Grillo: niente fiducia o mi ritiro

Il Corriere della Sera: “Pdl, salta la protesta anti pm. Berlusconi ai parlamentari: non andate al Tribunale di Milano. Oggi il processo Ruby. Grillo: se M5S vota la fiducia mi ritiro dalla politica”. In alto, il Conclave: “Omelie e grandi manovre. I cardinali nelle chiese romane. La giornata dei papabili tra i fedeli alla vigilia del primo voto. O’Mally: ma io torno a Boston”.

 

La Repubblica: “Grillo: mai con il Pd o mollo tutto. ‘Vogliamo il governo’. Berlusconi rinuncia al sit-in davanti al Tribunale. Nuovo appello di Saviano, Benigni e Serra: accordo possibile. Tension nei democratici, comunicato ufficiale su Renzi. Il sindaco: stupito”. A centro pagina: “Conclave, la partita si riapre, c’è Dolan a sorpresa su Scola”. In prima anche la notizia che l’ex ministro Tremonti è indagato per finanziamento illecito a un parlamentare. “Fondi illeciti sulla casa. P4, indagato Tremonti”.

 

La Stampa: “Grillo, chiusura totale al Pd. Nel vertice di ieri bocciata la marcia verso le Camere. La risposta dei democratici: un dispetto al Paese, ne risponderanno gli elettori. ‘A Napolitano chiediamo un governo a 5 Stelle’. L’ex comico: se votate la fiducia mi ritiro”. In alto: “Scola è in testa, ma è a metà del quorum”, con foto dei “quattro porporati che partono favoriti”. Con Scola, gli altri “favoriti” sono Schrerer, Dolan e Ouellet.

 

L’Unità: “Il governo? ‘Facciamolo’. Un appello per ‘non fermare il cambiamento’. Tanti 5 Stelle aprono al Pd, ma Grillo li blocca”. In prima le foto di Benigni, don Ciotti, Jovanotti, Saviano, Serra.

 

Il Fatto quotidiano: “Il Papa è vicino, il governo è lontano”.

 

Il Giornale: “Patto segreto anti-Berlusconi. Serve un fuoco incrociato di condanne per decapitare il centrodestra prima del ritorno alle urne. Il Cav resta in ospedale ma blocca il sit-in contro le toghe. E il Pdl minaccia di uscire dal Parlamento. Grillo avverte i suoi: se date la fiducia al Pd lascio la politica”.

 

Grillo

 

Su La Repubblica Ilvo Diamanti torna a leggere i flussi elettorali che hanno favorito l’ascesa del movimento di Grillo, a scapito di centrodestra e centrosinistra. M5S diventa come la vecchia Dc, ovvero interclassista. Dove si spiega che centrosinistra e centrodestra hanno perduto la loro base sociale di riferimento: il centrodestra, i ceti produttivi privati, gli imprenditori, gli operai delle piccole e medie imprese private, oltre che il consenso delle aree del mezzogiorno un tempo “protette” dallo Stato, il centrosinistra i ceti medi tecnici e impiegatizi. Il centrodestra “popolare” ha perduto quindi peso tra gli impreditori e i lavoratori autonomi rispetto alle elezioni del 2008, dove è passato dal 68 al 35 per cento e – per quel che riguarda gli operai – dal 53 al 26 per cento. Tra i disoccupati gli elettori di centrodestra sono calati dal 47 al 26 per cento. Quanto al centrosinistra, è riuscito ad ottenere solo il 35 per cento tra il personale tecnico e impiegatizio, ovvero il 12 per cento in meno del 2008. Ha ottenuto poi il 32 per cento nei consensi dei liberi professionisti, 10 in meno delle precedenti elezioni. Il M5S ha quindi assunto una struttura sociale interclassista: è primo fra gli imprenditori, i lavoratori autonomi, gli operai (40 per cento) ma anche tra i disoccupati (43 per cento). Raccoglie consensi per il 31 per cento tra i liberi professionisti e per il 29 per cento tra gli studenti.

Ieri i parlamentari 5 Stelle si sono visti in un albergo di Roma e i cronisti hanno più volte tentato di avvinarli. Ma, come racconta La Repubblica, ad ogni tentativo intervenivano i membri dello “staff”, con tanto di cartellino, ad invitarli ad astenersi da dichiarazioni e a rientrare in riunione. Tutte le dichiarazioni che sono sembrate più o meno aperturiste sono state poi archiviate con un tweet dello stesso Grillo: qualora ci fosse un voto di fiducia dei gruppi parlamentari a chi ha distrutto l’Italia, serenamente mi ritirerò dalla politica”.

Lo stesso quotidiano spiega che però Bersani non ha ancora rinunciato, che punta su quelli che il quotidiano definisce i “grillini del dialogo” e che ha incaricato una serie di personalità del Pd, tra cui il suo capo della segreteria Maurizio Migliavacca, di contattare i capigruppo del M5S. L’offerta di Bersani punta anche sulle presidenze di Camera e Senato ai grillini, e non a caso tanto Grillo che Casaleggio hanno fatto sapere ai loro parlamentari di ritenere “inaccettabile” anche solo l’idea di ricevere i voti del Pd per le presidenze delle due Camere. Anche il governatore dell’Emilia Romagna Errani continua a sondare i grillini.

Anche Il Fatto ha seguito l’assemblea dei parlamentari grillini, scrive che al Colle presenteranno un proprio premier e che da oggi inizieranno gli adempimenti formali per l’ingresso nelle due Camere. Il capogruppo 5S al Senato Crimi li ha invitati a fare le cose con calma, “come si fa per ogni contratto di lavoro: prendere i documenti, leggerli con attenzione, perché il terrore è quello di dire sì a privilegi che li equiparerebbero ai colleghi della ‘casta’. Per questo hanno deciso di modificare il regolamento del Movimento, che prevede che vengano restituiti solo 2500 euro dell’indennità. Non vogliono lasciare il loro codice Iban al primo commesso che incontrano.

Il Corriere si occupa del neodeputato Ivan Catalano che, rispondendo ad una domanda dei giornalisti, ha scatenato il caos su cui poi Grillo ha messo la parola fine. Le sue parole: “Un governo, alla fine, si farà. Qualcuno prenderà la decisione di farlo. Noi abbiamo espresso la nostra linea, vedremo come andranno le cose, la palla di cristallo qui non ce l’ha nessuno. L’alleanza con Bersani? Su questa cosa il mondo del Movimento è in fermento da giorni, quindi… la consultazione interna c’è sempre, tutti i giorni”. Catalano è stato uno dei promotori del Meetup di Beppe Grillo di Busto, è un perito tecnico, si è contraddistinto per la battaglia contro l’inceneritore Accam.

 

Napolitano

 

Restiamo al Corriere per segnalare la risposta del portavoce del Quirinale Pasquale Cascella all’appello che era stato lanciato dallo stesso quotidiano, con un editoriale del direttore De Bortoli, per una permanenza, anche “almeno per un po’”, di Napolitano al Colle: “Una regola di rispetto della persona e della istituzione – ha twittato Cascella – consiglierebbe di considerare la questione chiusa”. Cascella ha anche ricordato un comunicato del Quirinale del 21 febbraio in cui Napolitano indicava “le ragioni istituzionali e personali per cui non si ritiene ipotizzabile una riproposizione del suo nome per la Presidenza della Repubblica”. L’episodio ha scatenato anche il dibattito tra i costituzionalisti sulla possibile rielezione del Presidente, che non ha precedenti nella nostra storia, ma che dalla dottrina sarebbe ammessa. Agostino Carrino, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all’Università di Napoli, rilancia l’idea di De Bortoli: il 15 aprile Napolitano viene rieletto dal Parlamento in seduta comune e poi ha la possibilità di sciogliere le Camere. Indice nuove elezioni, da fare con una nuova legge elettorale.

Il quotidiano intervista anche l’ex presidente della Consulta Cesare Mirabelli, che dice: “C’è il principio della solidarietà politica, la Costituzione lo prevede all’articolo 2, credo che lo stesso presidente Napolitano, se coralmente le forze politiche e l’opinione pubblica glielo chiedessero, sarebbe moralmente costretto ad accettare un secondo incarico”. Quanto alla questione dell’età, invocata dallo stesso Napolitano, il Presidente potrebbe “fare come Benedetto XVI”, ovvero lasciare il mandato quando dovesse ritenere che le forze non siano più adeguate all’impegno gravoso”. Un incarico a tempo? “No. L’incarico non deve essere né a termine né a scopo. Ciò non toglie che lui possa interromperlo”.

 

Pd

 

“Che cosa deve fare il Pd?”, si chiede Antonio Polito, che firma l’editoriale del Corriere della Sera e che tratteggia le visioni diverse di Renzi e Bersani. Bersani e il suo gruppo dirigente “si muovono infatti come se fossero convinti che i voti del Pd e quelli del Movimento 5 Stelle siano intercambiabili. Gli appelli degli intellettuali di area ne sono la prova. L’idea è che, in realtà, la sinistra ha vinto le elezioni, solo che si è divisa a causa di una eccessiva timidezza del Pd”, e dunque “basta riunificarla sotto le bandiere di un maggiore radicalismo”. Renzi invece non crede nella possibilità di un accordo con il M5S, e crede anche che non sarebbe nell’interesse del suo partito. “Renzi pensa di poter battere grillo sul suo stesso terreno, da solo ed in campo aperto”. Entrambe le visioni “sottovalutano la forza della destra, che pure ah appena preso alle elezioni gli stessi voti della sinistra”.

Nelle pagine interne si parla della “stoccata” del Pd a Renzi, che sabato, intervistato da Che tempo che fa, aveva chiesto al Pd di inserire l’abolizione del finanziamento pubblico tra i punti di dialogo con il M5S. “La nota: no all’abrogazione, è garanzia di trasparenza”. Il comunicato del Pd di ieri diceva: “Chi ha seguito i lavori della Direzione nazionale del Pd sa bene che il tema del finanziamento dei partiti è ben compreso negli otto punti approvati all’unanimità. Siamo intenzionati e pronti a rivedere il finanziamento ai partiti dentro a norme che riguardino anche essenziali garanzie di trasparenza e di democrazia nella loro vita interna. In una democrazia costituzionale una formazione politica che si presenta alle elezioni per governare dovrà pur dare qualche garanzia democratica. O forse è questo un tema meno rilevante rispetto a quello dei finanziamenti?”. Un altro articolo racconta delle intenzioni di Renzi: “’Fino all’ultimo mi comporterò come un bravo soldatino’”. Renzi non scommette un ero sul tentativo di Bersani, ma non lo ostacolerà. Sa che la partita che si apre adesso è complessa, tifa per le elezioni n tempi ravvicinati e dice, secondo il quotidiano: “Se voto deve essere che sia ad ottobre, e persino a giugno, basta che non si tenga a febbraio o marzo del prossimo anno, perché rischia di incrociarsi con il congresso del Pd. Il congresso per statuto si dovrebbe tenere in autunno, ma in caso di elezioni ad ottobre Renzi chiederebbe di rinviarlo causa primarie ed elezioni. Renzi inoltre si sarebbe fatto fare da un amico fidato uno studio sulla situazione economica del Pd. “Nel report in questione si trovano dei numeri impressionanti: 14 persone all’ufficio stampa del Partito, 3 persone addette solo a Rosy Bindi, che ha anche un aiuto alla Camera e una portavoce che – è scritto nel rapporto – non si è capito chi paga. Il meno importante dei dirigenti Pd ha almeno due segretarie e 3500 euro di stipendio. Lievitano se ti chiamo Nico Stumpo, e sotto di te, nel settore organizzativo del Pd, guidi otto persone tra segretari, funzionari e collaboratori. Nel rapporto si fanno le pulci a tutti, al direttore di Youdem, la pasionaria di Bersani Chiara Geloni, a Matteo Orfini al tesoriere Antonio Misiani: un lungo elenco di nomi con accanto retribuzione, eventuali secondi contratti e precisazioni sui costi dell’alloggio”.

Su L’Unità si parla dell’appello dal titolo “Facciamolo” promosso da personalità come don Andrea Galo, Lorenzo Jovanotti, Roberto Benigni, il fondatore di Slow Food Petrini, Michele Serra, Roberto Saviano ed altri. “L’appello diffuso attraverso i social network non entra nel merito della scelta del Quirinale su chi debba avviare le consultazioni, si limita a chiedere un “esecutivo di alto profilo” che rispetti il il risultato delle urne. I 10 firmatari chiedono perciò “che si rispettata la volontà popolare sortita dal voto del 24 e 35 febbraio”.

 

Berlusconi

 

La Stampa scrive che a “pretendere la messinscena” davanti a Palazzo di Giustizia era stato lo stesso Berlusconi (“falso che glielo abbia chiesto il partito”), ma poi ha cambiato idea, dopo un incontro con il suo avvocato Ghedini, con il quale ha “redatto la lunga dichiarazione sulle prime intesa come una retromarcia. E in parte certamente lo è per quanto riguarda il folcklore: niente più adunata sediziosa di un terzo del Parlamento contro i giudici milanesi, in nome di un impossibile trasferimento ‘altrove’ dei processi berlusconiani”. Secondo il quotidiano i parlamentari del Pdl minaccerebbero di disertare il Parlamento quando si eleggeranno i presidente di Camera e Senato.

Il Giornale: “Berlusconi dice no alla piazza. ‘Ho rispetto per le istituzioni’. Il leader Pdl stoppa a sorpresa la manifestazione di oggi al tribunale di Milano”. Secondo Il Giornale nella decisione finale del Cav potrebbe aver avuto un ruolo il presidente della Repubblica. Un altro articolo spiega che nelle prossime ore Alfano, Cicchitto e Gasparri dovrebbero incontrare Napolitano, “per parlare dell’assedio dei pm al Cavaliere”, e si sofferma sulla preparazione dell’ “Aventino”: “Se davvero l’internazione è quella di far passare un presidente della Camera Pd (Franceschini) e uno del Senato di Scelta Civica (Mauro), allora meglio sfilarsi subito e mettere in chiaro in maniera inconfutabile la propria contrarietà. Aventino, dunque. A partire dalle consultazioni, visto che – a oggi – l’idea è quella di partecipare solo al primo giro per formalizzare al Quirinale la volontà di tornare al voto a giugno. Poi più niente”.

 

Conclave

 

Si apre domani il Conclave, e tutti i quotidiani offrono ritratti dei “papabili” e analisi sull’evento. Su La Stampa il vaticanista Andrea Tornielli scrive che quando per la prima volta i 115 elettori si chiuderanno a votare nella Sistina, un buon numero dei voti – secondo alcuni 35, secondo altri 40 – dovrebbe andare all’arcivescovo di Milano Scola. Un altro candidato che dovrebbe coagulare attorno a sé dei consensi è l’arcivescovo di San Paolo Scherer, con una lunga esperienza. Indiscrezioni gli assegnano circa 25 voti. Un terzo candidato che potrebbe risultate segnalato fin dall’inizio è il canadese Ouellet, prefetto della congregazione dei vescovi, su cui potrebbero convergere voti dall’America Latina e dagli Usa (una dozzina). Ieri peraltro i cardinali elettori hanno celebrato la messa in alcune chiese della capitale, e il quotidiano riassume il senso dei loro messaggi nel corso delle omelie, da Angelo Scola (“Il nuovo Papa segua le orme dei predecessori”) all’arcivescovo di Boston O’Malley (che ha fatto un richiamo all’unità), da Scherer (“per il futuro serve riconciliazione) a Schonborn, arcivescovo di Vienna (“Il rinnovamento è cominciato con le dimissioni”).

Anche il Corriere della Sera è andato ad ascoltare le omelie dei cardinali elettori. Scola: “Peccati anche tra uomini della Chiesa. Si deve trovare l’energia per cambiare”. Scherer: “Abbiamo fiducia per il futuro, è il momento della riconciliazione”. E Dolan, il cardinale di New York che ha tenuto una celebrazione “gioiosa”.

L’Unità racconta di come Dolan abbia scherzato con i cronisti: chi pensa che sarò Papa deve aver fumato marjuana.

La Repubblica si occupa proprio di Dolan, considerandolo un “candidato ombra”. Su di lui sarebbero pronti a confluire non solo i suoi connazionali ma diversi vescovi italiani per diversi motivi ostili alla Curia romana e favorevoli a un papato più alla Woytila (carisma ed energia) rispetto all’ipotesi Scola: Angelo Bagnasco (Genova), Giuseppe Betori (Firenze) Carlo Caffarra (Bologna), Crescenzio Sepe (Napoli). Certo, scrive il quotidiano, Scola vanta un buon pacchetto inziale di voti, e resta il candidato di diversi extraeuropei e di molti Mitteleuropei, primo tra tutti il “progressista moderato” e primate di Vienna Schonborn. Dopo il primo scrutinio, il fronte anti-Curia potrebbe per l’appunto scegliere tra lui e Scola.

Ancora da La Stampa segnaliamo una pagina dedicata al ruolo delle donne e delle religiose nella Chiesa: il 53 per cento dei cattolici Usa è favorevole al sacerdozio femminile, ma per molti nel Conclave è ancora un tabù. Religiose come suor Maria Barbagallo chiedono di essere valorizzate.

 

Inchieste

 

La Repubblica racconta che ieri i pubblici ministeri che a Napoli indagano sulle ipotesi di compravendita di eletti da parte del centrodestra – che vede indagato l’ex presidente del Consiglo Berlusconi, il senatore ex Idv De Gregorio e l’ex direttore dell’Avanti Lavitola – hanno ascoltato anche il senatore del Pd Paolo Rossi. Secondo il quotidiano i pm potrebbero già oggi depositare al giudice la richiesta di processo immediato nei confronti dei tre indagati, poiché dalle indagini sarebbe già emersa quella evidenza della prova che consentirebbe di saltare anche il filtro della udienza preliminare. Paolo Rossi è stato ascoltato in quanto indicato dalla capogruppo Pd Finocchiaro come uno dei parlamentari avvicinati dal centrodestra per ribaltare la maggioranza del governo Prodi: Rossi avrebbe confermato di essere stato contattato nel 2007 da esponenti della opposizione, i quali ne sondarono la disponibilità a votare contro l’esecutivo, ricevendone un rifiuto.

 

Internazionale

 

L’inserto R2 de La Repubblica offre ai lettori un reportage dalla Corea del Sud poiché, sessanta anni dopo la sospensione della guerra tra la Corea del Nord e quella del Sud, PyngYang ha deciso di considerare decaduta la tregua. Oggi scade l’ultimatum lanciato dal leader norcoreano Kim Yong Un a Usa e Corea del Sud, impegnate nelle consuete manovre militari di primavera, che non sono altro che prove generali di invasione.

La Stampa dedica una intera pagina alla Turchia per raccontare la rivoluzione del premier turco Erdogan. Più che una islamizzazione, è una rivoluzione culturale, “più velo e meno libertà”. Si ripercorrono dunque le decisioni più importanti del governo del partito islamico moderato Akp (dalle scuole islamiche al velo per le donne, dall’invito a fare figli alle pressioni sui media). Il quotidiano intervista un intellettuale che è stato minacciato e processato e che ha pubblicato libri proibiti sul genocidio armeno e la questione curda, Rakip Zarakoglu. Nel 2006 definì l’Akp una alternativa allo strapotere dei militari. La pensa ancora così? “Il 2006 era un anno molto particolare, c’era una vera strategia della tensione in atto”, ma il problema è che “il sistema è rimasto autoritario”. Pensa che la Turchia si stia islamizzando? “No, perché la struttura sociale è fortemente laica. Concordo invece con chi vede dei rischi e dei limiti nel processo di democratizzazione”.

Raimondo Bultrini (La Repubblica) intervista la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi, che conferma che si candiderà alla Presidenza del Paese. Ma il cronista racconta anche la delusione dei suoi seguaci, che accusano la leader di eccessivo verticismo, scarsa tolleranza verso il dissenso interno, mancanza di democrazia nella scelta della leadership del partito ma soprattutto silenzio sul tema dei diritti umani nel Paese, ovvero sul conflitto in corso nello Stato che riguarda le popolazioni Kachin o sul regime di segregazione tra le comunità buddiste e i musulmani dell’Arakan.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *