La presa di Kiev antipasto del trionfo della “Terza Roma”. A chi parla Dugin

La visione messianica dell'ideologo coincide con quella del Patriarcato. E Putin?

Dopo circa un mese di guerra è difficile non temere un’estensione del conflitto, sebbene basti e avanzi quello che c’è. Ma Mosca sta incontrando impensabili difficoltà nel conflitto convenzionale. Se si accontentasse di Mariupol avrebbe di fatto fondato in Ucraina, secondo il suo linguaggio, una Russia antirussa, mettendo a rischio la stessa tenuta dell’unità della Federazione Russa. Se questo fosse il rischio potrebbe non considerare un conflitto non convenzionale? Ma per farlo, o per farci temere che lo possa fare, occorre qualcosa di “sacro”, o sacrilego. Ecco perché le parole di Alexandr Dugin vanno lette e capite. Alexandr Dugin non è Vladimir Putin, ma certo il rapporto tra i due è solido. Dugin ne sarebbe un ascoltato consigliere e molte sue formule o proposte riecheggiano da anni nelle dichiarazioni del presidente russo. Superata la fase del “nazional-bolscevismo”, quella in cui è stato con Eduard Limonov  ispiratore di un movimento che si richiamava ai “nazisti di sinistra” Gregor e Otto Strasser, è approdato a quella che definisce “rivoluzione conservatrice”, che lo ha reso famoso in Europa e apprezzato negli ambienti della nuova destra europea. E’ dunque un uomo da seguire, sapendo però che va maneggiato con cura.

Nei giorni trascorsi Dugin ha deciso di esprimersi, in inglese. Dunque non si è rivolto ad una audience interna o che può maneggiare il russo come seconda lingua: cercava una audience non slava alla quale rivolgere questo messaggio: “In Ucraina la Russia riporterà ordine, giustizia, prosperità e standard decenti di vita. La Russia porta con sé la libertà. La Russia è l’unico paese slavo che ha saputo creare un impero, un potere sovrano. Nessun altro slavo, né slavo dell’est, né slavo dell’ovest, né slavo del sud è riuscito in un’analoga impresa. Molti ci hanno provato, come ci dicono i bulgari e i serbi con la loro storia, senza riuscirci fino in fondo. Solo i russi sono riusciti a farlo. Non siamo i primi in tutto. Lo ammettiamo umilmente. Siamo pronti ad imparare da chi è migliore di noi. Ma costruire un impero mondiale è il nostro compito, sappiamo come si fa. Ecco perché noi siamo Roma [si riferisce al mito russo della Terza Roma, la capitale del nuovo impero dopo la caduta di Roma e Costantinopoli, che veniva chiamata la Seconda Roma. Dunque il nuovo impero cristiano]. Chi si è opposto a Roma è Cartagine. Anche Cartagine era grande, forte, e il suo potere non sembrava avere limiti. Quel limite fu posto da Roma. Ora, proprio ora, nel fuoco, nella polvere, nel sangue, la Terza Roma sta ponendo il limite alla Nuova Cartagine, rovesciando l’onnipotenza della Prostituta di Babilonia [nel libro dell’Apocalisse la Grande Meretrice di Babilonia è il potere corrotto e lascivo che governava gran parte del mondo conosciuto esercitando una potenza globale]. Noi non possiamo abbandonare il cammino della storia sacra, che si ripete da epoche ed epoche. E da epoche e epoche l’oriente russo salva l’occidente russo dall’occidente non russo. Perché noi siamo Roma”.

Questo parole coincidono con quanto ha dichiarato giorni fa il patriarca russo, Sua Beatitudine Kirill. Coincidono con la sostanza della sua omelia molto citata in Europa per la condanna di questo Occidente che vuole imporre i Gay Pride. In quell’omelia, assai più complessa di quanto si sia detto, il patriarca spiegava che lo stato delle relazioni internazionali è tale da indicare che siamo davanti a un conflitto non solo politico, ma metafisico. Si tratta di stabilire, ha affermato, “da quale parte del Padre siederà l’umanità [nel giorno supremo, quello del giudizio universale]: alla destra o alla sinistra del Padre?” Questo riferimento spiega le sue parole contro i Paesi che vogliono imporre i Gay Pride. L’Occidente ormai è l’Anticristo, o la Grande Meretrice di Babilonia, tanto da voler ammettere nel suo salotto di benessere solo chi arriva ad ostentare e voler fare ostentare l’orgoglio di essere contro la legge di Dio [quella che lui ritiene tale, ovviamente]. La guerra così intende impedire, proprio come dice Dugin, che un pezzo del “mondo russo”, l’Ucraina, venga corrotta, contaminata dalla cultura occidentale, nemica di Dio.

In entrambi queste visioni temo possa esserci un dubbio interpretativo. L’impero russo che entrambi propongono deve senza possibili equivoci comprendere tutto il “mondo russo”, non solo la Federazione Russa: la Terza Roma è un impero etnico, il Regno di Dio creato da tutto il mondo russo (Russia, Bielorussia, Ucraina e Moldavia) su questo mondo. Sembra il classico discorso messianico, cioè la cristianità di tutto il popolo convertito collettivamente da Vladimiro il Grande a Kiev nell’860 anticipa sul mondo il Regno di Dio. Ecco perché Vladimir Putin dopo l’annessione della Crimea ha inaugurato accanto al Cremlino la grande statua dedicata a Vladimiro il Grande. Con lui nacque il Regno incaricato di resistere al male, respingerlo, contenerlo.

Dugin e Kirill inseriscono però riferimenti che inclinano verso il pensiero apocalittico. Lo scontro ormai è metafisico, ha affermato Kirill, in gioco c’è il destino dell’umanità. E Dugin con il riferimento alla Grande Meretrice non ci parla proprio di un tempo apocalittico? Certo, nelle loro parole c’è un’affermazione ancora messianica: noi siamo il baluardo contro il Male, il Regno di Dio in terra, che resiste. Ma in entrambi si coglie una venatura apocalittica. Non ci sono riferimenti a un Occidente devastante come Gog e Magog, ma insomma è difficile parlare di serenità nella loro cittadella “cristianista”.

La nostra difficoltà a capire questo linguaggio ci rende difficile capire Putin. Putin condivide? O li usa in funzione di un disegno? A conferma di questa seconda ipotesi c’è il dato di fatto oggettivo che il presidente russo ha citato il Vangelo secondo Matteo nel suo intervento alla grande adunata per la vittoria, in un stadio moscovita, pochi giorni fa. Perché? Perché il cristianesimo di Kirill e Dugin gli è indispensabile per realizzare la sua nazionalizzazione delle masse, cioè il suo progetto totalitario. Putin sa che la nazionalizzazione delle masse ha bisogno di fare perno su una tradizione popolare e antica, che il leader deve usare per saltare i meccanismi democratici e stabilire un rapporto diretto con le masse. Questa tradizione alla quale farebbe riferimento sarebbe il cristianesimo, ridotto appunto a tradizione. Nella sua nazionalizzazione delle masse l’idea di mondo russo, alla quale fa riferimento la Chiesa di Mosca, è importante e dà un valore imprescindibile a Kiev. Nell’idea di “mondo russo” Mosca è la capitale politica, Kiev è la capitale spirituale, dove il popolo fu convertito al cristianesimo, il patriarcato di Mosca è l’unica Chiesa di tutto il “mondo russo”. Dunque Kiev è di importanza capitale, molto più per questo che per la sua possibile adesione alla Nato. La Chiesa rappresenta un popolo, non un territorio delimitato dai confini nazionali, e quindi incarna tutto quel popolo, in legame profondo con il suo capo politico. Putin dunque vuole fondare un totalitarismo neo-sovietico, un impero come l’URSS chiamato a cambiare il mondo, ma ponendo al suo centro non l’ateismo di Stato ma il fondamentalismo di Stato. Per tutto il mondo russo. Putin ha citato il Vangelo per trasformare il cristianesimo in una ideologia nazionalista, totalitaria e guerriera.

Il comunismo si proponeva di creare l’uomo nuovo, proprio come il cristianesimo. Con la differenza che mentre l’uomo nuovo cristiano lo crea Dio con la sua parola e l’opera dello Spirito Santo, in un’Unione Sovietica lo creava il partito. Ora l’uomo nuovo  proposto dall’impero russo lo crea Putin con la sua nazionalizzazione delle masse fondata sul cristianesimo ridotto ad antica tradizione. Ecco perché ha citato il Vangelo, trasformando il sacrificio di Cristo nel sacrificio dei suoi soldati, che muoiono per difendere la Patria.

Dugin e Kirill dunque servono a spiegare questo contrasto: noi contro una civiltà asservita al Male. La società asservita al Male però non crede più in nulla, solo nella sua potenza e nella corruzione. Qui emerge un aspetto da decifrare. Putin sa quanto sia forte il potere della corruzione. Anche il suo sistema si basa sulla corruzione,  attraverso gli oligarchi. E’ importante dunque capire perché si sia presentato sul palco della sua grande adunata moscovita vestito con i più costosi abiti occidentali, non in abiti tradizionali russi. Voleva dire, soprattutto agli oligarchi, che il suo impero combattendo la Grande Meretrice di Babilonia non toglierà agli adepti i loro vizi? Non sarebbe il primo che per combattere l’opulenza del potere mondano ne assume e supera i segni opulenti.

Resta da capire a chi volevano parlare Kirill e Dugin. Kirill, parlando in russo, si è rivolto al popolo russo, ai contadini, al fedele ordinari. Dugin parlando in inglese al resto del mondo, ai non slavi. Certamente si è rivolto all’islam, all’induismo, ai cristiani del Terzo Mondo, proponendo di credere nella sua trasformazione del mondo, che sia davvero possibile sfidare l’egemonia occidentale, un Occidente che tutti costoro disprezza. Questo pensiero non governato, ma eccitato, potrebbe attrarli. Ma si è rivolto anche a noi, a diversi soggetti occidentali. Al cattolicesimo occidentale innanzitutto, nel quale nessuno dice di concordare con Putin, questo sarebbe impossibile. Ma la tesi culturale di un Occidente corrotto e lascivo, aperto ad aborto, eutanasia, matrimoni gay, ne porta i settori più antimoderni a esprimere una “comprensione culturalmente vicina” alle denunce di Dugin e Kirill. Questi settori già in passato si sono avvicinati al mondo populista, perché anti-moderno. Vicino a questi ambienti ci sono segmenti della vecchia sinistra innamorata della sua rivalità costitutiva con l’Occidente. Dugin dunque non rappresenta necessariamente “l’espressione compiuta” del vero pensiero di Putin. Ma uno strumento per rompere l’isolamento, trovare alleati. Ma perché? Forse perché  Putin vorrebbe restare nel percorso “messianico”, ma se davvero la situazione sul campo mettesse a rischio di implosione la Federazione Russa l’ipotesi Dugin resterebbe la sola opzione possibile per sperare di vincere. Ecco perché la rivista dei gesuiti statunitensi, America, ha scritto in queste ore: “La Russia ha dichiarato guerra all’ordine mondiale nel nome di una nuova moralità. La Russia compete per quella che considera l’anima del mondo, per una unità culturale che – nella loro distorta immagine del mondo e interpretazione del Vangelo – porta la Russia e l’Ucraina insieme in un nuovo coraggioso nuovo Mondo Russo. Questa visione del mondo presuppone un’egemonia russa, al di là di quanto ciò possa apparire fittizio al resto del mondo”.

 

Foto: Tasnim News Agency – CC BY 4.0

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