Coronavirus, se la strategia per ripartire esclude le donne

Parlavo nei giorni scorsi con un paio di amiche che stimo, sulla necessità che la ripartenza tenga conto delle donne. Non per una questione di quote. Ma perché è necessario un drastico cambiamento di prospettiva se vogliamo salvare il pianeta e quindi l’umanità.

E’ infatti necessario passare dall’ottica della conquista e del saccheggio, che ha dominato i due millenni appena finiti, a un’ottica di conservazione e valorizzazione delle risorse: la sfida del terzo Millennio. Ed è proprio questa l’ottica femminile, per ragioni biologiche, storiche e socioculturali: siamo noi che diamo la vita e che la proteggiamo, che tradizionalmente amministriamo la famiglia facendo bastare e le risorse disponibili, riutilizzando gli scarti, risparmiando per mandare i figli a scuola, che curiamo la pulizia e la bellezza dei nostri ambienti domestici e siamo capaci di sacrifici per migliorare il futuro. Siamo noi che sappiamo pensare a organizzazioni diffuse e non verticistiche, che sappiamo costruire solidarietà e alleanze tra singoli e tra popoli, che ci spendiamo per costruire il bene comune e investiamo in salute, non in armi. Questo know how – che non è in contrasto con le capacità di pensiero e di achievement che ha portato tante donne alle vette della politica, dell’industria, della scienza, della cultura, dell’arte – è ciò che serve ora per immaginare il mondo dopo Covid. In queste settimane abbiamo visto i mari ripopolarsi, i cieli tornare limpidi, le città senza spazzatura. Quello che sembrava un disastro ecologico senza scampo è parso arrestarsi di colpo, e ne abbiamo goduto. Ora si deve capire come coniugare la ripresa allo sviluppo sostenibile, mettendo a frutto l’esperienza del lock-down che ci ha insegnato a consumare meno, a lavorare a distanza, a riscoprire tempi più lenti e rispetto degli altri.

Non basta riaprire: è necessario avere ben chiaro in mente un modello per far ripartire l’economia e il turismo senza ripetere gli errori del passato.

E invece… La task force per la Fase 2, il comitato di esperti in materia economica e sociale che affianca Vittorio Colao, è composta da 19 membri, di cui solo quattro donne, peraltro molto qualificate e tutte esperte di sviluppo sostenibile. Ma che peso possono avere, di fronte a 15 uomini provenienti dall’establishment, quello cioè che ha creato il mondo che conosciamo?

Ma ben più grave è la situazione del Comitato Tecnico Scientifico di supporto alla Protezione Civile recentemente costituito per gestire l’emergenza Covid-19 e composto di 21 esperti tutti uomini, come se in Italia non ci fossero donne sufficientemente preparate per poter dare il loro contributo alla gestione dell’emergenza.

Per questo Valeria Poli, Professore ordinario di Biologia Molecolare all’Università di Torino e Presidente della Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare, insieme a Paolo Pinton, Professore ordinario di Patologia Generale all’Università di Ferrara e Presidente dell’Associazione di Biologia Cellulare e del Differenziamento, hanno creato una petizione da far pervenire a tutti i Parlamentari, ai Ministri, al Presidente del Consiglio, al Capo protezione civile, e ai Presidenti delle Istituzioni che hanno espresso questi esperti.

La petizione può essere letta e firmata qui.

Non amo le petizioni, dubito della loro efficacia e ritengo che spesso esprimano le aspirazioni di una parte ristretta della società. Ma questa mi sembra doverosa e necessaria, e invito le mie lettrici e i miei lettori a firmarla. Sì, anche i lettori: perché tener conto dell’ottica femminile è nell’interesse di tutti. Soprattutto in questo momento.

 

Quest’articolo è apparso su Moked in data 28/04/2020

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