EUROPEI

Andrea Mammone

Andrea Mammone è un docente di Storia dell’Europa presso la Royal Holloway, University of London. Ha precedentemente insegnato e svolto periodi di ricerca in Francia, Stati Uniti e Italia, pubblicando di fenomeni transnazionali, Europa, politica italiana e neofascismo. È stato invitato a discutere di questi temi in giro per l’Europa e negli USA (incluso dal Dipartimento di Stato). Il suo libro Transnational Neofascism in France and Italy è stato pubblicato da Cambridge University Press. Ha inoltre curato vari volumi sulla destra in Europa e sulla società italiana. Sta attualmente scrivendo un breve libro sull’Europa di oggi e uno sulla Calabria. Vive nella capitale britannica, da dove prova a riflettere sulla politica e la storia europea. Infatti, è stato intervistato, tra gli altri, da Al Jazeera, BBC, Voice of America, Sky, The Observer, Radio 24, Il Fatto Quotidiano, Weekendavisen, Radio Rai, To Vima, TIME, The Guardian, European Voice, O Globo, New Zealand Herald, e The Economist. Ha scritto per il The Independent, International Herald Tribune, The New York Times, The Guardian, Reuters, Al Jazeera America, Washington Post, Foreign Affairs e New Statesman.

L’Europa e la leggenda dell’austerità

In queste settimane la nostra attenzione è ovviamente sul trattamento indecoroso riservato alla Grecia, senza alcun rispetto per un referendum e un governo democraticamente eletto, e sulla preoccupante egemonia tedesca nelle questioni europee non suffragata da alcuna legittimazione democratica e dai trattati internazionali. Occorre tuttavia inserire il tutto in un contesto ben più articolato.

Vi era un tempo in cui gli stati avevano una certa direzione sull’economia. Le politiche industriali erano, spesso, proiettate nel futuro, e, attraverso il welfare, esisteva un “patto” implicito tra cittadini e nazioni. Questo era un modo per costruire un senso di appartenenza nazionale e un sentimento di inclusione, attiva, in una comunità più ampia. In sintesi, pianificazione statale, redistribuzione, giustizia sociale e solidarietà non erano vocaboli estranei al sentire pubblico e politico, e contribuirono significativamente al processo di integrazione europea. Questo aiutò ugualmente a ricollocare pacificamente la Germania nel contesto occidentale. La “legittimazione del bisogno” e la necessità di un agire collettivo diventarono quasi universalmente accettati (ovviamente con differenze nazionali) almeno fino all’avvento della New Right angloamericana di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, con la loro agenda neo-liberal, le denazionalizzazioni, l’attacco allo stato sociale, e simili. Conosciamo bene il resto della storia, accompagnata dall’ideale del “meno stato” e dalla convinzione nell’autoregolamentazione dei mercati, eventualmente portatori di sviluppo e benessere diffusi e irrefrenabili.

Per quale motivo vale la pena ricordare tutto questo? È inutile negarlo, ha contribuito al declino degli stati-nazione, al deterioramento di valori caratterizzanti il continente europeo (il welfare), e alla connotazione monetarista e finanziaria della recente fase dell’integrazione sovranazionale, oltre all’accettazione delle politiche di austerità. Esisteva, infatti, pure un tempo, abbastanza vicino tra l’altro, in cui le flessioni economiche, come ricorda soventemente il Nobel americano Paul Krugman, si risolvevano con altre ricette. Poi sono arrivati gli economisti promotori dell’austerità (definiti “the austerians” da Rob Parenteau), basandosi pure su dati poco corretti secondi studi della University of Massachusetts, insieme ai moderni politici ultra-liberali pronti a santificare le virtù dei mercati, e di colpo, arrivato il primo forte vento, inizialmente causato soprattutto da questi ultimi, l’Europa si trova nel caos odierno, caratterizzato da una crescita economica quasi nulla, rinascita di nazionalismi, rigetto del diverso, e umiliazioni ai governi che non si piegano al mantra austero. I non credenti in queste politiche economiche sono tuttavia, e a prescindere, considerati in errore.

L’Unione Europea rappresenta oggi il maggior esempio di questa ideologia basata su alcune parole magiche: (molta) austerità, (basso) deficit, e (perfetti) bilanci. Il problema è che altre prospettive non sono nemmeno discusse. Il centro-sinistra europeo è silente, appiattito sulla politica economica del momento. Non sorprende, pertanto, come le voci intellettualmente contrarie provengano quasi esclusivamente dall’altro lato dell’oceano. Eppure sarebbe stato veramente necessario l’intervento della colta Europa per illuminare un dibattito pubblico alquanto scadente. Infatti, nonostante i venticinque milioni di disoccupati del luglio dell’anno scorso, le derive anti-liberali, l’accresciuta distanza tra classi povere e medie e quelle ricche, e un subconscio collettivo fatto di sfiducia, vari leader europei e altri politici di rilievo internazionale continuano a parlare di Europa in ripresa, di ritrovata stabilità dell’eurozona.

Occorrerebbe domandarsi se l’ottusità ideologica, almeno quella da un punto di vista economico, abbia intaccato pure la capacità di osservare il mondo. Forse tutto questo li ha resi non in grado di vedere i milioni di voti anti-austerity, non curanti dei molti che invece supportano i partiti euroscettici, e dei tantissimi che si astengono dalle urne. Sarebbe davvero necessario, in questo contesto, fornire un’alternativa per rilanciare il sogno di un’Europa unita, oggi purtroppo zoppicante, offrendo una reale prospettiva politica e sociale che difenda i diritti e i valori democratici. È pur vero che oggi la politica tende a focalizzarsi molto sull’economia, però si puo provare a essere meno austeri almeno nei sogni.

  1. Sarei felice di sapere perche’ la sinistra non si fa sentire e si appiattisce sulle teorie economiche della destra. e perche’ Varoufakis e’ andato in giro a dare lezioni al mondo ma non ha creato un fronte in dialettica alternativa alla Germania, chiamando a raccolta quanti non erano d’accordo con la cieca austerita’ della Merkel e del suo ministro?

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