MALA TEMPORA

Marco Vitale

Imparare dal caso Dolce e Gabbana

C’è chi ha scritto: è meglio spegnere subito la miccia prima che provochi un inutile incendio, ricordando le parole di Vecchioni: “Milano scusa, stavo scherzando”. E’ la politica lettiana del sopire, del “quieta non movere”.

Ed invece no! Parliamone ancora, perché c’è molto da imparare dal caso D’Alfonso e Dolce e Gabbana, che non è stato affatto uno scherzo. Possiamo prendere le mosse dalla dichiarazione del sindaco, che resta la sintesi più corretta: “La battuta del mio assessore è stata improvvida, ma non si può rispondere offendendo Milano”.

Battuta molto improvvida, quella dell’assessore, per un motivo semplice. Chi conosce le modalità del lavoro del fisco italiano, più in particolare, i grandi arbitrii che esso compie quando entra nei rapporti internazionali, dove, nella maggior parte dei casi, inventa reddito imponibile inesistente, sulla base non di fatti ma di cervellotiche stime e quindi inventa presunte evasioni fantasiose da dare in pasto alla demagogia popolare ed alle statistiche, sa, senza il minimo dubbio, che prima di appiccicare a qualcuno l’etichetta di evasore, soprattutto nei rapporti internazionali, bisogna andare estremamente cauti e non basta certo una sentenza di primo grado per sciogliere tale cautela. Va da se che tale cautela deve essere ancora maggiore da parte di chi occupa, nella città, una posizione importante di governo, come l’assessore D’Alfonso.

E’, d’altra parte, molto giusto affermare, come ha fatto con giusto vigore, Pisapia che “non si può rispondere offendendo Milano”. Le prime reazioni di D&G (il Comune fa schifo, la serrata) sono state  molto più improvvide e sciocche della presa di posizione dell’assessore e meritano una severa censura. Subito dopo, però, D&G hanno dato una risposta corretta e utile. Hanno acquistato pagine su alcuni quotidiani dove hanno illustrato le ragioni del loro sdegno, che è in primo luogo diretto agli operatori del fisco e non al Comune ed hanno fatto spiegare, dai loro avvocati, la loro ricostruzione dei fatti. Questo vuol dire far chiarezza e dare alla vicenda anche la prospettiva di una utilità generale. Vuole dire contribuire ad un dibattito utile e democratico. Senza, ovviamente, poter esprimere un giudizio ed una previsione sull’esito fiscale del contenzioso, è però già chiaro che siamo di fronte ad uno dei tanti casi in cui si tratta di valutazioni e interpretazioni altamente aleatorie e soggettive, che non danno a nessuno il diritto di appiccicare a nessuno il titolo di evasore fiscale.

Se fosse certa e definitivamente provata una accusa di evasione fiscale su un reddito imponibile effettivo e non congetturato, la posizione dell’assessore D’Alfonso, rimarrebbe probabilmente inappropriata ma comprensibile. Ma così non è. E allora?

Qui il discorso si allarga, come, in effetti, si è allargato. Una presa di posizione così improvvida, provenendo da una persona certamente  intelligente ed esperta, deve avere qualche ragione più profonda. Io credo che essa si riconnetta indirettamente ed in modo inconscio ad una ostilità di fondo al mondo della moda, come manifestazione del “lusso”, ben presente in una parte della base elettorale di Pisapia, anche se non credo essa sia così presente in D’Alfonso. Ed in ogni caso liberiamoci tutti da questi fantasmi. Pensiamo al bene di Milano, al lavoro di Milano, alle sue ancora straordinarie tradizioni di alta qualità nella moda, nell’artigianato, nell’Alta Gamma del Made in Italy, nei negozi di qualità che attirano tanti stranieri. Le stiamo prendendo a picconate queste tradizioni e, sotto sotto. Le stiamo picconando perché producono beni “di lusso”. Le piccona il fisco stimolando, con le sue forme persecutorie, la fuoriuscita delle imprese; le piccona il sistema giuridico-istituzionale che, con l’incertezza del diritto, rende sempre più difficile la crescita sana delle imprese; le picconano i grandi  del lusso francese che acquistano e portano nel sistema francese un marchio dietro l’altro; le picconano tutti quelli che spingono i giovani a cercare altri lidi dove la meritocrazia sia più rispettata (il braccio destro di Arnaud è stato, trent’anni fa, allievo dell’Università di Pavia); le picconano il Comune di Milano che, a parte le sparate di D’Alfonso e nonostante recentemente abbia intrapreso azioni positive confermate da dichiarazioni del sindaco, fa ancora troppo poco per la moda, come fa ancora troppo poco per il design e per tutta la grande filiera del lavoro qualificato che si sviluppa a monte ed a valle di queste due attività di centralissima importanza per Milano. Davanti a noi c’è, sempre più concreto, il rischio di una Milano impoverita come quella che ci ha descritto il Manzoni nei Promessi Sposi e della quale ci ha parlato il Verri, con i più bravi filatori e tessitori rifugiati nei territori liberi della repubblica veneta. Ma da questa crisi, se ne facciamo spunto per una dibattito serio in spirito di verità, possono scaturire effetti positivi.

 

Marco Vitale

www.marcovitale.it

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