in spirito unitario non rinunceremo alla nostra idea di un partito più forte”)

Su La Stampa si racconta che il candidato della “sinistra” Cuperlo è stato in qualche modo “costretto” a rifiutare non solo due o tre posti in segreteria, ma anche la carica di presidente dell’Assemblea del Pd offertagli da Renzi. Il quotidiano spiega che subito i “colonnelli” di Cuperlo si erano spaccati in pezzi Si cita in proposito la dichiarazione del bersaniano Nico Stumpo: “La minoranza fa la minoranza”.

 

Sul Corriere della Sera in evidenza le parole di Emanuele Macaluso su quella che il quotidiano definisce “la fine della egemonia rossa”: “Sì, vedo che molti giornali e siti internet titolano sulla fine del Pci – dice Macaluso. Ma è una notizia vecchia. Il Pci non esiste più dal 1991, quando fu travolto dalle macerie del Muro”, ma “a mio a giudizio il Pci era morto già nell’estate del 1984, insieme con Enrico Berlinguer”, “domenica semmai è morto il Pd, almeno così come era nato. Io mi sono sempre rifiutato di chiamarlo partito. Era un aggregato di diessini che si erano illusi di poter governare il Paese aggregando un pezzo di Dc. Non poteva che finire miseramente”, “ricordo un editoriale di Eugenio Scalfari: siccome i Ds erano al capolinea e la Margherita pure non restava altro che la fusione. Ma la somma di due fallimenti non fa un successo”, “con Renzi ci sono uomini che hanno avuto un ruolo nel Pci: Fassino, Veltroni, gli stessi Chiamparino e De Luca. E il sindaco di Firenze ha potuto ‘scalare’ il partito proprio per l’inconsistenza degli avversari”. Tuttavia Macaluso sottolinea che “parlare del nuovo segretario come di un altro Berlusconi è una sciocchezza”, perché Renzi “non ha interessi privati, è una persona rispettabile. Ma appartiene a un’era politica del tutto nuova, in cui il livello culturale è drasticamente crollato”, “ora i politici di sinistra si giudicano da come affrontano i grillini nei talk show, e anche dall’aspetto fisico, mentre la sinistra storica era fatta di personaggi complessi, Togliatti era un intellettuale di livello europeo, un uomo che teneva testa a Stalin”.

 

Su L’Unità ci si sofferma sul “travaso di voti da Cuperlo a Renzi nei grandi centri”. “Bologna, Milano, Roma, e Genova”. E’ tra Emilia e Toscana, scrive L’Unità, che Renzi ha guadagnato di più in proporzione, con uno scarto che arriva al 30 per cento rispetto al voto degli iscritti. Contemporaneamente Cuperlo perde tra gli elettori il vantaggio del primo turno, polverizzando successi come quelli di Bologna, Roma, Milano e Genova, dove aveva vinto i Congressi.

Cuperlo ha il suo successo massimo tra Calabria e Basilicata, con numeri oltre il 30 per cento. Per quel che riguarda Bologna ed Emilia Cuperlo aveva vinto i congressi rispettivamente con il 43,5 e con il 51,8, contro il 42,3 e il 35 di Renzi: le primarie hanno sovvertito l’esito del voto degli iscritti in modo netto perché nella regione il sindaco ha ottenuto il 71 contro il 15 dello sfidante.

 

Sul Corriere della Sera si rileva come sia quasi una curiosa coincidenza che Matteo Renzi avesse fato appello agli elettori a portare dieci persone a votare. Ebbene, rispetto ai 297 mila tesserati che hanno votato come iscritti, ai gazebo delle primarie sono stati invece 2,9 milioni a mettersi in fila per votare il segretario Pd. Al di là della coincidenza, uno scarto così marcato, secondo gli studiosi dell’Istituto Cattaneo Piergiorgio Corbetta e Rinaldo Vignati indica “l’esistenza, intorno al partito, di un’area di elettorato di opinione in grado di mobilitarsi autonomamente, per adesione alle procedure partecipative delle primarie o per la simpatia e l’apprezzamento di un candidato”. Gli elettori dei gazebo non sono interessati “alla militanza tradizionale, né inquadrati nelle strutture di partito”. E se il rapporto di dieci a uno è già significativo, risulta ancora più elevato nelle regioni del nord e in quelle cosiddette rosse: in Lombardia i partecipanti alle primarie sono stati diciotto volte gli iscritti ai circoli, in Piemonte 17, in Emilia 15 e in Toscana 13. Al sud, al contrario, questo voto di opinione è risultato molto più ridotto: 4 in Sicilia, 5 in Campania. Ed è soprattutto nelle regioni rosse che elettori e militanti sono meno allineati: si pensi al successo di Renzi in Emilia (71 per cento) dove al voto dei circoli aveva vinto Cuperlo. Ricordano Corbetta e Vignati che nelle zone rosse il Pci negli anni 60 e 70 svolgeva una funzione per i ceti popolari, nei quartieri urbani di edilizia popolare e nelle città industriali: “agli immigrati che venivano dal sud, e che trovavano nel partito, dalle tombole per i bambini al liscio domenicale” si offriva un “potente fattore di integrazione sociale” secondo gli studiosi. Gli eredi del Pci, fino al Pd, sono rimasti un po’ “vittime” di questi successi elettorali: “il partito si è chiuso in se stesso, ha alimentato una struttura pesante, è diventato auto-referenziale”, “non ha saputo intercettare i nuovi ceti”. Ha vinto quindi nelle regioni rosse chi ha portato al voto un “di più”.

Su La Stampa: “Nelle ‘regioni rosse’ gli sconfitti sono gli iscritti”, “Toscana, Emilia e Umbria, cresce il divario tra i voti nei circoli e nei gazebo”. Si sottolinea come Civati abbia invece vinto nelle Regioni a Statuto speciale, e come l’unica provincia in cui Renzi non ha vinto è quella di Enna. Cuperlo ha vinto a Bettola, il paese di Bersani. Ma se nel 2012 votarono più di 260 persone, quest’anno sono state solo 94.

Sullo stesso quotidiano, una intervista a Matt Browne, consigliere per i rapporti transatlantici del Center for american progress di Washington, che ha coordinato le due visite di Renzi negli Usa. Dice: “I tre milioni di voti sono stati una affluenza che in pochi, anche in Italia, si aspettavano, e testimoniano la capacità di Renzi di attrarre anche persone lontane dal Pd”. Browne fa un parallelo tra Renzi e Justin Trudeau, classe 1971, diventato circa 6 mesi fa il nuovo leader del Liberal Party in Canada. “Anche lui è espressione di un rinnovamento di leadership e anche lui lavora sui contenuti. Il suo primo congresso si svolgerà a febbraio e Renzi potrebbe essere tra gli ospiti. Entrambi potrebbero rappresentare una nuova stagione per i progressisti, ma “ora devono riuscire a parlare a tutti, anche a chi non è progressista. La forza delle primarie 2008, che opposero Obama a Hillary, fu di generare un candidato capace di raccogliere voti lontano dai Democratici.

 

Forconi

 

I quotidiani tentano di spiegare da chi sia composto il movimento dei cosiddetti Forconi. Su La Stampa: “Estrema destra, squatter e ultrà, le larghe intese della violenza”, “nel capoluogo piemontese in piazza insieme granata e juventini oltre ai gruppi organizzati di Casa Pound e Forza Nuova”. Ma quando la polizia ha carica per disperdere chi stava distruggendo a sassate un’auto, davanti agli agenti sono comparsi poi anarchici e insurrezionalisti. Davanti agli agenti c’erano ambulanti che contestavano la Tares, tassisti e negozianti, autisti della GTT (l’azienda dei trasporti locali torinese) furibondi perché il Comune vuol cedere il 49 per cento della azienda di trasporto pubblico.

Hanno fatto scalpore poi le foto dei poliziotti che, per esempio a Torino, si sono tolti il casco: “via i caschi, baci, strette di mano” spiega il Corriere. Le questure di Genova e Torino hanno fatto sapere che si tratta di atti ordinari perché distensivi: “Un comportamento ordinario collegato al venire meno dei problemi di ordine pubblico”, dice il vicequestore di Genova. Ma il Siulp, sindacato di polizia un tempo considerato di sinistra non la pensa così: “Togliersi il casco – dice il segretario Felice Romano – in segno di manifesta solidarietà e totale condivisione delle ragioni a base della protesta odierna è un atto che per quanto simbolico dimostra che la misura è colma, e che i palazzi, gli apparati, e la stessa politica, sono lontani dai problemi reali dei cittadini e troppo indaffarati ai giochi di potere per la propria sopravvivenza e conservazione della casta”. Ed è ancora il Corriere ad interpellare direttamente un agente scelto del reparto mobile di polizia che ieri a Torino si è tolto il casco anti-sommossa: ha 38 anni, viene interpellato con un nome di fantasia, e dice: “Anche io ho tolto il casco, molto volentieri. I motivi della protesta li viviamo anche sulla nostra pelle. E se la situazione non cambia la disobbedienza civile rischia di dilagare anche tra le forze dell’ordine”, “i motivi che hanno spinto molta gente ieri a scendere in piazza li condividiamo. Le tasse sono troppo alte, gli stipendi bloccati, il disagio economico cui dobbiamo sottoporre le nostre famiglie li viviamo sulla nostra pelle”. Pensa che questo gesto simbolico possa dilagare? “Il rischio è molto alto. Noi agenti di polizia guadagniamo 1300 euro al mese, viviamo una situazione di estrema difficoltà, quando facciamo ordine pubblico stiamo tutto il giorno in strada, ci tagliano gli straordinari”. E spiega ancora: “Al di là degli estremisti di alcuni centri sociali e dei manifestanti di estrema destra che hanno creato qualche problema, io in piazza ho visto solo persone esasperate, persone che vivono un disagio economico grande, persone stanche. Certo, quando sono arrivate sotto il palazzo della Regione, dove certi personaggi hanno preso un sacco di soldi di rimborsi elettorali, la disperazione si è mescolata anche alla rabbia”.

Su L’Unità si scrive che sul sito web del “Coordinamento 9 dicembre 2013” la sezione “cosa vogliamo” è un calderone ribollente di rabbia anti-politica è “una chiamata generale alle armi contro l’Europa, le Banche, la ‘Kasta’, le tasse, e il nemico più inviso alla estrema destra, ovvero gli immigrati” (“l’Italia è il Paese adatto solo a chi viene a delinquere o a farsi mantenere dal nostro lavoro”). Poi Equitalia, politici scortati a fare la spesa, sigle autonome di autotrasportatori, coltivatori diretti, piccoli imprenditori che si dicono vessati da Equitalia. Insomma, chiunque aggiunge la propria recriminazione: dai malati di Stamina al “fronte di liberazione dai banchieri”, che chiede dimissioni in massa di tutta la classe politica e poi un periodo transitorio di guida del Paese da parte di una “commissione eletta dalle forze dell’ordine”.

A questa galassia nera si sono uniti poi anche gli agenti di polizia aderenti all’Ugl. Anche per questo ieri sul web sono circolate le notizie sulle forze dell’ordine schieratesi al fianco dei manifestanti. In realtà, quella di togliersi i caschi è stata semplicemente, secondo L’Unità, una scelta fatta per abbassare la tensione, come spiegato anche dalla Questura di Torino.

Sul blog di Grillo per tutto il giorno sono stati rilanciati video della giornata di ieri, commentati entusiasticamente da molti utenti che invitavano ad unirsi alla protesta.

Su Il Giornale Giordano Bruno Guerri commenta (“Il solito vizio italiano: bollare come fascista chi è fuori dal coro”) ed evoca Pasolini e la sua “invettiva contro gli studenti più agiati e borghesi dei poliziotti di Valle Giulia”

Da segnalare una intervista su Il Fatto a Stefano Delle Chiaie: “Italia serva delle banche, ora tocca ai camerati!”.

 

Internazionale

 

Sulla prima pagina de La Repubblica un intervento di Seymour N. Hersh, premio Pulitzer che accusa Obama di non aver “raccontato tutta la storia” quando ha cercato di sostenere che Assad era il responsabile dell’attacco chimico compiuto nei pressi di Damasco il 21 agosto. “In alcuni casi ha omesso importanti informazioni di intelligence, in altre hja presentato semplici ipotesi come se fossero fatti. Soprattutto non ha ammesso una cosa nota ai suoi servizi segreti, e cioè che non è solo l’esercito siriano ad avere accesso al Sarin”. Nei mesi precedenti, le agenzie di intelligence americane avevano prodotto rapporti altamente riservati con prove che il gruppo jiahadista affiliato ad Al Qaeda, Fronte al Nusra, possedeva le competenze tecniche per creare il sarin ed era in grado di fabbricarne in abbondanza.

Se ne parla anche sulla prima pagina de Il Foglio, secondo cui il racconto di Hersh non quadra, perché, come spiega l’esperto Eliot Higgins “Hersh appare ignaro di tutte quelle prove che confermano che quel tipo di razzo è in dotazione al governo siriano. Abbiamo video messi online dalle forze di difesa nazionale del governo siriano in cui sparano quei razzi”.

Sul Corriere della Sera: “Lettera dei giganti di Internet a Obama: ‘Basta con lo spionaggio dei nostri dati'”. Per il quotidiano è un “appello accorato” ma senza nessun impegno a limitare i dati che società come Google e Facebook accumulano per affari: le società temono di perdere la fiducia di centinaia di milioni di utenti di social network e motori di ricerca. Su La Repubblica: “I big di Internet in rivolta, ultimatum ad Obama: ‘Ora ferma le spie online'”, “Lettera aperta al presidente: ‘Diritti violati'”. Sulla pagina di fianco viene riprodotto invece l’appello sottoscritto da oltre 560 intellettuali di tutto il mondo a difesa della “inviolabile integrità dell’individuo” contro la “sorveglianza di massa”.

Sul Corriere della Sera, un richiamo in prima per le carte segrete della Stasi nei giorni concitati del 1989: “Il Muro e l’ordine: sparate sulla folla”, “la carte segrete della Stasi: usare mezzi speciali. Gorbaciov fermò tutti”.

Oggi a Soweto si terrà la commemorazione di Mandela: “principi e rockstar” gli diranno addio, scrive il Corriere. Da Obama a Castro, cento leader mondiali arriveranno in Sudafrica per la celebrazione, “tra vecchi rancori e nuove ironie”: non ci sarà il Dalai Lama, grande amico di Mandela, perché sgradito a Pechino, il presidente francese Hollande ci sarà, insieme al suo predecessore Sarkozy (che ha rifiutato un passaggio sul suo volo), per gli Usa ci saranno anche gli ex presidenti George W. Bush, Jimmy Carter e Bill Clinton; tra i 13 leader africani accreditati, ci sarà anche Robert Mugabe dello Zimbabwe, che Mandela spesso redarguì perché non voleva mollare il potere. E se fosse ancora vivo Gheddafi, sarebbe in prima fila, perché Mandela lo ha sempre difeso, visto che era un vecchio sostenitore della lotta all’apartheid.

In prima su Il Sole 24 Ore Alberto Negri ricorda: “Quando le multinazionali dissero no all’apartheid”. Incontri segreti: furono i capi di De Beeers e Anglo-American a negoziare con i dirigenti dell’African National Congress per accelerare la fine della segregazione. Il grande business puntava alla fine delle sanzioni internazionali contro il Sudafrica.

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