Quirinale, via alle consultazioni

Oggi il Corriere della Sera è in sciopero

La Repubblica: “Bersani: la mia proposta al Colle. Il segretario: pronto a governare, cercherò la fiducia alle Camere. Berlusconi: larghe intese o mobilitazione permanente. Napolitano avvia le consultazioni”. E poi: “La Sicilia abolisce le province”. A centro pagina: “Cipro dice no alla Ue, allarme sui mercati”.

La Stampa: “Quirinale, il rebus Bersani. Oggi al via le consultazioni. Il leader Pd: ‘Andiamo con la nostra proposta’. Il portavoce dei grillini apre a un ‘esterno’”. “Grasso e Boldrini: taglio dello stipendio dei parlamentari dal 30 al 50 per cento”. A centro pagina: “Rivoluzione Bergoglio: servire i deboli, questo è il potere”.

Europa: “Il M5S apre a un governo (se possiamo prenderli sul serio). Alla vigilia delle consultazioni uno dei commissari di Grillo boccia Bersani lasciando spiragli per ‘altri nomi’. Ma il Pd chiederà a Napolitano l’incarico per il segretario”.

Il Fatto quotidiano: “Parlamento pulito? 3 condannati e 46 indagati. I partiti avevano promesso liste immacolate, invece hanno escluso solo qualche imputato eccellente, riportando nelle Camere inquisiti anche per mafia, corruzione e così via. Il record è del Pdl (30) seguito a ruota dal Pd (8), dalla Lega (7) e dall’Udc (2). A centro pagina: “Effetto M5S, primi tagli alle Camere”.

L’Unità: “I tagli di Boldrini e Grasso”. E poi: “Bersani prepara la sua proposta di governo. Oggi le consultazioni di Napolitano, venerdì l’incarico”.

Il Giornale: “Flop dei Pm: Berlusconi non comprò senatori. Napoli: il gip nega il rito immediato: nell’inchiesta di Woodcock sul caso De Gregorio non ci sono prove di corruzione o forzature. L’unica impresentabile è l’Annunziata”. A centro pagina si parla della elezione ieri del capogruppo del Pd alla Camera, che ieri ha visto diverse defezioni tra i deputati: in 97 non hanno votato per Roberto Speranza, il candidato voluto da Bersani. “Bersani è al capolinea, neanche i suoi lo votano”.

Il Foglio: “Renzi prepara il pugnale per impedire a Bersani di andare subito alle elezioni”. “Le due linee del sindaco e del segretario, il governo istituzionale e le ipotesi per prendere tempo”

Il Sole 24 Ore: “Grilli: sui debiti della Pa Tesoro pronto al decreto. ‘Gli enti paghino subito, da noi controlli solo ex post’”. Di spalla: “Cipro, no al piano anti default. Sale la tensione nell’eurozona. Borse in calo, spread a 338. Squinzi: guai a toccare i risparmi”.

 

Libero: “Come salvare i soldi da Merkel e Bersani. Cipro dice no al prelievo nei conti: ora rischia il default. La minaccia per l’Italia non è finita: dall’oro ai quadri alle case Usa, qualche consiglio ai risparmiatori”.

 

Cipro

 

Su La Stampa le prime due pagine sono dedicate alla bocciatura da parte del Parlamento di Cipro delle misure indicate dalla Trojka . L’Eurogruppo dovrà riunirsi nelle prossime ore, e aspettare da Cipro una “proposta equivalente” a quella fatta dalla Commissione. Per salvare le banche di Cipro servono solo 16 miliardi (per quelle greche ne sono serviti 313). “A meno di un piano B, come un miracoloso prestito da parte della Russia o della Cina – scrive il quotidiano torinese – il sistema bancario di Cipro rischia di implodere. E la chiusura delle banche prorogata fino a tutto domani dal governatore della banca centrale di Cipro, potrebbe durare molto più a lungo.

Sullo stesso quotidiano si legge che “ora l’abbraccio con Mosca preoccupa i vertici di Bruxelles”: il ruolo della Russia è stato in qualche modo “sottovalutato” e ora Mosca “può sognare di conquistarsi una base finanziaria e non nel Mediterraneo con poco più di un pugno di noccioline”.

Su Il Sole 24 Ore Martin Wolf commenta le vicende di Cipro e della Ue (“Quel brutto pasticcio per l’euro”) e scrivo che alla “nazionalizzazione del credito” detenuto dalle banche ci sarebbe l’alternativa di una ricapitalizzazione diretta delle banche di Cipro da parte dell’eurozona (per cui la somma necessaria è cosa da poco). Se l’unione bancaria fosse stata già pronta e funzionante, è quello che sarebbe successo. Ma non è così perché, presumibilmente, i Paesi del nocciolo duro non vogliono essere costretti a intervenire in soccorso di sistemi bancari malgestiti, come quel rifiugio offshore per capitali russi che è il sistema bancario cipriota”. Wolf scrive anche che “è una sciocchezza” l’argomento usato da molti per cui “qualsiasi tassazione dei depositi è un furto”, perché “una banca non è un forziere”, ma un “gestore di attività, con una limitatissima capitalizzazione, che fa una promessa, quella di restituire ai depositanti i loro soldi su richiesta e secondo il loro valore: promessa che non sempre può essere mantenuta senza l’assistenza di uno Stato solvente. Chiunque presta denaro alle banche di questo deve essere consapevole”. Wolf scrive anche che la decisione di coprire “i depositi garantiti è un grosso errore”, ma “la decisione di statalizzare certi depositi non è stata un errore”. L’altro timore è quello per cui la tassa colpisce indiscriminatamente, senza distinguere tra banca e banca, disincentivando persino i grandi depositanti a monitorare la solvibilità del loro istituto”. Wolf scrfrive che l’Eurozona dovrà rendere il sistema creditizio “molto più robusto”, “incrementando enormemente i requisiti patrimoniali, oppure deve mettere insieme i bilanci degli Stati”. La cosa “spaventosa non è che la minuscola Cipro sia nei guai, ma che dalla minuscola Cipro nascano pericoli più ampi”.

Il Foglio scrive che la trojka avrebbe preferito che il governo cipriota promuovesse una tassazione solo sui depositi oltre i 100 mila euro, garantiti dallo Stato. Ma il presidente Nicos Anastasiades si è opposto per evitare di veder fuggire i grandi investitori russi – con un prelievo del 15,3 per cento”. I depositi sopra i 100 mila euro superano la metà dei depositi totali nell’isola: 38 miliardi su 68 totali, aggiunge Il Foglio. “Gli oligarchi russi hanno contribuito massicciamente a creare la bolla finanziaria che vale otto volte il Pil”.

 

Un governo

 

La Stampa scrive che il segretario Pd Bersani ha davanti a sé un bivio: “subito in campo o largo a un esploratore”. Perché “prende corpo l’ipotesi di rinviare l’incarico al segretario e mandare avanti qualcun altro per sondare i partiti”. Scrive il quotidiano che non si tratta di un “ripensamento”. E neanche di “un passo indietro”: per ora è solo la riflessione sulla via migliore per raggiungere lo stesso obiettivo, che resta sempre quello di un governo Bersani che coniughi la responsabilità reclamata dalla difficile situazione del Paese con il cambiamento richiesto dagli elettori. Ad esplorare le possibilità di dar vita ad un nuovo governo potrebbe essere il neopresidene del Senato Pietro Grasso.

La Repubblica scrive che la richiesta che Bersani porterà a Napolitano nelle consultazioni domani avrebbe questo tenore: voglio presentarmi alle Camere con un governo di cambiamento. Ma questo passaggio lo divide dal Presidente della Repubblica, visto che dalle consultazioni di questi giorni non uscirà una maggioranza certificata al Senato: M5S e Lega non daranno infatti un via libera ufficiale. Solo Scelta civica sarebbe pronta a pronunciare il suo sì davanti al Capo dello Stato. E a questo punto si prospetta quello che il quotidiano definisce “un braccio di ferro” tra il Quirinale e il Pd. La sostanza dei numeri non è cambiata: con i senatori di Monti il Pd può contare su 146 voti. Ne mancano 12 per avere la maggioranza assoluta. Bersani è convinto di poter colmare questo “buco” col programma e con una lista di ministri ispirata all’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, ovvero il “metodo Grasso-Boldrini”: “volti nuovi e a sorpresa”, con l’eccezione della casella per l’Economia già sicura per l’attuale direttore generale di Bakitalia Saccomanni. Si fanno quindi i nomi di possibili ministri: il fondatore di Slow Food Petrini, l’ex direttore di Confindustria e neodeputato Pd Galli, l’ex editorialista del Corriere ed ora senatore Mucchetti, il ministro Barca. Accanto a loro resistono gli identikit di Zagrebelsky e Rodotà, graditi ai 5 Stelle. Per agganciare i grillini il Pd è pronto a votare i candidati questori e vicepresidenti dei 5 Stelle, senza chiedere il sostegno ai propri candidati. Ma, come scrive La Stampa, i 5 Stelle non paiono schiodarsi dal loro no: Claudio Messora, inviato a Roma da Grillo per curare la comunicazione dei senatori grillini, ha ripetuto ieri che “il movimento non darà mai la fiducia ad un governo guidato da lui (Bersani) nemmeno se adotta il nostro programma, e nemmeno se cammina di notte sui ceci”. Sullo stesso quotidiano si parla del “piano B” di Napolitano: “Un governo di scopo che sia super partes”, “se dovesse fallire il tentativo di Bersani, il Presidente cercherà una soluzione per mantenere gli impegni con la Ue”. Ma alle pagine seguenti La Stampa completa il pensiero espresso dallo stesso Messora: “Su un esecutivo con persone esterne ragioneremo”.

 

Il Giornale, parlando ancora delle trattative, scrive: “La sinistra ritenta il metodo Grasso: Bonino al Colle”. Dove si legge che Pd e Sel puntano sulla radicale, ma Grillo la detesta.

 

Su Il Giornale, parlando dell’incarico “difficile” a Bersani, si scrive che “il duello con Re Giorgio arriva alla battaglia finale, perché i due sono agli antipodi: “Napolitano vuole arginare Grillo, Bersani lo corteggia”. Se Bersani vuole l’incarico a tutti i costi, pieno e senza riserva, così da andare direttamente in Parlamento e conquistarsi, se non una maggioranza, quantomeno il diritto di sedersi a Palazzo Chigi e condurre il Paese a nuove elezioni, Napolitano sa che questo non è possibile, che serve una maggioranza. Non una maggioranza qualsiasi, visto che Grillo non accetterà accordi, e quindi qualsiasi accordo deve coinvolgere il Pdl e Scelta civica.

 

L’Unità si sofferma anche sul ruolo della Lega, da cui, scrive, arrivano segnali contraddittori. Da un lato il Carroccio ha deciso di andare alle consultazioni al Quirinale insieme al Pdl, il che significa che non farà nulla che non sia stato concordato con Berlusconi. Dall’altro, lo stesso Maroni, assicurando lealtà agli alleati, aggiungeva in queste ore: come governatore della Lombardia sono interessato ad avere un interlocutore. Una Lega con fiducia tecnica consentirebbe a Bersani di arrivare alla fatidica soglia dei 160 sì, al netto dei senatori a vita.

 

Su La Repubblica, una intervista ad Andrea Cecconi, 28 anni, neodeputato del Movimento 5 Stelle. Degli otto punti di Bersani dice: “Li trovo risibili, davvero poca cosa”. Non esclude di sedersi ad un tavolo con il Pd perché “bisogna parlare con tutti”. Serve, proprio perché risibili gli otto punti, “mettersi a un tavolo e tirar fuori le cose che si possono fare sul serio. Ma non possiamo neanche dare fiducia ad un governo del Pd. Sarebbe troppo difficile toglierla”. Spiega Cecconi: “Se ti metti d’accordo su un obiettivo, come ad esempio il dimezzamento dei parlamentari, poi devi fare una riforma costituzionale, deve passare due volte da Camera e Senato, e ci vuole un anno. E in quell’anno nel frattempo il governo può fare di tutto, e tu sei spinto a tener duro per portare a casa quanto promesso. Loro sono furbissimi, non possiamo fidarci”. Quindi cosa si può fare? “Vediamo cosa ci propone Napolitano. Servirebbe un governo con delle persone scelte con lo stesso criterio con cui si è arrivati a Laura Boldrini e Pietro Grasso, persone fuori dal sistema, lontane dai partiti”. Votereste un governo della società civile? Cecconi: “Votarlo magari no, ma ci sono tanti modi. Si può uscire dall’aula, abbassare il numero legale. Non c’è bisogno di dare per forza la fiducia, quella è una cosa che vedo davvero difficile”. Cecconi viene da Pesaro, città amministrata da sempre dalla sinistra: “non mi piacciono i loro modi, la logica spartitoria con cui gestiscono il potere”, dice, spiegando che i suoi genitori sono di sinistra, e ricordando di aver frequentato i circoli Arci. Li ha mai votati? “No”. Alle comunali ho dato il voto a una lista civica che era legata a Grillo. Alle politiche finora non avevo mai votato, non li sopporto”.

 

Intanto i neopresidenti delle Camere Grasso e Boldrini, come riferisce anche Il Sole 24 Ore, hanno deciso di adottare da subito un taglio dei propri emolumenti per un importo complessivo del 30 per cento. Analoga riduzione sarà proposta per le altre cariche interne sulle indennità di ufficio e su altre attribuzioni, alcune delle quali potrebbero essere soppresse, come i fondi per spese di rappresentanza. I neopresidenti vogliono anche che le Camere lavorino cinque giorni su sette, per un totale di 96 ore a settimana.

 

Su L’Unità, in riferimento all’elezione dei due capigruppo Pd di Camera e Senato: “Il Pd cambia. Zanda e Speranza capigruppo”. Luigi Zanda al Senato, con una sola astensione. Roberto Speranza, 34 anni, guida il gruppo alla Camera. 70 per cento dei consensi, il che significa 200 voti a favore, 53 bianche, 6 nulle, 25 voti dispersi. Segnali di “mal di pancia” interni al Pd, scrive L’Unità. Anche su La Repubblica: “Pd, ok ai capigruppo, ma i deputati si spaccano”. Speranza viene definito “un giovane bersaniano di ferro”. Il quotidiano accusa i renziani. Ma malumori si sono registrati anche tra i supporter di Franceschini, capogruppo uscente che era stato in pole position come presidente della Camera. Il quotidiano intervista Civati, che riconosce le doti di Speranza, ma obietta: “Non mi è piaciuto il metodo”. Ma Speranza è un segnale del cambiamento voluto da Bersani, osserva il cronista. Civati: “è un rinnovamento garantito, molto pilotato”.

Su Il Giornale: “Bersani azzoppato dai suoi. In 97 gli votano contro”. E sull’elezione di Zanda capogruppo: “Il Pd incorona il falco Zanda solo per far fuori Berlusconi”: per il quotidiano, infatti, il merito principale del neocapogruppo è quello di ave firmato l’appello per l’ineleggibilità del Cav e dunque “così i democratici si offrono ai grillini”. Il quotidiano sottolinea anche che il brutto segnale dei “franchi tiratori” Pd sull’elezione del capogruppo Speranza è arrivato nel giorno in cui trapelavano i dati di un sondaggio “clamoroso” di Swg: in alleanza con Sel e Monti, Bersani raccoglierebbe il 29 per cento dei voti, mentre Matteo Renzi, senza Sel, ne otterebbe il 44 per cento. Con Grillo al 40 per cento nel primo caso, e al 30 nel secondo. Con il Pdl al 26 per cento con Bersani. Se invece ci fosse in campo Renzi, il centrodestra verrebbe “letteralmente spolpato”, poiché si fermerebbe al 19 per cento.

 

Berlusconi-De Gregorio

 

E’ Il Giornale a dare rilievo alla notizia che il Gip di Napoli ha respinto la richiesta di processo immediato per Berlusconi, indagato per corruzione nella vicenda del passaggio di Sergio De Gregorio dall’Idv al Pdl. La Gip Marina Cimma scrive, a proposito delle dichiarazioni di De Gregorio, che “la prova circa l’esistenza di un accordo corruttivo è tutt’altro che evidente, attesa la genericità” delle stesse dichiarazioni. Il fascicolo ritorna insomma ai Pm, che dovranno seguire l’iter ordinario: avviso di chiusura delle indagini ed eventuale richiesta di rinvio a giudizio.

Il Fatto scrive che “le prove raccolte dai pm di Napoli contro il leader del Pdl, Valter Lavitola e Sergio De Gregorio, almeno sul reato di corruzione, non sono così evidenti da permettere un processo immediato”. Il Gip potrebbe ritenere le stesse prove “sufficienti per un giudizio ordinario per corruzione”, ma questo potrà accadere solo all’esito dell’udienza preliminare. Domani i pm napoletani presenteranno con tutta probabilità l’avviso di chiusura delle indagini e pochi giorni dopo seguirà la richiesta di rinvio a giudizio ordinario al Gip. Ora la richiesta di arresto temuta dal Pdl diventa sempre meno probabile”, se “la prova non è evidente”.

 

Papa

 

Il Giornale riproduce l’omelia inaugurale del pontificato di Papa Francesco, che così riassume nel titolo: “Cari potenti, servite i deboli. E custodite tutto il creato”.

La Repubblica intervista il filosofo Massimo Cacciari, che dice: “E’ un pontefice pronto a stupire, ma nel campo dei temi etici non farà strappi alla dottrina”. Bergoglio gli ricorda l’ex arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini: come lui ha capito che la Chiesa prima di giudicare deve perdonare. Di fianco, intervista al guru della new economy Jeremy Rifkin: “L’appello a salvare l’ambiente coerente con il nome Francesco, ora tutti i cattolici lo seguano”.

 

Internazionale

 

Arriva oggi a Gerusalemme Barack Obama. Scrive Il Sole 24 Ore che è il suo primo viaggio in Medio Oriente e dunque c’è una valenza storica in questa visita, che lo porterà anche a Ramallah ed Amman. Nei giorni scorsi sul Nytimes Friedman si chiedeva se sarebbe stato solo un viaggio da turista. Il primo ministro Netanyahu incontrerà Obama nel tardo pomeriggio di oggi, ed ha chiesto che si stabilisca una “linea rossa”, una scadenza per verificare che l’Iran abbadoni i suoi propositi per la costruzione di una bomba atomica. Se la scadenza non sarà rispettata Israele, con l’appoggio Usa, dovrebbe essere autorizzata ad attaccare gli impianti nucleari: “Ma Obama resiste. Nel suo incontro con Netanyhau chiederà tempo, e prometterà una azione diplomatico-economica incisiva. C’è poi la questione dei due Stati: anche se non ci si aspetta un rilancio del dialogo per la pace, Abu Mazen, durante il vertice di Ramallah, chiederà ad Obama di far sì che la proclamazione simbolica di uno Stato palestinese dell’anno scorso all’Onu, si traduca nella creazione di uno Stato vero e proprio, poiché l’espansionismo israeliano in Cisgiordania di fatto elimina la possibilità che uno Stato palestinese, già spaccato in due, possa davvero esistere. Una analisi di fianco sullo stesso quotidiano di Ugo Tramballi evidenzia come i colloqui di pace restino “solo sullo sfondo”. Anche perché “tutti i ministri con competenze dirette sulla questione palestinese del nuovo governo Netanyahu appartengono alla destra nazionalista: Moshe Yalon, il nuovo ministro della Difesa, ex capo dell’intelligence militare, delle forze armate e vicepremier, non vuol fare un solo passo per spingere i palestinesi al dialogo perché non crede che uno Stato palestinese debba nascere. Ma sulla questione iraniana è contrario ad un attacco ai siti nucleari. Non lo ritiene efficace, come la gran parte dei generali.

Anche per L’Unità: “Obama-Netanyahu, nemici d’istinto, amici per forza”, dove si ricordano le occasioni di tensione, come le parole di Netanyahu nel 2011, nello Studio Ovale, quando rimproverò Obama in pubblico per la proposta di creare uno Stato palestinese con le frontiere della guerra dei sei giorni del 1967. Altro episodio rimasto impresso è stato il sostegno di Netanyahu al candidato Romney. E la stampa israeliana si chiede se Obama vorrà vendicarsi. Di certo, al momento, solo un israeliano su 10, secondo il Maariv – ha un atteggiamento favorevole nei confronti di Obama. In molti non hanno dimenticato lo “sgarbo” del 2009, quando il Presidente preferì non visitare Israele durante il suo viaggio in Medio Oriente. Con Netanyahu resta il nodo degli insediamenti. Obama renderà omaggio alla tomba di Herzl, il padre del sionismo.

Il Foglio scrive che Obama non parlerà alla Knesset, come invece avevano fatto Clinton e Bush: teme la protesta dei deputati di destra, che intendono denunciare la trentennale carcerazione di Jonathan Pollard, agente del Mossad, detenuto negli Usa.

 

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