COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Ecco finalmente l’enciclica del pluralismo.

Ritengo utile per una discussione serena e approfondita sulla nuova enciclica “Fratelli Tutti” prendersi dell’altro tempo. Ma c’è l’urgenza di dire qualcosa. E allora partiamo da una premessa. Il testo è semplice, accessibile, gentile e privo di ostacoli o asprezze concettuali, quelle che escludono o rendono difficile la lettura, soprattutto per i non addetti ai lavori e in particolare per gli altri credenti o per i non credenti. E’ un tratto fondamentale di questa enciclica, che si vuole rivolta a tutti. Tanto rivolta a tutti che esordisce con riferimenti non confessionali o religiosi alla fratellanza: non siamo tutti della stessa carne? Questo è un concetto senza barriere culturali. Indubbiamente l’autore è consapevole che il tema può avere delle sue scivolosità, il pericolo è dietro l’angolo e infatti già nel secondo capitolo chiarisce da dove parta lui: dal Vangelo e dalla parabola del buon samaritano. Un uomo è aggredito per strada da malviventi, dei religiosi passano senza soccorrerlo in alcun modo, un samaritano invece ( e i samaritani al tempo erano gli eretici) lo fa. A questo però sa far seguire altri riferimenti ebraici, molto chiari e convergenti con la visione della fratellanza. Più avanti troveremo diverse volte riferimenti espliciti, diretti, a “libertà, eguaglianza, fraternità”, al suo rapporto di amicizia ispiratrice con il patriarca ortodosso Bartolomeo I e con l’Imam di al-Azhar. Qui traspare un cruccio del papa: è stato capito, nel suo mondo e fuori di esso, il Documento che loro due hanno firmato davanti a tanti leader religiosi ad Abu Dhabi? E’ stato capito cosa significa dopo i terribili decenni che ci separano dall’inizio degli anni Ottanta che il papa e la principale autorità teologica sunnita scrivano insieme? E cosa scrivono? Il documento è lungo, ma questa frase è cruciale: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.” 

Se il mondo non capisce Francesco ci torna, gentile ma anche determinato. Perché? Qui le risposte possono divergere. C’è tanto in questa enciclica… Il disordine mondiale, l’emergenza Covid, le guerre, la fame, milioni e milioni di profughi, guerre, disastri ambientali, crimine organizzato, totalitarismi feroci, nuove forme di razzismo, nazionalismi malati, terrorismo, violenza, sfruttamento, schiavitù. Tutto questo impone una lettura che rimandi a qualcosa che unendoci ci faccia capire l’urgenze di salvarci insieme, non di pensare a salvarci da soli. Non è più possibile. 

Ognuno di questi capitoli richiederebbe un articolo, un approfondimento, un’analisi. Ma io torno al punto precedente, al pluralismo. Cosa vuol dire che siamo fratelli? Che esiste un universalismo sincretico, una cultura unica, un modello unico? Ecco la sua risposta: “il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!”. E poi, come se questo non bastasse:  “ L’amore che si estende al di là delle frontiere sta alla base di ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale.”  

Siamo al cospetto di qualcosa di così rilevante che mi sorprende sia poco notato. E’ il pluralismo! Certo, possiamo leggere in termini auto-critici: i tempi della cristianità come società normativa non sono poi tanto lontani. Ma finalmente  le noiose discussioni sull’interpretazione del Vaticano II hanno finito di fare velo alla vera novità: la Chiesa ha scelto davvero il pluralismo religioso. Quindi la libertà di coscienza. Bergoglio non era padre sinodale, è un figlio del Concilio. Lui non vuole interpretare in Concilio, la vuole mettere in pratica. Questa scelta per il pluralismo, per un mondo che non può essere monocromatico, dovrebbe obbligare tutti gli altri non a esaltare se stessi, sentendosi riconosciuti. Certo lo sono. Ma chi si sente erede dei lui a chi sa dire addio alla cristianità da imporre, come società normativa,  sa rispondere che l’illuminismo, ad esempio, produsse anche il dispotismo illuminato? La certezza di possedere tutta la verità era anche loro. Non è stato Voltaire a dire: “Tutto per il popolo, niente con il popolo”? Vuol dire che io so tutto il tuo bene, tu non conti. Ed eccoci alle utopie del futuro, del “Sol dell’avvenire”. Esiste il socialismo, è la verità, assoluta! Noi con falce e martello creeremo l’uomo nuovo! 

Non erano certe, tutte le ideologie, di destra e di sinistra, di avere un dogma infallibile da offrire uguale a se stesso a tutto il mondo? 

L’errore totalitario non è stato esclusiva di qualcuno. Il rifiuto dell’altro non è stato esclusiva di qualcuno. E anche più recentemente quando si è parlato di fine delle storia non si parlava di un sistema unico, di un modo unico di vivere? 

Pensare che il pluralismo riparta da dove si sperimentò la Santa Inquisizione e poi si scrisse il Sillabo è stupendo ma richiede esercizio di tutte le memorie. E non penso solo a chi si esercitò a lungo sulla possibilità o impossibilità di elidere il trattino che univa marxismo e leninismo. Penso anche al Voltaire convinto che i lumi avrebbero prodotto gli stessi risultati ovunque si fossero riprodotti, e che Addison fosse molto meglio di Shakespeare. 

Non serve arrivare a Pol Pot per ripensare alle ideologie che ci hanno convinto, serve capire però che oggi è un papa a dire la cosa più simile a quel che Isaiah Berlin ci ha fatto capire di Helvetius, Diderot, Rousseau, Hume, Condorcet e altri: “ Ma per quanto reali, e gravi, fossero le divergenze tra questi pensatori, c’erano alcune convinzioni che li accomunavano…. Che quanto meno avessero coscienza di quello che era per loro e per gli altri il vero interesse… Pensavano che l’educazione e la legislazione fondate sui precetti della natura potessero raddrizzare tutte o quasi tutte le storture. Credevano che tutte le cose buone e desiderabili fossero necessariamente compatibili; di più: che tutti i valori fossero interconnessi in una rete di rapporti indistruttibili, logicamente interdipendenti.” Non credo sia questa la fratellanza di Francesco. Qui purtroppo io sento la forza di un pensiero appiattente, monocromatico, che ha facilitato il compito delle ideologie assolute. Questa enciclica invece rispetta le diversità, ma scorge nell’incontro dei diversi la possibilità di migliorarsi e quindi di crescere. Difende gli indios panamazzonici, ma li mette in guardia da un “indigenismo” che li isolerebbe. E’ illuminante Berlin quando dice che il padre dei nemici più feroci dell’illuminismo, de Maistre, che fece ricorso a fede e tradizione, partì proprio dall’opposto, dall’ineludibile cattiveria della natura dell’uomo per invocare l’autorità, la gerarchia e la sottomissione, in un modo che lo rendeva assai simile “ai suoi nemici, i giacobini: come loro era un credente totale, un odiatore violento, un jusqu’au boutiste in ogni cosa.” Questo passaggio di Berlin mi ha fatto ricordare di Nolte e della sua teoria del nazismo come bolscevismo anti-bolscevico. E’ qui che diventa fondamentale la sua teoria dell’eterna sinistra, cioè della matrice religiosa del pensiero della sinistra otto e novecentesca. Personalmente sono arrivato a scorgere nel conseguente conflitto tra Chiesa e gran parte dell’esperienza storica della sinistra organizzata un conflitto tra due nomenclature, due ali marcianti, due caste sacerdotali: “siamo noi i veri sacerdoti di Dio, non voi, voi siete i rinnegati.” 

Francesco respinge tutti gli opposti estremismi, tutti i dogmatismi, dalla cristianità all’Islam politico, arrivando però anche a quelli laici, compresi quelli di oggi. Quelli che invocano un mondo piatto, senza colori, tutto centrato su un solo modello economico e su un uomo… solitario, come ogni consumatore soltanto consumatore è. Per questo non lo capiscono quelli che trovano antica, cripto-comunista, la sua teoria sulla proprietà privata. Non parla da premier, parla da pastore: e ricorda che il fine dell’avere è un file sociale, non riferito solo a se stessi. Il mio motorino è mio e mi connette agli altri nella mia città, nel nostro modo di sottrarci al traffico, io a modo mio, ma anche per essere più propriamente romano, alla mia non più tenera età. 

Insomma parto da qui , da queste prime e parzialissime considerazioni per dire che credenti e non credenti oggi hanno la possibilità di essere d’accordo con lui anche se non concordano su tutto quel che dice: anzi, io credo che non auspichi un consenso assordante, ma un concerto di voci, capaci però di capire che siamo tutti della stessa carne, e le nostre voci scaturiscono da analoghe corde vocali. C’è un minimo comun denominatore dunque: imparare a vivere insieme, perché non siamo uguali, nessuno è “migliore”. E’ questa la strabiliante novità. E visto che tutti dovrebbero sapere che nel 1789 la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino fu scritta sotto gli auspici dell’Essere Supremo, più che dividerci Saulo nome (Dio? Deus sive natura? Essere Supremo?) proviamo a ritrovarci uniti nel fatto che siamo fratelli perché il creatore è uno solo. Si può essere fratelli se creati da soggetti diversi? Ecco allora che il cuore del messaggio fraterno non può più essere riferito ai paesi di antica cristianità e basta, ma a tutto il mondo, a cominciare da dove si rischia di più. 

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