CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Nuovi atei e veri cristiani (e/o liberali). Un riepilogo

Nel suo informatissimo articolo sul New Ateism, sul dibattito in corso soprattutto nei paesi di lingua inglese, Giancarlo Bosetti offre, fra l’altro, alcuni spunti di riflessione sul rapporto fra fede e ragione, ovvero religione e scienza, e più in generale sul tema dell’esistenza o meno di Dio. Sono temi su cui di chiunque si occupi di filosofia non può non riflettere, provando anche a dare qualche risposta, come mi è capitato a volte di fare anche in questo blog. A mo’ di riepilogo e sistemazione mentale di idee, provo a tracciare ora qualche punto. Anche in questo caso, io proporrei di scindere le questioni de facto da quelle più propriamente filosofiche. Che in nome della religione si siano commessi e si commettano misfatti, è una di quelle verità su cui non è lecito dubitare. Che i leader religiosi, anche quelli più apparentemente lontani dal potere, siano all’interno dei rapporti di forza del mondo reale, è altrettanto indubitabile (Bosetti, sulla scia di Hitchens, fa l’esempio di Madre Teresa di Calcutta). Già meno sicuro è però mettere in dubbio il valore positivo delle religioni come cemento sociale o come “instrumentum regni”. Si potrebbe poi anche concedere che esse, in determinati casi o secondo determinati rispetti, siano per la società “riserve morali”, come vuole Jurgen Habermas. Ma non si può a mio avviso assolutamente affermare, sempre con Habermas,  che il liberalismo come concezione del mondo, prima ancora che come dottrina politica, abbia bisogno di queste “riserve” perché di per sé vuoto o neutro. Il liberalismo, per come lo concepisco io, non è affatto privo di etica, anche se la sua è un’etica molto raffinata: fatta per spiriti forti e colti, come diceva Benedetto Croce. E’ un’etica, inoltre, che si pone in un rapporto particolare con quella del cristianesimo, in quanto ne è la continuazione: la “supera” affinandola e “depurandola” dagli elementi fissistici, naturalisti, “pagani” in esso ancora presenti. Ma a questo punto, passando al discorso filosofico propriamente detto, occorre distinguere nettamente il cristianesimo da ogni altra religione, comprese le altre monoteistiche. Il cristianesimo, secondo l’interpretazione che ne dò io, è infatti la religione che contiene in sé il germe della dissoluzione di ogni tipo di trascendenza (di ogni trascendenza, voglio dire, irrelata al modo immanente degli umani), cioè di se stesso per la parte che lo accomuna alle altre religioni: la concezione naturalistica della divinità. E’ questo il senso delle parole del folle dello Zararthustra nietzschiano quando dice che “Dio è morto” ma aggiungendo però subito dopo che ad ucciderlo “siamo stati noi” stessi,  cioè noi cristiani. La “morte di Dio” è il senso  ultimo dei processi moderni di secolarizzazione: rispetto alla sua forza propulsiva alla lunga non c’è trascendenza che tenga. Affermazione che però necessita di alcune integrazioni o considerazioni conseguenti, che elenco senza un ordine: 1. il momento dell’incarnazione è il momento centrale in questa interpretazione del cristianesimo, così come lo è per il modo di intendere il liberalismo che è mio proprio (un liberalismo “cristiano”, potremmo dire); 2.  il cristianesimo è sia la dottrina spiritualistica par excellence sia la dottrina che riabilita la carnalità in senso vero e pieno: spirito e carne sono non elementi irrelati ma dialetticamente connessi e inscindibili (il termine tedesco Geist, essendo pregno di significanza,  non è in tal senso fuorviante come quello italiano di spirito); 3. nella realtà empirica lo spirito cristiano non è appannaggio dei cristiani propriamente detti, cioè di chi segue i riti o le liturgie connesse al cristianesimo: spesso anzi si trovano autentici cristiani anche fra i non credenti; 4. il cristianesimo come istituzione e come dogmatica è in contraddizione con l’essenza più propria del cristianesimo come spirito (o meglio spirito-carne) di cui qui si parla; 5. la storia del cristianesimo è la storia della continua lotta o tensione fra cristianesimo come spirito e cristianesimo come istituzione; 6. sul problema Dio la posizione più corretta è quella dell’agnosticismo: affermare con convinzione, come fanno gli atei, che Dio non esiste significa restare all’interno di un ordine di discorso che pretende di avere risposte incontrovertibili su questioni ultime. Ed è un atteggiamento di credenza astratta uguale e contrario a quella dei credenti. Il rischio a cui vanno incontro le posizione ateistiche, come la storia ampiamente conferma, è quello di istituzionalizzare lo stesso ateismo, creando una liturgia e una ritualità simile a quella delle chiese. Si pensi al culto della “Dea Ragione” nel periodo del giacobinismo, per non parlare delle esperienze dei regimi comunisti nel nostro secolo o delle idee della British Humanist Association di cui parla Bosetti nel suo articolo. Da un punto di vista teorico, c’è una stretta connessione fra scientismo, ateismo, laicismo, giacobinismo. Così come, dall’altra parte, fra scienza, agnosticismo, laicità, liberalismo. L’ agnosticismo è la risposta più corretta in quanto è impossibile giudicare con la logica del finito, che è nostra propria, ciò che si pone come infinito, e quindi oltre il perimetro delle nostre categorie mentali.

  1. condivido pienamente. Aggiungo che il cristianesimo ufficiale è rimasto in una posizione”dissociata ” circa il credere veramente all’incarnazione ,cioè all’innalzamento degli uomini a figli di Dio, hanno messo una barriera verginale ,più che un velo, per evitare il”sacrilego impensabile, incredibile contatto!

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